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I pm di Genova: tutti a giudizio per le violenze inumane di Bolzaneto

Chiesto ieri il processo per gli abusi sui fermati del G8 nel carcere provvisorio. In una memoria di 534 pagine la ricostruzione di anni di indagini. Se non si parla esplicitamente di torture è solo perché i «trattamenti» durarono meno di due giorni
Checchino Antonini
«Pagine brutte» quelle scritte a Bolzaneto nei giorni del luglio 2001 sui rapporti tra cittadini e polizie. Così brutte che «se anche dovessero incontrare la prescrizione, tuttavia difficilmente potranno essere dimenticate». E se non si parla esplicitamente di tortura è solo per via della scelta «prudenziale» dei pubblici ministeri che preferiscono attestarsi nella contestazione di un solo profilo dell'articolo 3 (divieto di tortura e di trattamento inumano e degradante) della convenzione delle Nazioni Unite sui diritti umani. Per parlare di tortura si sarebbero dovute superare le 48 ore di "trattamento" mentre nella caserma Bixio a nord di Genova, tramutata con decreto in prigione provvisoria per le retate del G8, si arrivò al massimo a "sole" 35 ore di permanenza. Ma il commento finale dei pm genovesi non lascia comunque campo a disquisizioni retoriche: «furono adottati tutti quei meccanismi di "dominio psicologico" al fine di abbattere la resistenza dei detenuti e ridurne la dignità»: stare in piedi per ore, senza cibo e sonno al caldo, "bombardati" da rumori forti, con minacce, percosse e umiliazioni che sono riassunte in una memoria di 534 pagine consegnata ieri alle parti nel corso dell'udienza preliminare. Il formidabile ministro Castelli, in visita notturna alla struttura, ha sempre dichiarato di non aver notato nulla di strano
Patrizia Petruzziello e Vittorio Ranieri Miniati tracciano la storia del luogo dove personaggi di polizia di stato, carabinieri, polizia penitenziaria e personale sanitario, gli indagati sono 47 (15 della ps, 16 della polizia penitenziaria, 11 carabinieri e 5 tra medici e infermieri), avrebbero messo in piedi un sistema di abusi che iniziava con una sorta di "comitato di accoglienza" - attivo già nel piazzale dove arrivavano i manifestanti fermati, 252 in tutto - e finiva nell'infermeria che non era certo una "zona franca" ma una tappa del percorso di umiliazioni. «L'impatto delle parti offese con i medici - scrivono i pm - avveniva in condizioni di soggezione fisica e morale analoghe a quelle generali... spesse volte il medico (uno degli indagati, Toccafondi, usava visitarli in mimetica usando diagnosi come «Pronto per la gabbia» o «Abile, arruolato», ndr) veniva scambiato per un poliziotto».
Il "metodo", pochi mesi prima, secondo molti osservatori di movimento, aveva avuto una sorta di prova generale con le violenze analoghe subite da un numero più ristretto di attivisti in una caserma di polizia di Napoli. In entrambe le città chi arrivava in caserma, spesso, aveva già subito trattamenti pesanti prima e durante l'arresto. Come i ragazzi e le ragazze della scuola Diaz, già sanguinolenti e terrorizzati per la "mattanza cilena" nel dormitorio del Genoa social forum, che all'arrivo a Bolzaneto venivano marchiati su una guancia.

Nei cinque capitoli si definiscono i flussi delle persone transitate a Bolzaneto nelle varie giornate, la presenza delle forze dell'ordine, i tempi di permanenza, le catene di comando, i reati e si dà conto di anni di lunghe indagini ostacolate, spesso, dagli apparati infastiditi delle amministrazioni carcerarie e di polizia. «I capi e i vertici - si legge ancora nelle conclusioni - hanno permesso e consentito che in quei tristi giorni a Genova si verificasse una grave compromissione dei diritti delle persone. Ancora più grave perché erano persone detenute, già private della loro libertà personale; persone che in quella caserma, a prescindere dal comportamento precedente che ve le aveva portate, erano inermi e impotenti, spesso ferite, quasi sempre spaventate e terrorizzate. E quei reati sono stati commessi da pubblici ufficiali nell'esercizio delle loro funzioni. Non c'è emergenza per giustificare quello che è accaduto». Nulla può giustificare il taglio di ciocche di capelli a Taline Ender, Massimiliano Spingi e Sanchez Chicarro; la mano quasi rotta a Giuseppe Azzolina, la testa di Ester Percivati infilata in una turca mentre Marco Bistacchia veniva costretto a mettersi carponi e abbaiare e Mohamed Tabbach, 46 anni, veniva pestato perché non riusciva stare in piedi per ore con la sua gamba artificiale. Chi può dire se è andata meglio a Hinrichs Meyer Thorsten, costretto a girare nel piazzale con un berretto rosso con disegnate un falce e un pene al posto del martello o a coloro che hanno "solo" ricevuto minacce di violenza sessuale o colpi ai genitali, senza comunicare per giorni con familiari, legali e ambasciate. Il memoriale dei pm, è un pugno allo stomaco: percosse, ingiurie, umiliazioni e un monte di menzogne per coprire i misfatti. I reati contestati, a vario titolo, sono: abuso d'ufficio, violenza privata, abuso d'autorità contro detenuti o arrestati, falso, violazione dell'ordinamento penitenziario e della Convenzione per i diritti dell'uomo. Agli apici della catena di comando sono stati individuati, per la polizia di stato, la commissaria Anna Poggi e il vicequestore Perugini, famoso per un filmato che lo ritrae in piazza in quei giorni mentre cerca di picchiare un ragazzino di Ostia tenuto fermo da diversi agenti. Per l'amministrazione penitenziaria il responsabile era il magistrato Sabella per il quale è stata chiesta l'archiviazione. E' indagato invece un generale, allora colonnello, Oronzo Doria.

Con l'udienza di ieri è terminata, con le richieste di rinvio a giudizio, l'esposizione delle accuse. Per sapere se ci sarà un processo bisognerà attendere le conclusioni delle parti civili, delle difese e la decisione del giudice per l'udienza preliminare prevista non prima di due settimane.





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