Avremmo voluto essere a Roma, con gli amici e i compagni de ?Il Manifesto?.
A dire che anche noi ci sentiamo prigionieri. A dire, con parole semplici,
che la pace è prigioniera. A dire, cara Giuliana, che ti aspettiamo, perché
ci manca la tua dolcezza e la tua passione.
Siamo qui, ad aprire un percorso di confronto aperto e vivo con tutta la
società pugliese, un confronto che nella mia relazione avrà una sua prima
sintesi ma che è deliberatamente desideroso di nuovi contributi, di
arricchimenti, di proposte. Il programma può essere semplicemente un
catalogo di schede. Noi lo intendiamo come un corpo vivo, come la
prefigurazione di un metodo di governo fondato sull?ascolto reciproco e sul
valore che ciascuna specialità culturale può offrire alla composizione di un
campo grande della politica di alternativa. Devo ringraziare tutti quelli
che mi stanno aiutando, a cominciare da chi ha il compito di coordinare il
cantiere aperto del programma, e cioè il nostro amico Francesco Boccia. Devo
ringraziare i partiti, i consiglieri regionali, gli intellettuali, i
comitati, le associazioni, tutti coloro che stanno animando con generosità
un grande processo collettivo. Devo ringraziare voi, voi tutti qua dentro,
che non siete la virtualità di un sondaggio forse pilotato dalla paura. Voi
siete il mio sondaggio vivente e mi date la gioia di vivere con agio questa
sfida difficile.
C?è una Puglia migliore
C?è una Puglia senza racconto, smarrita di fronte alle sfide difficili di un
mondo nuovo e complesso, incurvata sotto il peso di una crisi che supera il
valico delle congiunture e pare delineare una organica fase di stagnazione e
di declino. Questa è una Puglia abbandonata alle proprie inquietudini,
sollecitata nei propri rancori e nelle proprie fobie, sospinta verso la
deriva della chiusura localistica. E? una Puglia drammaticamente impoverita
in tutte le sue periferie sociali ed urbane, come di tanto in tanto ci
racconta la livida cronaca della vita agra e della morte assurda nelle
viscere foggiane di Borgo Croci o nel satellite barese di Enziteto. Ma la
sua costante e inesorabile spoliazione travalica i confini della povertà
classica e trascina ormai segmenti consistenti di ceto medio nel cono d?
ombra dell?insicurezza sociale e della paura del futuro. Certo, si tratta di
un fenomeno spalmato sull?intero mappamondo del ciclo liberista, ma in
Italia e nel Mezzogiorno lo schianto tendenziale del ceto medio rappresenta
un trauma immenso nello spirito pubblico: perché attraverso la
strutturazione e l?allargamento dei corpi intermedi le classi dirigenti del
dopoguerra avevano allargato le basi produttive della democrazia italiana, e
perché quel ceto medio ? nel decoro del suo stile di vita innervato nell?
ideologia della moderazione, del risparmio e del piccolo investimento ?
aveva sempre potuto trovare riparo nei tornanti più tempestosi delle
cicliche crisi economiche. Ora il ceto medio precipita non solo in una
importante riduzione di reddito ma in una ben peggiore contrazione del
proprio capitale di fiducia. Ma persino nei punti alti della società,
persino nel cuore del sistema d?impresa, si avverte una sintomatologia da
pre-infarto. E l?avvitamento di ciascun comparto economico nelle spire di
una crisi specifica diventa comunque sintomo di una crisi globale. Insomma,
anche i capitani d?industria e gli imprenditori sono soggetti smarriti, si
sentono come un testo senza contesto, come la tessera preziosa di un mosaico
che non c?è, come una ricchezza che non decolla, come un?energia che non si
cumula ma si disperde. Questa è una Puglia in piena crisi di entropia. La
destra rinuncia a leggere il senso e le ragioni di uno smarrimento che
concerne l?economia ma anche la coesione sociale. La destra regionale si
offre come coalizione che mette in equilibrio interessi congelati e
corporativi, copre con i trionfi della propaganda un triste navigare a
vista, un vivere alla giornata, una indolenza culturale che ci trascina
verso la rapida perdita di peso specifico: in un contesto internazionale in
cui la Puglia potrebbe viceversa coltivare ambizioni piuttosto che
esorcizzare spiriti maligni.
Ma c?è anche un?altra Puglia. Una Puglia vitale e generosa, laboriosa e un
po? ribelle, che è stanca di essere ammutolita e umiliata da quel suo
dominus arrogante e refrattario all?ascolto. Nonostante tutto e tutti,
questa Puglia ha continuato ad intrecciare storie ricche di ingegno e
umanità, ha lavorato sodo per inventare saperi produttivi o proteggere
codici della memoria, ha speso ogni fatica sul registro dell?innovazione e
del futuro. Ha resistito, non si è piegata, spesso ha riacceso il fuoco
attorno a cui fare comunità per intrecciare le voci delle generazioni e
delle persone: quelle voci sperse e inascoltate che si sono annodate in una
grande narrazione corale, in una nuova idea di passione civica e di
cittadinanza, in una inedita rappresentazione del Sud come spazio di libertà
e di solidarietà. Questa Puglia migliore è stata soffocata da chi ha
governato con lo stile del comando, del centralismo burocratico e
autoritario, dell?esodo sistematico dai luoghi della democrazia partecipata.
Questa Puglia migliore chiede oggi di essere liberata dalle sue paure e
dagli inganni che la manipolano e che la incupiscono. Chiede di essere
incoraggiata a rialzarsi in piedi, a stare con senso di responsabilità in
questo snodo cruciale del mondo: a cavallo tra Oriente e Occidente, con l?
Europa intera sulle proprie spalle e con il corpo bagnato dai pensieri
liquidi e fluenti di un grande mare che è una grande civiltà. Ecco il nostro
programma e il nostro sogno: una grande Puglia che diventa il cuore
intelligente e pulsante del Mediterraneo.
Ovviamente la Puglia ha bisogno di sconfiggere innanzitutto quei suoi nemici
interni, quelli che ne turbano il respiro civile e il senso di sicurezza.
