[Lecce-sf] ROMANO PRODI Venerdì 11 marzo 2005

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Aihe: [Lecce-sf] ROMANO PRODI Venerdì 11 marzo 2005
perché nessuno possa dire domani che non
sapeva, che non vedeva, che non capiva
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ROMANO PRODI
Intervento alla riunione in Senato dei capigruppo dell'Unione
Venerdì 11 marzo 2005



Cari amici,

la ragione di questa riunione è particolarmente importante.

E' all'ordine del giorno del Senato la approvazione di un progetto di
riforma costituzionale che cambia profondamente la nostra Costituzione.
Il numero degli articoli coinvolti, la quantità di settori della
Costituzione toccati, il contenuto delle modifiche sono tali da obbligare a
dire che siamo di fronte a un mutamento radicale della nostra Carta
costituzionale. Qualcuno anzi, anche con grande autorevolezza, ha parlato
persino di una nuova Costituzione.
La Maggioranza intende dedicare all'esame e all'approvazione di questa
modifica solo una quindicina di ore: un tempo che toglie oggettivamente ai
senatori ogni possibilità di discutere, approfondire, esaminare
compiutamente ciò che sono chiamati a votare.
Dopo aver anticipatamente chiuso la fase dell'esame in Commissione ora la
Maggioranza pretende che l'Aula del Senato si trasformi in una pura
macchina per votare.
Questo è un comportamento così fortemente in contrasto con ogni regola e
con ogni rispetto della sacralità stessa che caratterizza la Costituzione,
da obbligarci a porre a noi stessi un interrogativo gravissimo.
In che Paese viviamo? Quale è l'idea di Costituzione, di Democrazia, di
Convivenza civile che hanno i parlamentari che sostengono questa
maggioranza? Essi sono persone che, pur avendo idee politiche diverse dalle
nostre, sono come noi, vivono accanto a noi, operano insieme a noi, hanno
spesso toni garbati e modi civili, sanno l'importanza delle regole e i
grandi valori in gioco.
E dunque, perché si comportano così?
Perché accettano di tenere comportamenti che se dovessimo oggi leggerli sui
libri di storia come accaduti in un'altra epoca ci farebbero rabbrividire?
E ancora, mi chiedo: cosa dobbiamo fare noi?
Quali iniziative dobbiamo assumere per dire ai nostri cittadini cosa sta
accadendo?
Anni e anni di dibattiti sulle riforme costituzionali hanno fatto sì che
l'attenzione su questi temi sia calata e la sensibilità della gente sia
diminuita.
Le difficoltà che il Paese attraversa possono spingere molti a ritenere che
vi siano cose più importanti delle regole costituzionali da tutelare e
difendere. Che sia più importante guardare all'economia in frenata, alle
tensioni internazionali, alle difficoltà quotidiane piuttosto che a
dibattiti difficili su regole lontane.
Noi sappiamo che non è così.
Sappiamo che quello che si vuole fare mina alle fondamenta la nostra
convivenza civile, mette in crisi la legalità costituzionale intesa come
grande patto comune su cui si basa la convivenza della comunità.
Sappiamo che proprio nell'anno in cui si celebra il sessantennale della
resistenza e della Liberazione dalle quali è sorta la nostra Repubblica si
vuole cancellarne di fatto il frutto più prezioso: quella Costituzione che
da essa è nata e sulla quale abbiamo ricostruito il Paese.
Sentiamo che non possiamo tacere.
Dunque che fare?, Quali iniziative dobbiamo assumere? Come dobbiamo
richiamare l'attenzione di tutti su quello che sta accadendo affinché
nessuno domani possa dire che non sapeva e non conosceva?
E ancora: come possiamo prepararci alla prossima inevitabile battaglia
referendaria?
Quello che sta accadendo dimostra che la maggioranza intende andare fino in
fondo nel suo tentativo di cambiare in solitudine e secondo logiche del
tutto interne alla maggioranza stessa la nostra Costituzione, la
Costituzione di tutti.
Sappiamo dunque che sarà inevitabile per noi ricorrere al referendum,
chiamare tutto il popolo a raccolta, chiedere a tutti un atto di orgoglio
e, consentitemi, un atto di unione di tutti i cittadini di fronte a tanta
protervia.
Ma non possiamo rimandare a domani, alla inevitabile prova referendaria, la
nostra più fiera opposizione.
Abbiamo il dovere di reagire.
Deve cominciare per noi, e badate che sono consapevole del peso delle
parole che uso, una forte risposta.
Una risposta che deve sempre mantenere una forma democratica, come è nostro
costume.
Una forma pacata nei toni e forte nei ragionamenti, come noi crediamo debba
essere la azione politica in democrazia.
Ma deve essere una risposta forte, non più confinata solo alle Aule
parlamentari o alle iniziative, importantissime di molti amici a noi
vicini, e che io ringrazio per quanto hanno fatto, che in questi mesi hanno
organizzato su questi temi una prima importante serie di azioni pubbliche.
Quello che sta succedendo è infatti inammissibile.
Pur di far votare in sole quindici ore una riforma che di fatto cambia
tutta una Costituzione si imbavaglia l'opposizione consentendole di parlare
per non più di un minuto su ciascuno degli articoli da modificare, e si
impedisce alla stessa maggioranza di esprimere qualunque opinione che non
sia dire sì.
E' giunto il momento che anche noi, le forze politiche dell'opposizione,
unite nell'Unione, assumiamo tutte intere le nostre responsabilità davanti
a questi fatti.
Questa è dunque la ragione di questa riunione.
Queste sono le domande fondamentali alle quali dobbiamo dare una risposta.


