SINGOLAR TENZ(i)ONE
Quattro volte all'anno in un contesto di nevrosi collettiva che coinvolge
tutti gli ambiti della vita metropolitana si svolgono le sfilate della
"settimana della moda" . Le testate giornalistiche, le televisioni, gli
hotel, i taxi, le aziende addette alla ristorazione, i ristoranti, i service
di luci, audio, montaggio e allestimento, le cooperative di facchinaggio e
di pulizia, le agenzie di intermediazione lavoro, i corrieri e decine di
altri settori sono investiti da richieste di manodopera piu' o meno
qualificata e di servizi piu' o meno onerosi e singolari.
La citta' si intasa e la distribuzione delle locations delle sfilate cambia
di volta in volta precedendo e seguendo le trasformazioni di un territorio
che i solerti rappresentanti dell'amministrazione cittadina considerano
totalmente plasmabile dalle infinite esigenze del sistema moda.
D'altronde la quantitu' di soldi investita nella settimana di libidine
modaiola e' talmente alta da giustificare ogni sforzo per favorirla.
In quest'orgia mediatica il silenzio piu' assoluto, l'oblio piu' profondo e
riservato alle condizioni di lavoro dei precari e alle precarie
che questa manifestazione la montano, smontano, sfamano, pubblicizzano,
illuminano, puliscono, truccano e cosi' via.
Lavori fantasmagorici il piu' delle volte sotto retribuiti e pagati a
distanze spazio temporali da film di fantascienza con orari che si
inerpicano nella giornata riempiendola, pasti veloci e frugali consumati in
piedi, mai nello stesso orario, quando il lavoro lo consente che non hanno
neanche la dignita' dello spuntino.
Interi quartieri, una volta popolari come il ticinese, calvairate, l'isola
vengono penetrati modificati ed epurati dalle componenti sociali piu' povere
attraverso un meccanismo perverso di investimento, "valorizzazione" degli
immobili che porta ad una spirale vertiginosa che dall'aumento dei generi
di prima necessita' arriva a quello degli affitti consentendo speculazioni
sempre peggiori.
Il cerchio si chiude se si pensa che la moda in se non e' un luogo di vendita
di merci bensi' rappresenta una vetrina ideologica attraverso la quale gli
amministratori della comunicazione, che guarda caso sono i nostri governanti
e datori di lavoro ( precario ) veicolano valori che come il lusso, l'
individualizzazione, il superfluo (e la loro spettacolarizzazione), operano a
progettare la trasformazione del territorio urbano e delle nostre vite.
Pensiamo di meritare di piu'.
Quella che per molti sembra una ricchezza per noi e sinonimo di precarieta'.
E' quello che per loro e' cultura per noi e' la copertura mediatica
necessaria
a convincere le persone che questo mondo e' il migliore di quelli possibili
arrivando a sostenere che i poveri saranno meno poveri se i ricchi saranno
piu' ricchi
Il meccanismo e' addirittura piu' perverso se si pensa che i grandi brand
della moda traggono dalla vitalita' del sociale gli spunti per le proprie
collezioni appropriandosi dei linguaggi e delle culture dell'underground per
poi riproporli svuotati di senso negli sfavillanti eventi che noi
frequentiamo da lavoratori precari
La richiesta della stilista giapponese Serpica Naro di poter sfilare all'
interno di un centro sociale all'isola si inserisce perfettamente in questa
logica tanto quanto il tentativo della stilista Cavalli di acquistare la
stecca degli artigiani, spazio di ricchezza sociale ed autogestione
Noi sfideremo a singolar tenzone la settimana della moda, le sue suggestioni
e i suoi palcoscenici reali e virtuali. Impediremo a costoro di
impossessarsi delle nostre strade e degli immaginari che sono frutto e
proiezione dei nostri desideri.
Il luogo ( Milano ) e le forme ( la precarieta' ) di questa sfida sono state
stabilite non certo da noi e ci riserviamo quindi il diritto di sceglierne i
tempi e i modi.
Ci consideriamo da questo momento in poi in stato di agitazione sociale.
precari e precarie
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info:
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