La nostra regione è stata teatro, nell?ultimo quarantennio, di tentativi di
colonizzazione criminale da parte delle mafie tradizionali, specie della
camorra e della ?ndrangheta, ed ha potuto osservare la dinamica dei gruppi
criminali locali che costituivano, per reazione, mafie indigene per lo più a
carattere provinciale, come la Sacra corona unita, o micro-territoriali. La
mafia pugliese, nonostante taluni suoi spettacolari tentativi di sfondamento
nell?economia e nella politica, non è riuscita a vincere la partita
fondamentale: quella che le avrebbe consentito di abitare stabilmente nelle
forme dello sviluppo, di plasmare l?immaginario, di infiltrare o di
surrogare la statualità. Questa debolezza strategica della mafia pugliese,
dovuta alla sua assenza di radici robuste e alla sua incapacità di
unificarsi in una struttura regionale, ha reso sempre decisivo il ruolo dei
pubblici poteri nelle politiche di intelligenza del fenomeno e di contrasto.
Qui, voglio dire, una forte volontà soggettiva poteva e può fare molto per
liberare i nostri territori da quei fenomeni che feriscono la nostra civile
convivenza: quei fenomeni che, viceversa, il governo regionale ha finto di
non vedere o che credeva non chiamassero in causa la sua responsabilità. Le
vecchie faide garganiche trasmutate in narcotraffico e scese nella valle dei
più moderni appalti, la mattanza di ragazzini a Bari, la crisi verticale
dell?industria contrabbandiera, la commistione tra mafiosità e nuovo
gangsterismo urbano, la formazione di inediti racket nelle poco custodite
campagne pugliesi. Su tutto questo è calato, in questi anni talvolta persino
insanguinati, il silenzio di una classe dirigente che abdicava al compito di
dire, spiegare, indicare obiettivi di legalità. Ma la legalità non è stato
proprio il vanto di quel gruppo di potere interrogato non di rado dalla
cronaca nera, quella delle inchieste sul malaffare che hanno visto sotto
indagine penale un terzo della giunta regionale uscente. Eppure la
criminalità e l?illegalità rappresentano un costo drammatico per la nostra
economia, oltre che per la nostra quotidianità civile. In troppi angoli
delle nostre città si convive con la paura e con la sfiducia nelle
istituzioni. Servono più risorse umane e più mezzi, sia negli apparati
giudiziari che lamentano una sorta di sabotaggio dall?alto del loro lavoro
cruciale, sia negli apparati repressivi che vanno organizzati sotto il segno
intelligente del coordinamento. Ma serve soprattutto una grande assunzione
di responsabilità nel rimettere al centro la cultura delle regole che deve
scandire la vita della pubblica amministrazione ed il corretto rapporto tra
politica ed economia. Serve anche la fantasia di oltrepassare moduli di
sicurezza obsoleti e del tutto insufficienti e di prevedere innovazioni
radicali: per esempio, per garantire maggiore sicurezza nelle campagne, si
potrebbero unificare e qualificare gli attuali consorzi di guardiania in una
moderna polizia rurale. Ma, sopra ogni cosa, serve un investimento organico
sulla prevenzione, sulla bonifica dei territori attraversati dalle
sub-culture mafiose, sul recupero dei minori a rischio, sulla diffusione di
anticorpi sociali che tolgano ossigeno ai mercati criminali. E servono
interventi mirati anche su chi inciampa nel recinto penitenziario, affinché
alla pena della pena non si aggiunga l?ergastolo dell?indifferenza pubblica
e della disperazione privata: il reinserimento di chi ha sbagliato è un
precetto costituzionale, ma oggi il carcere è tornato ad essere una
discarica sociale ed una fabbrica di devianza. Noi, nei limiti delle
competenze regionali, intendiamo rompere le sbarre dell?indifferenza. La
legalità è un ciclo complesso che chiede razionalità e programmazione degli
interventi.
Per queste ragioni proponiamo, all?inizio della prossima legislatura
regionale, la stipula di un Patto per la sicurezza e la legalità, che
coinvolga il sistema d?impresa, il sindacato, la scuola, gli operatori di
giustizia, le forze di polizia, l?associazionismo.
Ben oltre la propaganda cattiva della destra xenofoba e liberista, sicurezza
è anche e soprattutto garantire l?esercizio pieno dei diritti individuali e
collettivi, sicurezza è fondare la cittadinanza sull?allargamento della
partecipazione democratica. Qui dobbiamo innovare la cultura generale dello
sviluppo, misurarla e arricchirla di nuovi parametri. Lo sviluppo deve
diventare sempre più, lo dico con una metafora, un ?cantiere di qualità?:
che difenda e riqualifichi le conquiste dello Stato Sociale, che faccia dell
?ambiente la sua risorsa speciale e non il suo impaccio, che sappia
investire sulla diffusione dei saperi e delle culture, che valorizzi quelle
risorse umane che non possono essere le scarne cifre di un prezziario, che
sappia mettere in equilibrio i diritti sociali con la libertà di ciascuno e
di ciascuna. Libertà di scegliere la propria vita, la propria fede, la
propria ideologia, il proprio orientamento sessuale. Libertà di scegliere e
opportunità di crescere, nella cooperazione e nella solidarietà: così si
intessono tele di inedite economie e ricchezza di relazioni umane.
E? di questo che ci hanno parlato, con il loro protagonismo nuovo, colorato
e nonviolento, le giovani generazioni pugliesi: quelle che hanno dispiegato
le bandiere arcobaleno, che hanno chiesto e sognato una Puglia di pace, e
che ci hanno raccontano la fatica della precarietà nel labirinto formativo
della ministra Moratti o nella giungla dei contratti a tempo: una
generazione con poco lavoro e con un lavoro strozzato dalla sua costante
intermittenza, ragazzi e ragazze condannati alla dimensione dell?ansia
cronica di non farcela, di non afferrare nulla o di perdere ciò che si è
appena afferrato. Noi intendiamo non solo interloquire positivamente, ma
intendiamo puntare sulla risorsa chiave che è questa nuova generazione, con
il suo talento e la sua energia.
Naturalmente si tratta di andare controcorrente. Il quadro del governo
nazionale è, nel profilo di società che propone, drammatico ed inquietante.