Personalmente ho più volte detto che credo che le nostre istituzioni
debbano essere adeguate ai molti e importanti cambiamenti intervenuti in
seguito al vertiginoso aumento dei compiti pubblici.
E' questo del resto che ha condotto alla necessità di ampliare il ruolo
delle regioni e delle autonomie locali e di dare più ampio riconoscimento
alle autonomie funzionali e alla sussidiarietà orizzontale.
Il sistema politico saldamente attestato sul modello bipolare giustifica
certamente, ed anzi richiede con urgenza, un irrobustimento del ruolo del
governo e contemporaneamente un irrobustimento forte del ruolo del
parlamento e di tutte le istituzioni di garanzia, prima fra queste il
Presidente della Repubblica. Nel sistema bipolare ispirato al principio di
una democrazia di governo deve essere riconosciuto un ruolo istituzionale
all'opposizione e devono essere rafforzati i poteri di controllo e di
sindacato del Parlamento, così come deve essere rafforzato il ruolo della
Corte costituzionale, del potere giudiziario e delle Autorità di garanzia,
alle quali occorre riconoscere anche formalmente quel ruolo e quel rilievo
costituzionale che già oggi di fatto svolgono. Essenziale infine in una
democrazia bipolare ispirata al principio del governo della maggioranza
assicurare la imparzialità e il pluralismo nell'informazione e in generale
nella comunicazione politica, impedendo non solo il conflitto di interessi,
il che appartiene alle regole minime del rispetto dello Stato di diritto ma
anche il condizionamento di fatto dell'informazione da parte di chi detiene
il governo.
A questi punti, da me sempre richiamati, se ne aggiunge ora un altro legato
alla approvazione della nuova Costituzione europea.
L'integrazione fra ordinamenti nazionali ed ordinamento europeo impone
ormai di considerare l' adeguamento del nostro ordinamento alla nuova
Costituzione europea come un problema di diritto costituzionale interno.
Non sarò certo io, dunque, né saremo noi a negare che vi siano questioni,
anche urgenti, di adeguamento delle nostre istituzioni e delle nostre
regole, anche di rango costituzionale. E del resto nella scorsa legislatura
noi ci siamo assunti la responsabilità di modificare il Titolo V della
nostra Costituzione proprio per ampliare ruolo, funzioni e competenze delle
regioni e delle autonomie locali in un quadro di consolidamento del ruolo,
anche di governo, delle nostre realtà regionali e locali e di avvicinamento
delle decisioni pubbliche ai cittadini che ne sono destinatari. Riforma,
quella, che certo ha presentato nell'esperienza concreta luci ed ombre e
che richiede oggi di essere rivisitata per meglio adeguarla alle necessità
di un sistema ben funzionante, ma riforma che io credo giusto difendere.
Così come è giusto ricordare che quella riforma, pur adottata solo dalla
maggioranza assoluta delle Camere , ha costituito il punto di approdo di
una lunghissima riflessione istituzionale che ha caratterizzato tutta la
scorsa legislatura e che ha visto sempre un dialogo approfondito con
l'opposizione di allora.
Oggi però noi non ci troviamo di fronte a uno sforzo di adeguamento di una
parte che non tocca i principi fondamentali della nostra Costituzione. Non
ci troviamo davanti ad un onesto tentativo di modernizzare le nostre
istituzioni, cercando con buona fede e senso dello Stato il modo più
opportuno per rafforzare la nostra democrazia.
Voglio dirlo con pacatezza: noi ci troviamo di fronte a un inaccettabile
tentativo di usare la Costituzione come terreno di scambio fra le forze
politiche della maggioranza. Ci troviamo di fronte a una maggioranza che
dichiaratamente, e talvolta anche impudentemente, considera la Costituzione
come una cosa propria, da poter modificare a proprio piacimento e secondo
le proprie convenienze.
La stessa accelerazione che in questi giorni si vuole imprimere
all'approvazione in Senato di questo testo lo testimonia.
Quello che guida chi vuole che questa riforma sia approvata qui ed ora, con
questi ritmi che neanche la più arretrata delle democrazie potrebbe
accettare, è una ragione di maggioranza: dare soddisfazione a una
componente della coalizione di governo, ed assicurare questa forza politica
che il patto di governo è rispettato dai suoi alleati.
La Costituzione come merce di scambio, dunque.
Del resto che sia così lo dimostra il fatto stesso che mentre, per impulso,
e vorrei dire per ricatto di una componente della maggioranza, si accelera
la approvazione della riforma costituzionale italiana anche a costo di
strozzare ogni possibilità di dibattito e di serio esame delle norme
proposte, contemporaneamente si rinvia a dopo le elezioni regionali l'esame
e l'approvazione della ratifica della Costituzione europea.
Per esaminare e ratificare la Costituzione europea, atto fondamentale per i
popoli europei e fortemente voluto dal nostro Paese e dai nostri cittadini,
atto la cui rapida ratifica da parte nostra ha un valore simbolico e di
esempio anche per gli altri Paesi europei, non c'è tempo e occorre
rinviare.
Per la riforma costituzionale italiana, invece, il tempo si trova e la si
vuole approvare anche se si schiaccia l'opposizione e si umilia il Paese
agli occhi del mondo.
Se poi si pensa che, caso unico nella storia delle Costituzioni, si vuole
approvare una riforma che in molte parti fondamentali, quali il nuovo
Senato, è destinata ad entrare in vigore solo nel 2011 non si può che
provare un moto di ribellione a tanta prepotenza.


