Da Il Manifesto del 18/03/05
Se i corvi cominciano a volare intorno a Nicola Callipari
SANDRO PROVVISIONATO *
Di Nicola Calipari è stato scritto molto, moltissimo. La retorica ormai inevitabile,
in questo Paese senza più certezze, non è riuscita ad evitare un termine
ormai tristemente inflazionato: eroe.
Chiunque muoia in circostanze drammatiche, come per incanto, diventa un eroe:
un poliziotto durante una rapina, una vittima della mafia o del terrorismo,
un ostaggio caduto nelle mani più insanguinate.
Io non so se Nicola (permettetemi di chiamarlo così, perché lo conoscevo
da tempo) sia stato un eroe. So solo che certamente è morta una delle persone
più belle che per motivi professionali abbia mai conosciuto nella mia lunga
carriera di giornalista. Un uomo semplice, schivo, che non amava i riflettori,
ma soprattutto un uomo competente che adorava il suo lavoro.
Conobbi Nicola all?inizio del 2000 quando era al vertice dello Sco, il servizio
centrale operativo della polizia. Dopo la guerra del Kosovo, la «guerra umanitaria»
della Nato scatenata - con il pieno avallo del governo di centro-sinistra,
guidato da Massimo D?Alema - per «liberare» la provincia serba - che sarebbe
poi finita nelle mani di un criminale di guerra, grande trafficante di droga,
l?ex premier kosovaro Ramush Haradinaj - avevo deciso di scrivere un libro
che però non raccontasse la mia esperienza di inviato di guerra, ma la realtà
di un paese vocato a diventare un narcostato, una Colombia infilata come
un cuneo nei Balcani.
La storia di questi anni e le notizie di questi giorni sembrano aver dato
ragione a quel libro (uscì sempre nel 2000 con il titolo: Uck, l?armata dell?ombra.
Una guerra tra mafia, politica e terrorismo per GamberettiEdito-re e con
una lungimirante introduzione di Tommaso Di Francesco). E Nicola in quel
libro ebbe un ruolo determinante. Non volle essere citato, ma tutte o quasi
le notizie sui narcotrafficanti albanesi del Kosovo vennero da lui, da Nicola,
che proprio sulle filiere del traffico della droga era un vero esperto Trovai
in lui sensibilità e competenza, ma soprattutto una grande disponibilità
a ragionare. Alla mia domanda: perché la Nato ha fatto una guerra per questa
banda di criminali e trafficanti che è l?Uck? Lui mi rispose: «Me lo sto
chiedendo dall?inizio della guerra».
Il nostro rapporto è continuato negli anni. Nei momenti di dubbio, su fatti
che via via accadevano, lo chiamavo. E lui aveva sempre un modo di interpretare
gli avvenimenti originale ed intelligente, mai banale, mai scontato. Sapeva
analizzare gli accadimenti con una lucidità che legava un fatto ad un altro,
fino a tessere una tela degna del migliore di quelli che oggi è di moda chiamare
«dietrologi».
Scherzavamo spesso su questo termine. Gli dicevo: «Lo dicono a me, ma guarda
che il vero dietrologo sei tu...». Lui rideva e ripeteva sempre: «Ma se non
provi a guardare dietro a quello che succede, avrai solo una visione frontale
che ti darà solo un?immagine parziale della realtà».
Lo avevo sentito qualche settimana prima della sua morte. Gli avevo esposto
dubbi su un?operazione condotta lo scorso anno dal Sismi (e quindi da lui)
in Libano: un attentato sventato all?ambasciata italiana di Beirut con l?appoggio
dei servizi segreti siriani. Si era un po? innervosito della mia insinuazione,
ma poi, come sempre, aveva riso e mi aveva detto: «Lo sai che il dubbio che
i siriani ci abbiano tirato un bidone è venuto anche me...».
Ci eravamo ripromessi di vederci per parlarne meglio. Non c?è stato tempo.
Dopo il dolore per la sua morte -una sofferenza quasi intima che non avevo
voglia di esternare - c?è stata la rabbia che ha cominciato a montarmi dentro.
E? accaduto un paio di giorni fa. Mi telefona uno dei servizi, uno che, per
lavoro, conosco da anni, un militare. Come non parlare di Nicola. Lui esita,
sembra imbarazzato e poi mi fa: «Certo, nulla da dire su Nicola, funzionario
di primo piano». Poi comincia un ragionamento tortuoso, fatto di input, briefing
e collegamenti, che finisce pressappoco così: «Ci sono lavori che i civili
fanno bene, ma i militari il loro lavoro lo sanno fare meglio. Certo se quella
notte a Baghdad invece di Nicola ci fosse stato un militare...».
L?ho salutato con freddezza e poi j ho ragionato. Nicola al Sismi era una
mosca bianca. Pollari - il capo del Sismi, che secondo me è uno in buona
fede e che sta facendo uno sforzo per rendere limpido un servizio segreto
dalla fedina penale sporca di sangue - aveva affidato proprio a lui, a un
; poliziotto, un incarico di spicco. Scontentando così molti militari
di carriera. Ora che lui è morto, i corvi tornano a svolazzare.
Ho cominciato a chiedermi se il sacrificio di Nicola non ci costerà un prezzo
ancora più alto della sua perdita: il ritorno nei posti di comando del Sismi
della vecchia guardia. E che razza di vecchia guardia sia, lo sappiamo tutti.
Da tempo.
* giornalista del Tg5 e di Terra!
direttore di misteri d?Italia
(
www.misteriditalia.com)
Ugo Beiso