Spaccare il cuore della istruzione pubblica, fare regredire il lavoro al
rango di merce grezza, chiudere i migranti nella tenaglia dello sfruttamento
neo-servile o della criminalizzazione: qui c?è la filigrana di una società
della paura, che o ti mercifica o ti reprime. Il quadro del governo
regionale è simmetrico a quello generale. L?effetto è che è tornata a
crescere la disoccupazione, che per la prima volta da molti decenni supera
la media della disoccupazione del Mezzogiorno d?Italia. E? cresciuta la
disoccupazione giovanile, è cresciuto l?indice del lavoro nero, è cresciuta
la povertà, si è sgretolata la protezione sociale delle fasce più deboli, si
è reso più fragile l?esercizio del diritto alla salute. Il compito del
centro-sinistra è invertire questa tendenza, anche se sarà difficilissimo:
questo significa rimettere al centro l?obiettivo di una piena e buona
occupazione, indicando processi di riunificazione del mondo del lavoro, e
offrendo le direttrici di un nuovo patto tra impresa, lavoro e cultura che
consenta alla Puglia di uscire dalla palude della stagnazione economica e
civile.
Proponiamo un impegno sistematico sul fronte della precarietà: concentrando
gli incentivi a sostegno dell?occupazione su forme di lavoro stabile, su
contratti che non siano il cappio al collo dei lavoretti mensili o
settimanali, cercando di stabilizzare i lavoratori atipici. E proponiamo di
misurare, in termini qualitativi e quantitativi, le ricadute occupazionali
degli investimenti pubblici, a partire dai POR. Bisogna aiutare le imprese
ad uscire dal sommerso e occorre combattere la piaga del lavoro nero anche
scegliendo la strada della contrattazione preventiva tra centrali
appaltanti, imprese e sindacati. Ma urge mettere in campo una terapia d?urto
contro la povertà: non solo aumentando la spesa sociale in direzione dei
redditi più bassi, ma soprattutto qualificandola: non si può colmare il buco
finanziario di una regione tagliando i diritti dei più deboli, tagliando
casa, scuola, trasporti, sanità. Si pensi che la Puglia è all?ultimo posto
in Italia per stanziamenti di risorse sui servizi sociali: 15 milioni di
euro l?anno, spesi dentro un bilancio che non viene discusso da nessun
tavolo concertativo. Qui la povertà, che è aumentata a dismisura, non chiede
retorica ma chiede politica, non ama quei cattivi filantropi che si
propongono come ?impresa compassionevole? ma ama capire come e quando uscirà
dal gelo e dal buio. E per uscire dal gelo e dal buio servono percorsi di
inclusione sociale, a cominciare da quel decisivo reddito di cittadinanza
che può aiutare a strutturare un argine contro i precipizi senza riparo del
dolore sociale. Serve la costituzione di una rete regionale di sportelli per
i cittadini, per informarli dei propri diritti e delle opportunità di
accesso ai servizi. Serve incentivare le imprese che offrano occupazione a
chi è impegnato nei percorsi dell?inclusione. Serve il sostegno ai Comuni
nella realizzazione di infrastrutture sociali diffuse, nella progettazione
di veri e propri piani regolatori sociali che sappiano misurarsi con il
disagio e sappiano vedere, prima dei problemi, i volti delle persone: minori
?a perdere?, tossicodipendenti, disabili psichici, migranti, diversamente
abili, il variegato mondo della nostra privata pietà e pubblica empietà.
L?empietà del liberismo che taglia le protezioni sociali considerandole
sprechi, la pietà di una povertà culturale che ha paura di capire, di
conoscere, di lasciarsi educare alla scuola della ?convivialità delle
differenze?. Non proponiamo una moderna pietà del pubblico, ma l?uguaglianza
dei diritti e la promozione della dignità e della diversa abilità di
ciascuno. E intendiamo dunque difendere le famiglie reali, non quelle
immaginarie della propaganda della destra, che patiscono e molto della loro
rapida spoliazione di reddito e di diritti. Sono sfiancate dal liberismo,
dal berlusconismo, dal senso di solitudine che accompagna le loro vite. Noi
daremo coraggio alle famiglie pugliesi, daremo calore e servizi ai nostri
anziani, cercheremo di investire sui nostri figli, combatteremo la paura.
Difenderemo le famiglie come luoghi decisivi e preziosi della nostra vita
sociale, come spazi dell?amore, della mutua assistenza e della cura delle
persone. Contrastando quella intollerabile regressione culturale che vuole
le famiglie come recinto in cui imprigionare la libertà femminile, il luogo
della specializzazione domestica ed ancillare di quella ?metà del cielo? che
viceversa ci chiede di ridisegnare tutto: la politica, il potere, le forme
di una democrazia che è stata monca, mutilata della voce delle donne. Una
voce fastidiosa anche per chi ha scritto il nuovo Statuto della nostra
Regione, una voce che la destra vorrebbe ridurre a rumore di fondo, a
brusio. Tocca a noi avere più coraggio, perché non c?è cambiamento effettivo
se non si rompe la monotonia di un potere quasi esclusivamente ?al maschile?
. E dunque lavoreremo per dare spazi, diritti e beni pubblici alle famiglie.
Tuteleremo i diritti di tutti, i diritti dei bambini nati fuori dal
matrimonio, i diritti dei ?single?. Obbediremo alla legge fondamentale che
ci suggerisce la modernità e che ci indica il cuore: rispettare la dignità
di ogni persona. L?intolleranza, i pregiudizi, la paura delle diversità, l?
omofobia: questi semi cattivi non germoglieranno nella Puglia che
costruiremo insieme.
E dunque è necessario ripensare alla sfera pubblica, a come valorizzare e
qualificare i servizi pubblici, in un rapporto corretto e trasparente con il
privato. Senza una forte cultura del pubblico anche il privato diventa fonte
di sprechi e di inefficienza. Troviamo scandalosa la scomparsa, dal
dibattito politico e culturale, di qualunque traccia sul destino di una
delle più importanti infrastrutture pubbliche del mondo: quell?acquedotto
pugliese, che non è stato avviato a privatizzazione ma a ?segretazione?. Noi
siamo impegnati a garantire il principio che l?acqua non è una merce ma è un
diritto universale, un bene di tutti e di tutte. Dunque difendiamo il
carattere pubblico di questa decisiva azienda.
E dunque rifiutiamo la dissipazione liberista della trama dei ?beni comuni?
e la deriva dello ?stato sociale minimo?: e crediamo che l?applicazione
della 328 e l?attuazione del Piano Sociale possono essere l?avvio di un
programma condiviso di servizi alla persona, un programma agito e non subito
dagli attori istituzionali, dal terzo settore e dal mondo no-profit.
