[Cm-milano] Politiche Lidl

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Autor: Tool
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Betreff: [Cm-milano] Politiche Lidl
-Rilancio l'articolo che ho letto sulla Critical Roma; e' partito in
risposta ad un acquisto carrello per bici al discount Lidl per agganciare
tipo tandem i pargoli


Il Manifesto - 02 febbraio 2005

VERSO SINISTRA
Felicita Magone
Cassiera alla Lidl ed iscritta CGIL

Anzitutto, illustrando alcuni dati, cercherò di tracciare l'identità della
multinazionale tedesca presso la quale lavoro: la Lidl. L'inizio
dell'attività Lidl è da collocarsi negli anni '30 quando la società fu
costituita nella zona centrale della Germania con il nome di Lidl & Schwarz
da cui negli anni settanta prende il via il ramo discount con l'insegna
Lidl.
Il fondatore e proprietario di questo impero commerciale è un uomo nativo
della Svevia Herr Dieter Schwarz. Oggi le filiali del suo gruppo sono
presenti in 24 paesi europei e Schwarz è uno degli uomini più facoltosi
della
Germania. Secondo i dati del 2004, il bilancio del suo gruppo ammonta a 36
miliardi di euro, con una crescita del 44% negli ultimi tre anni. Nel '99,
prima che i suoi legali facessero richiesta esplicita affinché non
comparisse
nell'elenco del periodico americano Forbes, figurava al 37° posto fra gli
uomini più ricchi del pianeta. Questo multimiliardario evita ogni
apparizione
pubblica e di lui esistono solo due fotografie che lo ritraggono. Non ha
uffici stampa e addetti alle pubbliche relazioni e secondo le parole di un
rappresentante di una agenzia di ricerche tedesca, l'impero Schwarz "è un
colosso a conduzione familiare dominato dalla segretezza". Dopo essersi
saldamente affermato in Germania, nel 1992 ha dato il via ad una campagna di
espansione nel resto d'Europa approdando in Francia, Austria, Italia,
Polonia, Gran Bretagna e in altri 12 paesi del continente. In Italia la Lidl
ha aperto le sue prime filiali in Veneto. All'entrata di ogni discount era
affisso un manifesto nel quale si propagandava la formula che giustificava
la
convenienza dei prezzi: arredamenti essenziali, prodotti di marche
sconosciute, assenza di pubblicità. Sul forte risparmio garantito dal
mancato
rispetto dei contratti di lavoro, dallo sfruttamento del personale, da una
gestione senza scrupoli, non si parlava. La filiale da cui provengo ha sede
ad Albenga ed ha aperto i battenti nel Febbraio del 1992. Che si trattasse
di
un futuro lavorativo quantomeno scomodo, lo si capiva fin dal test
d'ingresso
per l'assunzione un centinaio codici di 3 cifre da imparare a memoria in
pochi giorni! La realtà del dopo assunzione è tutt'altro che rassicurante:
ordini secchi e militareschi, severità massima rimproveri forti, clima
ostile. I diktat: Velocità estrema - in corsia 4 bancali l'ora, in cassa 240
clienti per ogni turno di 4 ore; flessibilità estrema su tutti i fronti -
svolgere ogni tipo di mansione stare in cassa, rifornire scaffali, pulire
bagni e piazzali, smontare e rimontare scaffalature e altre amenità. Di
norme di sicurezza nemmeno l'ombra: per ridurre il volume degli imballaggi
di
cartone ci dovevamo arrampicare su grosse gabbie a 4 ruote, dette roll, -
alte circa 2 metri e 50, entrarvi e saltando schiacciare i cartoni col peso
del corpo; per scaricare le merci poste più in alto, siccome in filiale non
c'erano scale, dovevamo salire su trasportatori elettrici, rischiando l'osso
del collo. L'orario di lavoro fisso, poi, è sempre stato un optional. Le
addette alla vendita, da noi, sono assunte tutte con contratto part-time che