Di fatto si vuole una nuova Costituzione che frammenta e disarticola il
sistema dei diritti sociali fondamentali dei cittadini e proprio per questo
esaspera il regionalismo italiano fino al punto di mettere in discussione
nei fatti concreti, nella quotidianità di tutti i giorni, nei diritti
sociali che i cittadini sentono più importanti quali il diritto alla salute
e all'istruzione, l'unità nazionale.
Unità nazionale, infatti, significa prima di tutto unità di diritti e di
doveri. Nelle società contemporanee, che fondano la cittadinanza stessa sui
diritti sociali non meno che su quelli di libertà individuale, la
solidarietà nazionale è la dimensione moderna della stessa unità nazionale.
Dunque un decentramento, o se volete uno pseudofederalismo che mette in
crisi la nostra stessa unità di popolo e di nazione.
Contemporaneamente però, sul versante del governo e dello Stato questa
riforma introduce un fortissimo accentramento, che, attraverso una
utilizzazione tutta politica ma senza limiti dell'interesse nazionale,
mette nelle mani della maggioranza parlamentare e del governo ogni
effettiva leva di comando.
Questo è un accentramento che presuppone uno stato di perenne tensione del
sistema, una sorta di crisi istituzionale permanente nei rapporti tra Stato
e gli altri livelli di governo o, almeno, la possibilità di una minaccia
continua.
Tutto il contrario di quello che è necessario per garantire un ben oliato e
corretto funzionamento dei moderni sistemi di democrazia basati su una
pluralità di livelli di governo.
xxx xxx