Intendiamo promuovere la centralità della persona come nuovo patto di
cittadinanza, chiedendo ai privati di svolgere compiti sussidiari e
integrativi ma senza abdicazioni da parte dell?intervento pubblico. Ma qui
ci precipita addosso il tema più spinoso di questa campagna elettorale.
Com?è tristemente noto, il punto più controverso del bilancio politico del
governo regionale uscente è la questione sanitaria. Il riordino ospedaliero
è stato pensato male e realizzato peggio: l?utenza pugliese vive con
smarrimento e angoscia il nuovo disordine ospedaliero, figlio della
presunzione tecnocratica e del cinismo degli apparati di potere. Paghiamo il
prezzo delle filosofie bizzarre di una offerta sanitaria spezzata in ?poli
medici? e ?poli chirurgici?, segnata dalla chiusura di reparti anche di
eccellenza che erano l?anima di grandi ospedali, misurata su una riduzione
senza criterio di posti letto che non rappresenta un risparmio ma un costo
aggiuntivo per le famiglie impegnate in continue trasferte sanitarie. Si è
chiuso senza contemporaneamente aprire: cioè senza attivare quei servizi
strategici della sanità territoriale e dell?assistenza domiciliare
integrata, mentre nell?area socio-sanitaria non è partito nulla e ad oggi
non esistono servizi strutturati. Si è chiuso nel nome del risanamento del
bilancio, con una operazione di trasferimento del peso del buco finanziario
dalla Regione alle famiglie. Si è chiuso sotto il segno dell?improvvisazione
e di quel centralismo autoritario che ha ferito le nostre comunità e che ha
determinato, per reazione, l?apertura di una lunga e aspra vertenza
popolare. Ed oggi si tende a chiudere con la censura la partita della
verità ? quella di un disservizio che è sotto gli occhi di tutti, di
cittadini che chiedono l?intervento dei carabinieri per ottenere un
ricovero, di cittadini impegnati in assurde corse alla ricerca di un posto
letto, di ambulanze che possono arrivare con ore di ritardo oppure prive di
un medico. Sono le storie di ordinaria malasanità che si cerca di nascondere
sotto la cortina fumogena della propaganda e della sottile intimidazione.
Il nostro compito sarà quello di restituire serenità e certezza della cura
agli ammalati, ridisegnando un sistema la cui razionalità non può essere
meramente ragionieristica. Noi vogliamo ripartire da un nuovo Piano
Sanitario Regionale che deve porsi l?obiettivo strategico di strutturare e
irrobustire la prevenzione, che deve avviare un effettivo processo di
territorializzazione dell?intero sistema (con i distretti socio-sanitari, i
poliambulatori, la medicina di base, i presidi ospedalieri), che deve
rimodulare la rete ospedaliera. Riscrivere il Piano di riordino ospedaliero
non significa inaugurare la stagione delle ritorsioni, noi non abbiamo la
mentalità dei nostri avversari. Significa, più semplicemente, assumere
scelte che riducano le liste d?attesa; che incrementino sul territorio i
centri di senologia; che rafforzino il 118; che diano impulso al piano di
emodialisi; che attivino i servizi riabilitativi a cominciare dal settore
del disagio mentale; che attivino la rete delle Residenze sanitarie
assistite.
Ho fatto degli esempi. Si tratta di difendere la sanità pubblica, oggi
sfiancata e umiliata. Si tratta di prevedere un rapporto limpido con il
privato. Si tratta di rimettere al centro le persone che soffrono, gli
ammalati, che troppo spesso non sono gli attori protagonisti ma delle
fastidiose e mute comparse sulla scena della nostra sanità.
Il diritto alla salute si intreccia sempre più con il diritto all?ambiente.
In Puglia sono diritti vaghi e fragili. Il campionario delle inadempienze è
davvero spettacolare. Da noi mancano tutti gli strumenti attuativi delle
norme di protezione dell?aria e dell?acqua, manca una politica delle coste e
della pianificazione territoriale. Da noi manca un Piano energetico
regionale e c?è chi si avventura a prevedere un nucleare pugliese. Da noi
aumenta, nell?indifferenza totale e nella totale ignoranza del potere
regionale, l?area del rischio idro-geologico e si allarga la mappa dei siti
contaminati. Nonostante la Puglia sia in stato di emergenza rifiuti da 11
anni, il bilancio dell?attività dei commissari risulta assolutamente
fallimentare: la produzione rifiuti è in aumento invece che in calo; la
raccolta differenziata si aggira attorno al 5% mentre per legge dovrebbe
essere attorno al 35%; le attività di recupero e riciclaggio sono
insignificanti; crescono le discariche e si autorizzano continuamente nuovi
ampliamenti e nuovi siti; gli impianti tecnologici attivi sono pochissimi e
non producono materiali di qualità; le discariche abusive sono disseminate
ovunque e ovunque si sente l?artiglio dell?eco-mafia: insomma siamo
diventati la pattumiera d?Italia. L?attuale Piano Regionale e i bandi di
gara per la costruzione e gestione di impianti, sono stati ampiamente
contestati nel metodo e nel merito: autoritarismo ed affarismo sono le
coordinate di una politica senza respiro e senza rispetto per le comunità
locali e neppure per il sistema d?impresa.
Noi cercheremo di capovolgere la logica delle gestioni commissariali, dando
immediato avvio alla gestione del ciclo integrato dei rifiuti, in coerenza
con il Decreto Ronchi, cercando di mettere in atto il principio dei ?rifiuti
come risorsa?, incentivando politiche di riduzione a monte della produzione
di rifiuti, la raccolta differenziata domiciliare, costruendo insieme alle
comunità locali i passaggi utili a coniugare salubrità ambientale e nuove
possibilità occupazionali.
Noi cercheremo di sperimentare percorsi di tutela e valorizzazione
ambientale che guardino alla Puglia come ad una complessa e singolare rete
di eco-sistemi, con le sue coste da proteggere, con i suoi parchi stressati
da chi li buca e li sfregia, con il suo suolo troppo spesso avvelenato.
Metteremo al centro dei nostri sforzi la cultura della non dissipazione di
beni irripetibili, la cultura del consumo intelligente di acqua o di
energia, la cultura di quella mobilità sostenibile che si realizza non solo
con un piano di piste ciclabili ma anche con un sistema di ?vie verdi?.