per legge prevede espressamente turni di lavoro rigorosamente definito. Nel
migliore dei casi l'orario ci veniva comunicato con un anticipo di qualche
giorno, a volte purtroppo, con un preavviso di qualche ora dall'inizio del
turno. La cosa più pesante da tollerare è sempre stata la pressione
psicologica che questo genere di organizzazione del lavoro riesce a
realizzare. Il sistema militaresco, estremamente gerarchico, impedisce che
le
proteste o le richieste abbiano seguito. Il perno centrale attorno a cui si
snoda tutto il meccanismo (e questo gli esperti di mobbing lo sanno bene) è
l'errore: la strategia è quella di far sentire il lavoratore inadeguato, non
all'altezza,. Questo è un meccanismo molto potente, in grado, nella quasi
totalità dei casi, di disinnescare le proteste sul nascere, di disarmare
anche avendo la legge dalla propria parte. Col passare degli anni per me e
le
mie colleghe l'insofferenza per quei metodi e quei sistemi diventa sempre
più
forte. A fine primavera del 99, in seguito al passaggio dalla direzione di
Milano a quella di Bologna, cade la classica goccia che fa traboccare il
vaso! La nuova direzione è decisa ad aumentare a tutti i costi la
produttività, usando tutti gli strumenti possibili, leciti o illeciti. Il
clima è da "Gestapo". Ti senti continuamente addosso occhi che ti
controllano. In cassa, poi, tenere i ritmi richiesti è impossibile. Siccome
in filiale non siamo abbastanza solerti nell'adeguarci ai loro dettami,
fanno
sparire le sedie, costringendoci a lavorare in piedi. Personalmente, vengo
convocata in ufficio da un superiore che, con tono minaccioso e sprezzante,
mi avverte che se entro breve non mi adeguerò agli standard stabiliti
dall'azienda, sarò affiancata da una persona che farà in modo che la mia
unica mansione sia pulire bagni. Nel Giugno del '99 insieme a gran parte
delle mie colleghe aderiamo al sindacato. Dopo un iniziale inasprimento
delle
condizioni di lavoro il clima cambia. Usiamo la tecnica dei fax e delle
lettere alla direzione generale dell'azienda, per fare uscire dal chiuso
della nostra realtà locale, vicende e situazioni spesso al di fuori della
legalità. Sono momenti ancora delicati e difficili, ma la solidarietà tra
noi, e la certezza del valore della nostra causa, ci aiutano ad andare
avanti. All'inizio del 2003, come delegata sindacale, informo le mie
colleghe
sull'andamento delle trattative per il contratto integrativo aziendale e
sulla seguente rottura del tavolo negoziale. A seguito di questa rottura c'è
da parte delle OO.SS. la proclamazione di uno sciopero. I miei superiori non
gradiscono il mio impegno per la sua riuscita. Così, comincia a crescere la
loro arroganza e prepotenza, e in vari modi cercano di screditare il mio
operato e quello del sindacato. Il capo settore pretende poi per il futuro
di
essere informato preventivamente su ogni iniziativa si sia intenzionati a
prendere su invito dell OO.SS. Il sindacato, dopo il fallimento del
tentativo
di riconciliazione messo in atto invitando la direzione dell'azienda a
dissociarsi dalle affermazioni e dalle richieste del capo-settore, decide di
adire le vie legali. È il Luglio del 2003. Il giudice del lavoro del
Tribunale di Savona emette una sentenza di condanna della Lidl Italia per
attività antisindacale. A dirla così potrebbe sembrare un'impresa facile o
scontata, ma vi assicuro che soprattutto a livello emotivo il prezzo di
questa nostra vittoria è stato per me e le mie colleghe davvero alto. Dopo
un
iniziale periodo di tranquillità post sentenza, sono tornati alla carica.
