[Cm-roma] Bicycle, the history

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Szerző: arancione35
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Tárgy: [Cm-roma] Bicycle, the history
--Sorry,a questa interessante notizia avrei una obiezione,e ben documentata!
La prima bici"moderna",ovvero con pedali, fu costruita da un fabbro scozzese di nome Kirckpatrik MacMillan,che nel 1842(quindi prima del francese di cui parla l'articolo) fece circa 70 miglia dal suo paesino fino a Glasgow,impiegando circa un giorno e mezzo.Arrivato in città,la gente si accalcava per guardare quell'aggeggio,poi battezzato "the dandy horse";dalla folla sbucò improvvisamente una bimba,che il fabbro involontariamente fece cadere.Per questo fu multato di 5 scellini per elevata velocità(!), e questa pare essere stata la prima multa mai pegistrata per infrazione stradale!Comunque un giudice,vedendo il marchingegno, chiese una dimostrazione e,riconoscendo l'ingegno dell'uomo,eliminò la multa.
Il fabbro non brevettò mai la sua bici di legno,ma continuò ad usarla in paese, dove lo chiamavano matto.Qualcun altro copiò la cosa e di lì a poco la mise in commercio in Imghilterra.
Pare che la nipote del MacMillan,tale Mary Marchbank, sia stata la prima lady ciclista al mondo,ma di lei non sono riuscita asapere di più.
Anyway la suddetta bici originale sta qui a Glasgow in un museo.Io l'ho vista sissssì.
Ci sono un bel pò di siti con foto e disegni.
LOOOVE






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>From      : cm-roma-bounces@???

To          : "Critical Mass Roma" cm-roma@???
Cc          : 
Date      : Tue, 15 Mar 2005 19:58:04 +0100
Subject : [Cm-roma] Bicycle, the history