Mobilità, una parola che in Puglia suona assai strana: qui c?è una sorta di
immobilità coatta. Il sistema dei trasporti è un buco nero nella nostra
possibilità di immaginare il nostro futuro. Anche qui la Regione presenta un
bilancio fallimentare che cerca di nascondere con l?inaugurazione elettorale
del nuovo aeroporto di Palese. Il Piano regionale dei trasporti non punta su
nessuna scelta di qualificazione del sistema trasportistico secondo una
logica di intermodalità e di integrazione delle differenti strutture, ma si
limita semplicemente a fotografare l?esistente. Noi vorremmo mettere a tema
la valorizzazione dell?intere rete ferroviaria presente in Puglia,
immaginando le forme di un suo governo affidato ad una unica cabina di regia
e operando per un significativo spostamento del traffico merci dalla gomma
al binario. Soprattutto noi vorremmo poter immaginare i nostri porti e
aeroporti non come collettori di domande di mobilità territoriale, ma come
articolazioni di sistemi integrati. Si pensi al porto che a Manfredonia fu
solo infrastruttura dell?industria chimica o a quello di Brindisi che fu ed
è infrastruttura del carbone. Assisteremo alla piccola competitività sugli
scali turistici tra le nostre aziende portuali, dentro una parabola di
inevitabile depressione economica? Oppure saremo capaci di immaginare altro?
Per esempio un unico sistema portuale regionale, capace di sottrarre al
degrado strutturale ogni suo segmento, perché capace e di immaginare la
Puglia come un grande porto dell?Europa dentro questo nostro Mediterraneo
che torna ad attrarre flussi mercantili e culturali, che torna cuore
pulsante degli scambi planetari?
Anche l?ambiente urbano patisce per le convulsioni di una politica che ha
abdicato ai doveri di una pianificazione razionale e democratica e che ha
strozzato pure il mercato con il cappio di una visione tutta procedurale e
burocratica del governo del territorio. Noi siamo ancora sprovvisti di un
quadro di riferimento pianificatorio sovracomunale, che sia fondato non sull
?idea ossessiva del vincolo quanto sul dinamismo del progetto e delle
visioni future. L?urbanistica da noi non è l?arte dolce di ragionare sugli
assetti strutturali e fisici della convivenza, sull?architettura degli
spazi, sull?abitare comunitario, sul destino sociale, civile e produttivo di
un territorio. L?urbanistica qui è la lotteria delle autorizzazioni, dei
tempi sovrapposti o dilatati, dell?ingorgo burocratico. Il centralismo
ipertrofico e l?impazzimento procedurale della Regione ha sospinto i Comuni
verso pratiche di fuga dalla cultura delle regole, a cominciare dalla
diffusione dello strumento della variante al piano. Per questo oggi per noi
lo snellimento, l?efficacia e la trasparenza della procedura di verifica
della conformità dei piani rappresenta un obiettivo prioritario.
Sburocratizzare l?urbanistica e riafferrare il bandolo della intricata
matassa di una co-pianificazione territoriale che veda protagonisti attori
molteplici: istituzionali e professionali ma anche la cittadinanza attiva. E
porre il problema strategico della riqualificazione e del recupero urbano,
del riuso e della manutenzione del patrimonio edilizio pubblico, di una
riconversione dell?offerta abitativa capace di intercettare le novità di una
domanda radicalmente mutata a partire dal decremento demografico, dal
restringimento del nucleo famigliare tipo, dal fenomeno crescente dei
single. Questi sono i nostri obiettivi. Anche affrontando di petto il tema
spinoso di un diritto alla casa che per molti non è affatto disponibile.
Occorre intervenire per via legislativa a favore di una nuova politica della
casa e per l?edilizia residenziale pubblica; a favore di una riforma degli
Istituti autonomi delle case popolari che parta dalla qualificazione del
patrimonio immobiliare esistente e dalla sua gestione il più possibile
professionalizzata; a favore di politiche attive di sostegno alle fasce più
disagiate per garantire l?effettività del diritto alla casa.
Ecco dunque che, poco a poco, la Puglia piatta e a-problematica della
pubblicità elettorale della destra, lascia il posto alla Puglia mobile e
sofferente della realtà. La sofferenza è strutturale e riguarda oggi l?
insieme del sistema economico, i suoi capitali di investimento e di fiducia,
la sua visione del futuro. E? crisi drammatica nel comparto cruciale dell?
agro-alimentare, è crisi nei ricchi segmenti industriali del Tac e del
salotto, è crisi nella piccola e media impresa artigiana e commerciale.
Insomma, è la crisi di un sistema, è l?implosione delle nostre ambizioni
competitive causata dal trauma di una globalizzazione senza regole e senza
reti di protezione per nessuno. Possiamo discettare di ciascuno dei nostri
segmenti produttivi, cercare in qualche farmacopea d?emergenza la cura alla
malattia. Ma sembra un male oscuro che produce anche moti di regressione, la
paura e la fuga dalle proprie responsabilità. Vale la pena fare un
ragionamento d?assieme. Nel villaggio globale noi perdiamo se gareggiamo al
ribasso, se ci poniamo obiettivi di convenienza dei nostri prodotti
incardinandoli nell?abbassamento della soglia di reddito e di tutela sociale
del nostro lavoratore: anzi, così, con le facili ricette liberiste, noi
abbiamo già perso. E perdendo coviamo un sordo rancore. C?è una destra che
sollecita nei nostri imprenditori lo spirito di rivalsa e di chiusura contro
l?Oriente. Dalla disfida di Barletta alla guerra con la Cina : si anima il
teatro degli spettri del ripiegamento vendicativo, si sognano nuovi dazi e
nuove dogane e si galleggia nella melma di una nostalgia di autarchie e
protezionismi. Avevano fatto i cantori dannunziani della globalizzazione,
ora fuggono a gambe levate dinanzi ai dilemmi che occorre affrontare con
lucidità e coraggio: perché è questo il banco di prova fondamentale di una
classe dirigente. La paura non è una missione ma un abdicare. Noi dobbiamo
indicare le vie del futuro aiutando il sistema d?impresa, non con la logica
degli incentivi a pioggia e dei sussidi talora clientelari, ma organizzando
un sistema moderno e coeso le cui coordinate fondamentali siano la
formazione e l?innovazione. Qui c?è la chiave di un futuro buono. La chiave
apre una porta. La porta è fatta col legno di una moderna rete
infrastrutturale. La maniglia di quella porta è una nuova politica del
credito. Così io vedo il ruolo della mano pubblica dinanzi alla crisi
economica che ci stringe in un angolo.
