[Lecce-sf] la mafia dell'Est !!! che vergogna!

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Szerző: luisa rizzo
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SOLIDARIETÀ AL PRETE DEL CENTRO REGINA PACIS DI LECCE

I NEMICI DI DON CESARE

Le ragazze che hanno accusato don Lodeserto hanno ritrattato.
Ma spuntano i sospetti di vendetta della mafia dell'Est europeo che prospera sulla prostituzione.

http://www.stpauls.it/fc/0512fc/0512fc30.htm

Gavrjusha scrive dall'Ucraina e centra l'obiettivo: «Don Cesare deve aver pestato i piedi a qualcuno continuando a esercitare non solo il suo dovere, ma anche il suo ministero apostolico». Bisogna occuparsi del contesto per capire dove sono maturate le accuse che hanno portato in carcere, con una decisione clamorosa e forse non necessaria, don Cesare Lodeserto, il sacerdote degli immigrati di Lecce, il fondatore del Centro Regina Pacis.
Dicono i suoi avvocati: «Pochi sanno quanto è pericolosa la mafia dell'Est, quella che dirige il traffico delle donne». Don Cesare in questi anni ha tirato via dalla strada oltre 1.100 ragazze. Per il business della prostituzione è stato un colpo straordinario. E non ci vuole nulla per fargliela pagare.


Don Cesare Lodeserto nel suo ufficio.

Le ragazze ospitate nel centro della Fondazione Regina Pacis, che non è più uno dei centri per gli immigrati previsti dalla legge Bossi-Fini, i cosiddetti Ctp (Centri di permanenza temporanea), hanno steso lenzuola bianche alle finestre in segno di solidarietà. Era appena tornato dalla Moldavia, venerdì scorso, quando i carabinieri si sono presentati per arrestarlo. Era a Mantova, dove la Fondazione gestisce un altro centro, ed era atterrato da poco all'aeroporto di Verona. A don Cesare è stato notificato un mandato di arresto per sequestro di persona e abuso di mezzi di correzione.

La denuncia era stata fatta da alcune ragazze ospiti del Centro a cui don Cesare avrebbe impedito di uscire, ritirando loro il permesso di soggiorno. Lunedì le ragazze hanno ritrattato, ritirato l'accusa, giustificandosi di averla fatta in un momento di difficoltà, forse a causa di qualche bicchiere di troppo. E poi hanno chiesto di poter tornare al Centro Regina Pacis, da dove gli inquirenti le avevano allontanate.


Don Cesare Lodeserto con una donna turca e il figlio.

Ma questo è solo l'ultimo atto di una campagna contro l'impegno del sacerdote pugliese e della Chiesa di Lecce. Da anni i no global del "Lecce Social forum", appoggiati anche da alcuni deputati della sinistra radicale e dei verdi, chiamano don Cesare "il boia del Regina Pacis". Circola anche un filmato per sostenere le accuse.

Dalla lotta politica si è passati alle denunce per maltrattamenti e peculato e alle bombe contro il Duomo di Lecce, abitazioni dei parenti di don Cesare e altri uffici della Curia. Si è parlato di matrice "anarco-insurrezionalista", ma forse c'è anche dell'altro, visto che sugli attentati indaga anche l'antimafia.


Don Cesare con l'arcivescovo di Lecce monsignor Cosmo Francesco Ruppi.

È ancora il contesto che bisogna leggere in tutte le sue pieghe. Don Cesare ha sempre criticato la legge Bossi-Fini, ma anche scelto, fino a un certo punto, di restare dentro i Ctp, per umanizzarli. Quello di San Foca era diverso dagli altri e quando 17 immigrati hanno accusato don Cesare, i collaboratori e i carabinieri di guardia di violenze di varia natura, anche di carattere religioso (secondo l'accusa, un musulmano sarebbe stato costretto a mangiare carne di maiale cruda), è scattato più di un sospetto.

«Ha servito e aiutato i poveri»

Alcuni circoli della sinistra no global hanno accusato in questi anni don Cesare e il volontariato della Chiesa leccese di coprire tutto con la «retorica dell'accoglienza», chiedendo la chiusura del Regina Pacis. La realtà è assai diversa. Da quasi 10 anni a San Foca si fa tutto, eccetto che retorica.

Spiega monsignor Francesco Ruppi, arcivescovo di Lecce: «Don Cesare ha servito e aiutato una grandissima schiera di poveri, immigrati, diseredati. Ho fiducia che la verità venga a galla dinanzi alla giustizia della terra, così come lo è dinanzi alla giustizia di Dio». E la solidarietà è scattata subito attraversando tutte le formazioni politiche: da D'Alema a Buttiglione, dalla Cgil al ministro Prestigiacomo, e poi vescovi, il direttore della Radio Vaticana padre Federico Lombardi. Infine migliaia di e-mail arrivate dall'Italia e dall'estero, soprattutto da Moldavia, Ucraina, Romania, da tante famiglie che hanno recuperato grazie all'opera di don Cesare e dei suoi le mamme, le sorelle, le figlie.


Il sacerdote con la scorta.

Da Chisinau ha scritto il vescovo Anton Cosa: «Non ho mai pensato che si potesse arrivare fino a questo punto. Sono sicuro che dietro c'è una forza del Maligno. Don Cesare, sta' forte e non cadere. È solo un'altra prova della nostra lotta. Serve a dimostrare che è una lotta vera».

Don Cesare, che dopo l'arresto si è dimesso da tutte le cariche per facilitare l'accertamento della verità, ha aperto case per ragazze in difficoltà, per i bambini che vivono nelle fogne in Moldavia, in Ucraina. Lo ha fatto sempre in accordo con la Chiesa locale. Con lui lavorano molte congregazioni religiose. Ed è stato anche l'unico sacerdote, anzi l'unico straniero, a poter entrare in Trasnistria, una lingua di terra incastrata tra la Moldavia e l'Ucraina lungo il fiume Dnestr, dove è stata autoproclamata una Repubblica comunista riconosciuta solo da Mosca e dove le condizioni di vita della popolazione sono di gran lunga sotto la soglia di sopravvivenza. Da alcuni mesi, nei pressi di Tiraspol, funziona un orfanotrofio gestito dalla Fondazione Regina Pacis che cerca di alleviare le sofferenze di molti bimbi abbandonati.

Sono tutte frontiere difficilissime quelle su cui si è sempre mosso don Cesare. L'ultima è quella dei night club. Perché, ha chiesto in una lettera inviata a molti parlamentari, le ballerine dei night sono fuori dalle quote e le badanti no? A chi ha pestato i piedi don Cesare?



Alberto Bobbio
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