> Tutto cominciò nel 1696, con un progetto che rimase sulla carta.
> Ma la prima vera bicicletta fu progettata nel 1867.
> Da allora quel "cavallo meccanico" semplice e geniale ha segnato l'infanzia
> di intere generazioni.
> E ora un libro ne ripercorre l'incredibile viaggio.
> Le due ruote che fecero la storia.
> Si calcola che nel mondo ne circolino più di un miliardo.
> Lo storico: "Le bici continueranno a esistere finché uomini e donne avranno
> le gambe".
>
> Articolo di Enrico Franceschini.
>
> Nessuno di noi può ricordare l'attimo in cui è nato, e nella memoria di un
> adulto rimane ben poco dell'intera infanzia: delle prime parole, dei primi
> passi, dei primissimi giochi. Eppure quasi tutti conserviamo qualche precisa
> reminiscenza della prima pedalata, la sensazione del giorno in cui,
> inforcata una bicicletta, abbiamo finalmente spiccato il volo: la mano del
> genitore che sorregge il sellino da dietro aiutandoci a mantenere un
> precario equilibrio su due ruote, e poi d'un tratto si stacca, e
> all'improvviso ci accorgiamo di correre senza più alcun sostegno, soli,
> sulle nostre gambe. Tramandata di padre in figlio, quella magica esperienza
> costituisce spesso il primo ricordo autentico, quasi il momento in cui
> abbiamo acquisito la consapevolezza di vivere.
>
> Di generazione in generazione, molto è cambiato nel mezzo di trasporto
> protagonista di questa indicibile emozione: la forma, il materiale,
> l'equipaggiamento che lo completa e lo arricchisce. In fondo è cambiato
> perfino il nome: i quarantenni o cinquantenni odierni non dimenticheranno
> mai la "bici" della loro giovinezza, mentre i ragazzi d'oggi parlano
> soltanto di mountain bike. Ciononostante, molto resta anche immutato, nella
> bicicletta. Milioni di persone in cinque continenti continuano a usarla come
> efficace ed economico sistema di locomozione. Legioni di ciclisti dilettanti
> continuano a montarci sopra nel weekend, per fare esercizio o andare a
> spasso. Ogni anno, il Tour de France e altre classiche competizioni
> continuano ad attirare spettatori e a suscitare grandi passioni. In un mondo
> che si evolve e si trasforma a velocità prodigiosa, il boom della bicicletta
> sembra un'inesauribile costante. Non ci sarebbe dunque da meravigliarsi se i
> nostri antenati la considerarono una delle maggiori conquiste del progresso,
> alla stregua della nave a vapore, del treno, del telegrafo e del telefono.
>
> Potrebbe stupire, piuttosto, che di un tale meraviglioso marchingegno
> nessuno avesse ancora raccontato la storia come si deve. A colmare la lacuna
> provvede ora un libro illustrato di cinquecento pagine, altrettanto
> meraviglioso, uscito negli Stati Uniti e in Gran Bretagna: "Bicycle, the
> history", a cui l'autore, David Herlihy, storico di Harvard, ha dedicato ben
> quindici anni di studi e di ricerche. L'invenzione di un veicolo in grado di
> sostituire il cavallo, bisogna dire, prese molto più tempo. Nel 1696, un
> francese visionario, Jacques Ozanam, progettò un mezzo "auto-movente"
> azionato dall'uomo: ma la sua idea non andò troppo lontano dalla carta su
> cui era tratteggiata. Da allora dovette trascorrere oltre un secolo affinché
> un eccentrico tedesco, il barone Karl von Drais, producesse nel 1816 il
> prototipo del primo velocipede (dal latino "velox pedis", dal piede veloce):
> una sorta di "cavallo meccanico", con due ruote ma senza pedali e,
> particolare da tenere presente, pure senza freni. In pratica funzionava
> secondo il concetto del monopattino: uno ci saliva sopra e dava una spinta
> con i piedi. Comportava rischi non indifferenti: se per caso prendevi
> velocità su una discesa, potevi romperti il naso; altrimenti consumavi la
> suola delle scarpe e non facevi molta strada. Bastò tuttavia a suscitare
> entusiasmi in mezza Europa. «Il più grande trionfo della tecnica», scrisse
> liricamente un giornalista inglese nel 1819. «Sarà la creazione di una
> macchina o di un carro per viaggiare, senza cavalli o altri animali che lo
> tirino». I tempi, evidentemente, erano maturi, ma ci volle un altro mezzo
> secolo perché a qualcuno venisse in mente di metterci i pedali.
>
> La svolta venne nel 1867, quando un fabbro francese di nome Michaux aggiunse
> non solo i pedali, ma anche i freni. Il suo primo modello, costruito in
> acciaio massiccio, pesava però più di trenta chili e aveva le ruote di
> legno: pilotarlo in equilibrio non era un'impresa facile. In più costava un
> patrimonio: all'inizio poteva permetterselo soltanto l'aristocrazia. Ciò
> malgrado, era nata la bicyclette, la definizione francese destinata a
> diventare universale (da "bicycle", che a sua volta deriva dal latino "bi" e
> dal greco "kyklos": a due ruote). La curiosità fu immediata: il primo,
> primitivo esemplare lanciò una frenesia di sperimentazioni sulle due sponde
> dell'Atlantico, catturando rapidamente l'attenzione del mondo. «Mai prima
> d'ora nella storia manifatturiera americana è sorta una simile domanda di
> massa», declamò il New York Times nel 1869. Esagerata retorica, ma
> l'eccitazione era comprensibile. Per la prima volta nella storia
> dell'umanità, la gente poteva effettivamente immaginare un'esistenza in cui
> il cavallo - amata ma esigente e talvolta bizzosa creatura - non
> rappresentava più il principale mezzo di trasporto quotidiano. All'orizzonte
> si approssimava una nuova era di viaggi su strada, che avrebbe consentito a
> chiunque di ricoprire grandi distanze in un tempo relativamente breve,
> partendo in qualsiasi momento. Quelle due ruote a pedali, insomma,
> promettevano una rivoluzione.
>
> Certo, l'euforia degli inizi si rivelò prematura. Sebbene le vendite
> aumentassero a ritmo prodigioso, e sorgessero quasi subito i primi circuiti
> per corse agonistiche, si dovette attendere un'altra generazione prima che
> la bicicletta assumesse una forma più pratica e invitante. Con il 1870
> arrivarono le bici dall'enorme ruotona anteriore, che col senno di poi ci
> appaiono buffi apparecchi da equilibristi del circo ma che per un breve
> periodo sembrarono ispirate dal miglior buon senso. In ogni caso è a quel
> punto che furono introdotte due importanti innovazioni: la catena di
> trasmissione e il tubolare pneumatico. Il passaggio al tipo di bicicletta
> che conosciamo oggi avvenne verso la fine del decennio successivo, quando
> dagli stabilimenti della ditta Rover di Coventry, in Inghilterra, uscì un
> modello con sellino basso, ruote delle medesime dimensioni, catena, freni,
> pedali, e un costo più accessibile. Il successo fu immediato. Nel 1890,
> mezzo milione di biciclette circolavano già sulle strade del Regno Unito.
> Poi, nel 1891, arrivò l'ennesimo, fondamentale passo avanti, compiuto di
> nuovo al di là della Manica: a Clermont-Ferrand, in Francia, Edouard
> Michelin di fatto reinventò la ruota, realizzandone una distaccabile
> dall'intelaiatura, a cui era affissa con viti e bulloni. Fino a quel
> momento, le ruote venivano incollate al telaio: oltre a essere più pratico,
> il nuovo sistema permetteva al ciclista, in caso di foratura, di cambiare la
> ruota e riprendere il viaggio. A patto, naturalmente, di averne con sé una
> di scorta.
>
> Il resto è noto. La storia della bicicletta è anche la storia della sua
> accettazione sociale come mezzo di locomozione, e dell'impatto che ebbe
> sullo sviluppo di una rete stradale, sul costume, perfino sull'eguaglianza
> trai sessi. «Che le donne abbiano le gambe, e che anch'esse possano usarle,
> segna l'avvento di una nuova epoca», annotò un cronista (uomo) alla fine del
> diciannovesimo secolo. La bici conteneva inoltre il seme di altre future,
> strabilianti invenzioni: non a caso Henry Ford e i fratelli Wright
> iniziarono le loro carriere come meccanici di biciclette. E soprattutto,
> osserva l'Economist, essa simboleggiava un nuovo gusto di muoversi e un
> desiderio d'indipendenza. Il ventesimo secolo ha portato nuovi materiali,
> prezzi più bassi, produzione di massa. Oggi, all'alba del ventunesimo, si
> calcola che sulle strade del pianeta ne circolino più di un miliardo. La
> previsione è che non smetterà di evolversi, cambiare, modernizzarsi: ma è
> altamente probabile che resti l'unico mezzo capace di portarci così lontano
> per così poco. Una cosa è certa, scrive David Herlihy a conclusione del suo
> enciclopedico volume: «Finché uomini e donne continueranno ad avere le
> gambe, continueranno a esistere le biciclette».
>
> Tratto da "la Repubblica" di Domenica 13 Marzo 2005, pag. 30/31.
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