La nostra è una regione senza più credito, lo dico in tutti i sensi. Qui,
come in tutto il sud, la percentuale di raccolta e di deposito di denaro
presso le Banche, è la più alta del Paese. Il livello di investimento è, al
contrario, il più basso in assoluto. Questo dimostra in modo evidente, al
contrario di ciò che afferma una parte del governo nazionale, che in ultima
istanza è il sud che finanzia gli investimenti delle imprese del nord. Una
delle cause di questa realtà ingiusta e bizzarra risiede nel fatto che ormai
anche gli sportelli ?locali? che tanta storia hanno avuto nello sviluppo
delle nostre terre, non hanno più alcuna autonomia e sono stati acquistati
da grandi gruppi nazionali che, ovviamente, hanno trasferito altrove i
poteri direzionali e decisionali. Così nasce lo scandalo di un costo del
denaro elevatissimo e spesso inaccessibile per i singoli cittadini e per le
imprese piccole e piccolissime, specie quelle artigianali. Non si può
immaginare che la mano pubblica resti inerte dinanzi a questa condizione,
come purtroppo ha fatto negli ultimi anni la nostra Regione. Noi pensiamo
che ci possa e ci debba essere un ruolo del pubblico. Noi proponiamo che la
Regione attui una politica creditizia che la renda garante, presso il
sistema bancario, di soggetti determinati che ricorrono al credito per
esigenze definite. La Regione Puglia , cioè, dovrà garantire l?accesso al
credito a tasso ridotto fino al tasso zero, per determinati soggetti
individuali o titolari di determinato reddito che si trovino costretti a
ricorrere al credito in virtù di esigenze primarie e definite, dalla prima
casa alla salute, in modo che tale ricorso non si trasformi in ulteriore e
insopportabile elemento di sofferenza e di frustrazione. Identico ruolo di
supporto la Regione Puglia dovrà avere nei confronti delle imprese piccole e
medie, artigiane e non, dell?intero territorio pugliese. Essa, cioè, dovrà
garantire tassi agevolati fino al tasso zero per tutte quelle imprese
regionali e meridionali, entro determinate dimensioni, che singolarmente o
consociandosi tra loro investano in ricerca e innovazione, impiantimo nuovi
insediamenti, si pongano il problema dello sviluppo in loco delle aree più
svantaggiate del Mediterraneo entrando in una logica di sistema di imprese
regionali, meridionali e mediterranee, di cui la Puglia può e deve essere un
avamposto politico, culturale ed economico. Qui c?è un terreno da arare, il
terreno del coraggio politico e culturale. I terreni veri e propri purtroppo
rischiano la desertificazione e i nostri produttori coltivano
prevalentemente rancore.
Diciamo la verità, siamo dinanzi all?agonia di quella nostra agricoltura che
avremmo dovuto tramutare in agri-cultura. I problemi bruciano le nostri
viti, seccano i nostri ulivi, gelano i nostri germogli. Problemi a non
finire. I prezzi alla produzione sono bassissimi, a fronte di prezzi al
consumo che sono ormai proibitivi. Le speculazioni nella filiera hanno fatto
crollare i prezzi all?origine dei prodotti agricoli: - 40% l?uva da
tavola; - 30% il grano duro; - 30% il vino; - 25 % l?olio d?oliva. L?
agricoltura è letteralmente strangolata dalla bassa redditività e dall?
aumento dei costi energetici e contributivi (gasolio agricolo, contributi
Inps, energia, concimi e fitofarmaci). I redditi agricoli sono calati
vorticosamente, malgrado le buone rese produttive registrate in quasi tutti
i comparti. A fronte di uno straordinario e generalizzato recupero del
potenziale produttivo nel corso dello scorso anno, non vi è stato alcun
recupero del valore della produzione proprio perché ha pesato come un
macigno il crollo dei prezzi all?origine. Il sistema del credito ha
abbandonato le aziende agricole e la Regione autorizza 17 nuovi ipermercati
senza alcuna contropartita per la produzione locale. In verità la Puglia non
ha uno straccio di politica agraria all?altezza della sfida. Qui tutto è
lento, arbitrario, opaco. Presso l?assessorato all?agricoltura della Regione
sono bloccate migliaia di domande di finanziamenti comunitari dei POR per
investimenti: domande presentate da due anni, ma ferme, risucchiate nella
palude centralistica di un assessorato che non si accorge del dramma, drena
direttamente le risorse comunitarie e le gestisce fuori da qualunque tavolo
trasparente di concertazione con le organizzazioni professionali e con gli
imprenditori. Ovviamente non c?è cervello politico che organizzi la politica
della qualità scandita dalle certificazioni, dai marchi, che sappia operare
per promuovere i consorzi per la commercializzazione. Non c?è ombra di
pensiero, nella destra governante, che si concentri su come superare la
debolezza strutturale di una filiera agro-alimentare che non è una filiera,
che è una nebulosa di aziende lillipuziane che schiantano sotto il tallone
del Gulliver della globalizzazione. Non c?è il cimento decisivo, secondo noi
indispensabile e urgente, di una economia delle campagne che sappia
culturalmente organizzarsi come ?sistema agricolo mediterraneo?, capace di
puntare sulla qualità dei cicli produttivi e dei prodotti e capace di
rispondere a quelle ?eco-condizioni? che renderanno possibili i futuri
finanziamenti comunitari.