Dall'inizio dell'estate prendendo a pretesto il fatto che i risultati
inventariali erano disastrosi ­ dati sui quali peraltro non abbiamo facoltà
di controllo ­ siamo state sottoposte a pressioni psicologiche continue, dai
test sugli scontrini dei clienti ai controlli cassa, alle pagelle per le
cassiere, con tanto di voti come a scuola, alle necessità di firmare
continuamente registri dove vengono segnate le note di merito sulle nostre
varie prestazioni. Ormai esasperate da questa continua tempesta di controlli
in seguito all'ennesimo test-carrello per mettere alla prova una cassiera e
di fronte alla disperazione e alle lacrime della nostra collega rea di non
aver controllato abbastanza, abbiamo deciso di scioperare. Da sole. Il
topolino contro la montagna. Confortate però dal sostegno unitario delle
OO.SS. Lo sciopero è riuscito, i clienti si sono dimostrati solidali quando
abbiamo distribuito loro i volantini nei quali affermavamo che come esseri
umani chiedevamo rispetto e non accettavamo il trattamento che di solito si
riserva alle merci! Il perché di tanto accanimento contro i lavoratori Lidl
da parte dei vertici aziendali lo si evince dalla lettura del libro
pubblicato dal sindacato tedesco del commercio ver-di, fatto appositamente
uscire il 10 Dicembre scorso in occasione della giornata dei diritti
dell'uomo lo "Schwarz Buch" cioè libro nero. Per me è stato particolarmente
interessante apprendere che il gruppo per il quale lavoro, aveva delle vere
e
proprie scuole dove formava le nuove leve dirigenti insegnando come impedire
la formazione delle commissioni interne del sindacato o affrontando temi
come
"il conflitto come opportunità". Ho avuto in questo modo la conferma
definitiva che questo sistema basato soprattutto sui ricatti e sulle
pressioni psicologiche non fosse dovuto solo all'aggressività del dirigente
di turno, ma fosse una deliberata strategia aziendale, appresa giorno dopo
giorno nelle aule di una scuola. Questo libro, frutto di due anni di
indagini, ci permette poi di osservare da dietro le quinte una realtà
rimasta
finora avvolta da un alone di mistero. La situazione descritta nello Shwarz
Buch è quella di "un clima di paura", con sorveglianza dei lavoratori
attraverso telecamere nascoste installate nei magazzini, impossibilità
pratica per le cassiere di recarsi in bagno, ispezioni personali e alle
proprie auto motivate dal sospetto di furti, mancato pagamento degli
straordinari, misure igieniche e di sicurezza non rispettate. Sono
tantissime
le storie allucinanti capitate a dipendenti ed ex dipendenti dell'azienda
che
hanno cercato di organizzarsi sul proprio posto di lavoro e hanno visto la
propria quotidianità lavorativa trasformarsi in un inferno. Una di queste
lavoratrici dichiara addirittura ripensando all'interrogatorio cui era stata
sottoposta prima di firmare le dimissioni "in quella situazione avrei
firmato
persino la mia condanna a morte". Un'altra lavoratrice dichiara "nella
nostra
filiale c'era armonia e tra di noi andavamo d'accordo e questo non era ben
visto. Loro vogliono il conflitto tra i lavoratori". Concludendo, credo
che
nella realtà del nostro Paese, ancor più dello stupore per l'accanimento con
il quale la Lidl tratta i propri lavoratori, sia grave e preoccupante
l'atteggiamento della maggior parte dei lavoratori. Le realtà sindacalizzate
sono una sparuta minoranza. E' vero, il lavoro manca e il rischio di
perderlo, gioca a favore della politica di aziende come la mia. Ma a volte
credo giovi riflettere anche sul perché i lavoratori scelgano la resa
incondizionata di fronte alla violazione dei propri diritti o di battersi da
soli per arrivare spesso alle dimissioni spontanee. La pubblicazione del
libro dei ver-di, facendo venire alla luce una realtà come questa,
costituisce un importante passo avanti per i lavoratori, e permette di
guardare al futuro con un briciolo in più di ottimismo. La CES, il sindacato
europeo e il sindacato internazionale UNI si stanno adoperando per mettere
in
moto nuove sinergie e nuove strategie comuni tra le organizzazioni dei
lavoratori Lidl delle varie nazioni. Se tuttavia non saremo capaci di dare
nuovo vigore a ideali e valori che mettano in primo piano l'uomo e la sua
dignità, i nostri sforzi non avranno futuro. Per arginare gli effetti
deleteri della logica del profitto sfrenato e senza regole, serve qualcuno
che torni a parlare di solidarietà, di empatia, di uguaglianza e anche di
coraggio, indignazione e passione... per non trovarci soli, in balia di
questo "nuovo che avanza"