Auteur: Andrea Agostini Date: Sujet: [NuovoLaboratorio] acciaio : qual'è l'impatto del ciclo a freddo ?
Vezzida Newsletter OLI
giovedi 3 marzo 2005
Acciaio/1
QUAL E? L?IMPATTO
DEL CICLO A FREDDO?
Durante l?incontro organizzato da Maestrale il 21 febbraio sull?ILVA tutto
fila liscio. La storia della siderurgia scivola al teatro Modena per
spiegare che una nazione è niente senza la produzione di acciaio. Claudio
Burlando svela che si può prendere un?altra strada, che Riva potrà
sviluppare nella produzione del freddo quanto perderà per la chiusura del
caldo e che ?aver smantellato l?attività produttiva genovese non è stata una
buona scelta? e chiede all?ILVA se ?è disponibile a confrontarsi con la
prospettiva di investire? in questa proposta. Claudio Riva, vittima dell?
attesa estenuante, è lusingato: ?vorremmo un quadro fermo, sono dieci anni
che lo chiediamo alle istituzioni?,?mi sembra un?idea molto valida?, sorride
e pare sopportare con simpatica ironia anche l?intervento dei sindacalisti,
che non degna di uno sguardo. Tutto fila liscio perché lo storico, la classe
operaia, il padrone, la curia, il politico sono tutti d?accordo che un?
intesa vada raggiunta anche per le 2.700 famiglie che dall?azienda dipendono
.
A questo punto Patrizia Avagnina, presidente del Comitato ambiente di
Cornigliano è ?un po? sola?, come si affretta a notare Franco Manzitti.
Seduta all?estrema destra sul palco ricorda che nel comitato ci sono donne
che chiesero negli anni ?60 i primi accorgimenti ecologici. Dice che ?l?
Italsider era tutto. Se c?era un circolo, era dato dal salario sociale degli
operai?, forti della consapevolezza che la fabbrica qualcosa doveva al
quartiere. Ricorda Guido Rossa come l?esempio di quella relazione. E
attacca: ?Quella fabbrica oggi non esprime più niente! Di qualità della vita
o di qualità del lavoro ne ho sentito molto poco! Non mi si venga a dire che
quella fabbrica può convivere con me! Rispetto a quella fabbrica noi abbiamo
pagato un prezzo altissimo! Il dottor Riva diceva che le istituzioni sono
inaffidabili. Ma dal 1996 quanti patti ha rispettato lui?? Ancora: ?Cosa
vuol dire compatibilità? Con che cosa? Con i miei polmoni? Esiste una
valutazione di impatto ambientale sulle lavorazioni a freddo? Ricordo a
Claudio Burlando che firmò il pre accordo del ?96 in cui si partiva dal
quartiere, non dalla fabbrica! La chiusura dell?altoforno è slittata un?
altra volta! La proposta che ho sentito questa sera è un pugno in faccia
rispetto a quanto ho vissuto sino ad oggi!?
Sembra Lidia Ravera, il viso identico e la stessa rabbia. Un sparuto gruppo
di donne l?applaude. Il resto della platea pare indifferente.
Una soluzione che duri 99 anni. Questo ha chiesto Claudio Riva. Questo
vogliono i dipendenti. La politica, fatti due conti, traccia i punti di un
programma, a due mesi dalle elezioni, costretta a scegliere tra certezza di
salario e qualità della vita. Dell?esplosione in altoforno del luglio scorso
nemmeno una parola. Patrizia Avagnina è sola. Con lei molti altri.
(g. p.)
Acciaio/2
LA SICUREZZA ALL?ILVA?
MEGLIO NON PARLARNE
Il palco del Teatro Modena ospitava con eleganza una vasta rappresentanza
della città chiamata a discutere di una ?idea? industriale che va
decisamente al cuore del nostro futuro produttivo, occupazionale e
ambientale. Molti i punti di vista rappresentati: industria, politica,
cultura, chiesa, sindacato, stampa, territorio.
Colpisce quindi che tanta completezza abbia prodotto una grande omissione:
nessuno, infatti, ha detto che la qualità, e quindi l?accettabilità, del
progetto verranno valutate anche sulla base delle soluzioni impiantistiche,
tecniche ed organizzative, e degli investimenti, necessari per garantire la
salute e la sicurezza dei lavoratori.
La questione della sicurezza è stata invece saltata a piè pari, come se
fosse una questione ?a parte?, da tenere ancora dietro al sipario, anziché
elemento integrante ed inseparabile di un progetto industriale su cui
fondare una scommessa di competitività.
Eppure, nel caso in questione, non si tratta di argomento secondario: gli
infortuni in ILVA sono molti (871 nel 2004, su un organico di circa 2.600
persone), non leggeri (durata media di 13 giorni), e, se pur in diminuzione
nel complesso dello stabilimento (la loro frequenza cala circa dell?8 %
rispetto al 2003), diminuiscono assai meno nelle aree a maggior rischio e,
in alcune di queste, sono addirittura in crescita come (guarda caso) all?
altoforno, dove tra 2003 e 2004 si è avuto un incremento della frequenza
infortunistica del 43 %.
Agli infortuni vanno poi aggiunte le malattie, assai più insidiose, meno
misurabili, ma egualmente in grado di abbreviarti e renderti più penosa la
vita. A me pare quindi pazzesco che mentre il conflitto di questa fabbrica
col territorio è da anni oggetto di un discorso pubblico, la vita e la
salute di chi ci lavora siano vissute da tutti come una faccenda interna tra
imprenditore e sindacato, come se il futuro dei giovani che sono andati (e
che andranno) a lavorarci non fosse questione di primaria importanza per
tutta la città.
A proposito: anche qui sarebbe meglio sfatare qualche mito e guardare la
realtà per quella che è: non è vero, come ha detto Burlando, che l?ILVA ha
rappresentato per molti giovani un lavoro duro, ma col pregio della
stabilità. Vero è, invece, che ha rappresentato un lavoro duro con la
?speranza? di una futura stabilità, da pagarsi al prezzo di due anni di
contratto a termine, sotto il ricatto della mancata conferma alla scadenza.
Rilevanti le conseguenze proprio sul piano della sicurezza, come sa
benissimo l?azienda che non ha trascurato di analizzare il rapporto (molto
stretto) tra indici infortunistici e indice di sostituzione del personale, e
come sa benissimo il sindacato che ha fatto della graduale riduzione dei
contratti a termine (a fine 2003, a Cornigliano, erano il 27% degli
occupati) uno dei punti forti dell?accordo di gruppo del 2003.
(p. p)