Ecco dunque che il comparto rimanda al sistema, che la tessera ? per citare
la splendida metafora di Giafranco Viesti ? rimanda al mosaico. Per esempio,
un apparato industriale in grado di collocarsi a livelli alti di
competitività necessita di politiche regionali che vadano al di là della
mera ?regolazione? dei mercati e puntino decisamente a sostenere azioni di
politica industriale. L?industria soffoca dinanzi al dirigismo tecnocratico
o al vuoto di interlocuzione progettuale. Bisogna subito spezzare il
silenzio arrogante che ha reso la Regione un luogo lontano dalla Puglia
vitale della borghesia d?impresa e del mondo del lavoro. Occorre fare presto
e bene. Occorre intraprendere un?azione coordinata e integrata
pubblico-privato in grado di definire una via d?uscita dalla crisi del Tac,
del mobile imbottito, della componentistica, settori che costituiscono
comunque una quota importante del nostro sistema d?esportazione. La
delocalizzazione selvaggia ci impoverisce drasticamente e non risolve spesso
neppure il problema dell?imprenditore, costretto a misurarsi con uno
strumento che sposta e non elimina i problemi (basti pensare che nella sola
Romania ci sono già oggi oltre undicimila aziende italiane che operano).
Dobbiamo trattenere qui le aziende e il loro cervello produttivo, magari
governando assieme alle parti sociali una delocalizzazione mirata e
temporanea di pezzi di produzione, costruendo nell?area balcanica un indotto
di qualità che serva a ri-ossigenare il sistema. Possiamo sperimentare
soluzioni innovative, purché concertate e purché non comportino alcuna
penalizzazione dei nostri già troppo strozzati livelli occupazionali. Ma il
recupero di competitività e di quote di export in Puglia si può realizzare
solo se aumenta lo stimolo ad innovare. Ma noi siamo agli ultimi posti, tra
le regioni della vecchia Europa comunitaria, in termini di investimenti sull
?innovazione. Anche qui va capovolta una politica. Vanno subito varati quei
distretti industriali che debbono essere caratterizzati da elasticità
territoriale e produttiva e da una fortissima connotazione tecnologica. Quei
distretti possono consentirci il salto di qualità, riorganizzando e
diversificando la filiera produttiva, spingendo all?aggregazione e all?
integrazione tra imprese. La Regione può spendersi, con determinazione e
lungimiranza, sia sulle politiche dell?innovazione sia nella diretta
promozione di quelle indagini di mercato utili a ristrutturare e
modernizzare questo sistema d?impresa micro-dimensionale. Si può finalmente
cominciare a comporre un?idea globale di sviluppo, la cui filigrana è il
nodo indissolubile tra saperi, produzione e lavoro.
Ma qui inciampiamo nell?altro insondabile buco nero della Regione Puglia. La
Formazione professionale, il sistema senza sistema di gestione
amministrativa del nulla pneumatico, fondato unicamente sul criterio della
elargizione a cascata dei cospicui fondi comunitari verso la platea folta
dei soggetti accreditati, sistema mirato a riprodurre circuiti di
conservazione delle reti clientelari e del consenso politico. Qui, lo dico
sottovoce, occorre operare una vera rivoluzione, affinché la formazione
professionale possa diventare la risorsa elettiva della nuova visione dello
sviluppo. Una formazione, dunque, fondata sulla ?programmazione condivisa?,
tra enti locali e parti sociali, di ?piani formativi integrati?: piani
legati ai bisogni concreti delle persone e dei territori. I bisogni del
territorio devono essere la centralità, contrariamente a quanto avviene ora.
Che formazione per questo tipo di territorio? A questa domanda, che ci
libera dall?ingombro della discrezionalità o dell?assoluta occasionalità,
può rispondere un ?sistema di rilevazione dei fabbisogni di competenze?
gestito a livello provinciale e distrettuale. Naturalmente la formazione
professionale va integrata con gli altri sistemi formativi, pur senza
sovrapposizione di ruoli e mandati, e va liberata da accreditamenti che
nascano solo come terminali clientelari. Non dirò nulla che abbia
riferimento a vicende giudiziarie perché ciascuno può fare le proprie
valutazioni. Appare solare l?urgenza di una bonifica della formazione
professionale e di un suo rilancio qualitativo nella ?mission? di una Puglia
migliore.
Ecco, una Puglia capace di riflettere sulla propria storia, di
auto-narrarsi, di ricollocare la propria immagine pulita a cavallo tra
sedimento locale e spinta globale, capace di farsi laboratorio complesso e
partecipato dei saperi e delle culture. Ahimé, la cultura, non una sfilata
di modelle o un premio con annessa serata di gala o una degustazione di
sapori locali. Bensì un percorso di valorizzazione concreta della
specificità storico-culturale della Puglia, l?organizzazione di cantieri
giovanili delle produzioni creative e delle comunicazioni multimediali, la
costruzione di una politica dei beni culturali. Provo a mettere in fila,
anche disorganicamente, alcune proposte che veicolano l?idea-forza di una
Puglia delle culture. Lavorare per la fondazione di un Istituto regionale
per i Beni culturali, per una Scuola regionale di formazione per i beni
culturali, un Laboratorio regionale di restauro, un Laboratorio di nuove
tecnologie applicate, un Centro per la conservazione e la tutela dei beni
culturali nel Mediterraneo, un Centro regionale per la creatività giovanile,
l?istituzione di un Sistema museale regionale e di un Sistema regionale di
parchi ambientali naturalistici e archeologici, attività di sostegno all?
editoria pugliese e riordino della pubblicistica turistica regionale. Sono
idee in un territorio in cui le idee sono state abolite. Facciamole vivere
non nel recinto di un assessorato, ma come un cantiere sociale abitato dai
nostri ragazzi, da una generazione anche di talenti che rischia di vedere
frustrati i propri progetti di vita e mortificate le proprie energie, una
nuova generazione di intelligenze che vive nel cono d?ombra della precarietà
e della paura, assediata dal vuoto di lavoro e da un lavoro che è vuoto di
senso e di dignità. La cultura non è solo un aquilone a cui un giovane (ma
anche un anziano) appende i propri sogni, ma è anche l?investimento più
intelligente, quello la cui redditività si misura sui tempi medi di un
disegno di sviluppo. Ma qui purtroppo facciamo persino i conti con la
lesione del diritto allo studio che si misura in termini di mortalità
scolastica, di borse di studio vinte ma senza possibile riscossione, di
mense e pensionati studenteschi che non ci sono, di assenza totale di
qualunque politica di accesso al diritto alla cultura, alla mobilità, alla
vita in senso pieno per una intera generazione. Possiamo prevedere un
pacchetto di diritti che costituisca un nostro preciso investimento sui
giovani e sul sapere? E si può pensare in grande o è vietato? Possiamo, ad
esempio, mutare il crocevia che noi stessi siamo in un ?sistema? di eventi e
di fabbriche delle idee, una rete al centro del Mediterraneo che riannodi
Europa e Africa, che ci ricongiunga al mondo arabo, che metta in
circolazione lavori buoni innervati nella crescita dei servizi, della
logistica, delle produzioni immateriali, nelle nuove autoproduzioni
artistiche, delle reti comunicative?