Vi sono altri due grandi pericoli in questa riforma:
Il primo è il rafforzamento della figura del Presidente del Consiglio e del
suo governo all'interno di un sistema nel quale contemporaneamente si
indeboliscono tutte le istituzioni di garanzia e non si crea nessuno dei
contrappesi che, a cominciare dal ruolo del Parlamento e da quello
dell'opposizione in Parlamento devono caratterizzare invece un sistema ben
funzionante di democrazia governante.
In queste condizioni è vero che, come è stato detto, si rischia il
Primierato assoluto e cioè una forma di governo che vede tutto incentrato
intorno al ruolo del Presidente del Consiglio senza che vi sia alcun altro
potere capace di esercitare un significativo ruolo di contrappeso.
Lo stesso indebolimento del Presidente della Repubblica è in questo
contesto emblematico.
Limitando fino a sopprimere il ruolo di arbitro del conflitto politico che
oggi il Presidente della Repubblica svolge nel nostro sistema
costituzionale e indebolendo il ruolo della Corte costituzionale non si
rafforza solo il governo: si rischia di creare la dittatura di maggioranza.
Una dittatura di maggioranza che in un contesto in cui il Presidente del
Consiglio ha sostanzialmente un diritto forte di vita o di morte sulla sua
stessa maggioranza rischia di diventare quasi necessariamente una dittatura
del Premier.
Ma vi è un secondo e ancora più grave rischio.
un sistema come quello che si vorrebbe imporre non può in alcun modo
funzionare secondo le regole della legalità costituzionale.
Le inevitabili tensioni tra centro e periferie legate al coesistere insieme
di una devolution che disfa l'unità nazionale e un potenziale accentramento
che soffoca ogni autonomia;
le inevitabili tensioni tra Camera e Senato, costruite come due collegi di
diversa natura e diverse competenze, antagonistiche tra loro fino al punto
di richiedere un articolo sulla formazione delle leggi lungo più di una
circolare ministeriale;
l'indebolimento complessivo di tutte le strutture di garanzie e di quelle
che possono svolgere, come in questi anni hanno svolto, un ruolo
fondamentale di collante del sistema complessivo;
tutto questo è funzionale a una cosa sola:
per far funzionare questo sistema sarà necessario e inevitabile un
fortissimo accentramento politico e una assoluta concentrazione di potere
politico nelle mani dell'unica figura monocratica forte esistente nel
quadro costituzionale: il Presidente del Consiglio appunto.
Il pericolo più grave si chiama dunque dittatura del Premier. Una forma
moderna di dittatura, ma non per questo meno pericolosa. Una dittatura
organizzata su una incredibile commistione di rafforzamento del Presidente
del consiglio e di indebolimento di tutti gli altri organi costituzionali e
che fonda la sua forza nell'inevitabile e permanente conflitto tra centro e
periferia e tra periferie che la devolution porta con sé.

Concludo.
Ho detto pochi giorni fa che l'Unione ha in sé tutte le forze che hanno
dato vita alla nostra Costituzione e che hanno concorso pur tra tante
difficoltà e tensioni a consolidare il nostro quadro istituzionale e la
nostra convivenza civile. Ho detto anche che proprio questo ci dà il
diritto e il dovere di pensare anche alla necessità di adeguamenti delle
nostre istituzioni ai nuovi tempi in cui viviamo. Dico ora però, con tutta
la forza che mi è possibile usare, che ora prima di tutto e avanti a tutto
abbiamo un dovere essenziale al quale adempiere: fare tutto ciò che è in
nostro potere per avvisare il nostro popolo dei pericoli che incombono su
di noi. Batterci in ogni modo perché nessuno possa dire domani che non
sapeva, che non vedeva, che non capiva.


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