Ma come si può far vivere la Puglia privandola del suo antico gusto di
sfidare il mare e di correre incontro al mondo? Qui è buio fitto, i nostri
ragazzi tornano a fare gli emigranti, neppure i migranti extracomunitari
(per usare questa espressione grottesca) hanno molta voglia di trattenersi
nella nostra regione, e i turisti arrivano solo nelle statistiche false di
chi conta quelli che scendono ad un transito pugliese ma non dormono neppure
una notte: ma mettiamo che vadano bene le statistiche che si confezionano
nelle stanze ?famigliari? del COTUP (Consorzio degli operatori turistici
pugliesi), non appare impudico presentare quell?incremento turistico dell?1%
come un trionfo a fronte del +59% degli inglesi, del +22% degli irlandesi e
dei portoghesi, del +18% degli austriaci e dei danesi, del +9% degli
esquimesi? Eccoci qua, la Puglia orgogliosa delle sue gemme garganiche o
salentine o murgiane, del suo entroterra a pastelli, della sua irripetibile
civiltà rupestre, del suo mare odoroso e cangiante, questa Puglia ha agenzie
di viaggio che lentamente si spengono, imprenditori turistici al collasso,
guide turistiche e accompagnatori turistici, caso unico in Italia, privi di
legittimi riconoscimenti professionali, assoluta mancanza di formazione
manageriale, e così via. E nessuna idea per attrezzare un turismo, come ad
esempio quello congressuale, non mirato solo sulla stagione balneare. Questa
è la Puglia reale, umiliata nelle sue straordinarie potenzialità,
imprigionata nelle livide liturgie di una modesta nomenclatura del potere.
Tocca a noi, amici e amiche, tocca alla Puglia migliore, rialzarsi in piedi
e liberarsi dalla paura, dalla frivolezza e dall?angustia culturale, dalle
contorsioni di un sistema capace solo di appaltare la propria riproduzione
anche a costo di mandare tutto in rovina. Tocca a noi guadagnare l?ambizione
di sentirci non la periferia ottusa di un continente allargato, non la
Puglia che si prepara a guerreggiare con i nuovi entrati nell?Unione europea
per spartirsi i fondi, non la Regione che si affida alle provvidenze quasi
estinte dell?obiettivo 1 e spera di rimettersi a cavallo di qualche
giostrina assistenziale. L?ambizione è un?altra: quella di proporsi vettore
della cooperazione transadriatica, secondo quei nuovi obiettivi europei,
incardinati nel futuro dei fondi strutturali 2007/2013 che puntano sulla
?cooperazione territoriale allargata?. Di più. La Puglia deve immaginare se
stessa come lo snodo vitale dell?Europa nel Mediterraneo, dovrebbe su questo
attrezzare una politica, una serie di agenzie specializzate, credo di poter
proporre l?istituzione nella futura giunta pugliese di un Assessorato al
Mediterraneo. Occorre allargare lo sguardo, gli orizzonti, non avere paura
del mondo che cambia: ma affrontarlo alla maniera dei pugliesi del mare
nelle storie che ci vengono tramandate, di chi si tuffa, nuota, naviga,
oltrepassa le colonne d?Ercole dei propri pregiudizi e del proprio
provincialismo. Serve un forte ?spirito di servizio?, se mi è permesso
rubare ad Aldo Moro un concetto che incardinò nella sua vita e nella sua
morte. Occorre ?osare la modernità? come ci stimola a fare il meglio della
cultura riformista. Occorre coltivare ?pensieri lunghi?, come diceva Enrico
Berlinguer. Occorre sentire la responsabilità di essere una parte vitale di
un mondo complicato e di un tempo anche carico di incognite, un mondo e un
tempo che tornano a sentire il tuono della violenza e a vedere il lampo dell
?orrore prodotti scientificamente dal partito della guerra infinita e dal
partito del terrore. Anche qui noi possiamo e dobbiamo svolgere un ruolo: di
rifiuto della passività, di resistenza civile ai codici di morte, di
disseminazione di parole e gesti di dialogo.
Dobbiamo rifiutare il destino di una Puglia militarizzata e solcata nei
propri mari o nei propri cieli da strumenti atomici di sterminio di massa.
Fummo chiamati ad inverare un ?sogno diurno?, uno di quei sogni che a
sognarli insieme e ad occhi aperti si possono realizzare. E? il sogno di una
Puglia ?arca di pace?. L?arca è una metafora bellissima, perchè chiede ad
ogni creatura del vivente di venire con noi in un viaggio di salvezza,
chiede a noi di amare tutti e di tutelare la natura, di proteggere il bene
della biodiversità e di non abbandonare per strada neppure un cagnolino.
Chiede a noi di fermarci a raccogliere l?umanità che è inciampata, di non
dimenticare mai nei nostri progetti di ricchezza il volto degli ultimi, di
pensare che potremo edificare bene anche scegliendo le pietre di scarto che
ci furono indicate come pietre angolari. Diciamo alla Puglia di non fare
questa campagna elettorale come uno scontro tra due ?principi?, come in una
giostra medievale. Io non sono un principe e l?unica aristocrazia che mi
intriga è quella dei cuori. Diciamo alla Puglia di riprendersi il diritto di
decidere, di partecipare, di parlare, di raccontare le proprie speranze ed
anche le proprie disperazioni, di rimettere in piedi la comunità allargata,
quella che organizza democrazia e nuovi saperi collettivi. Diciamo alla
Puglia che si può, si può, si può cambiare, che non è vietato neppure
sognare, che vale la pena coltivare progetti ricchi di umanità. Diciamo alla
Puglia di vincere la sua sfida più bella: quella che mette insieme libertà e
solidarietà e ci fa essere individui dotati di diritti in una comunità che
sa accoglierci. Diciamo alla Puglia di riprendere il mano il bandolo
ingarbugliato del Sud, del nostro Sud, e di ritessere la tela bella dei
giorni che verranno.
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