http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/14-Febbraio-2005/pagina06.htm
La «curva rossa» si schiera con Giuliana
Le Brigate autonome livornesi espongono uno striscione per la giornalista del manifesto. Lo stesso accade a Lecce, come l'altro ieri a Milano e mercoledì sera a Cagliari. La solidarietà di Protti e Lucarelli
TOMMASO TINTORI
LIVORNO
Nemmeno il calcio ha dimenticato Giuliana. Il rito purificatore di casa nostra, che solitamente riesce per un pomeriggio a far passare in secondo piano delusioni, fallimenti e disgrazie, ha mandato un bel segnale di solidarietà. Un gesto che però non è arrivato dalla Lega, ma da quella che viene considerata dai soliti benpensanti la feccia della società: gli ultrà. Giuliana è stata infatti ricordata con due striscioni dai tifosi leccesi e da quelli livornesi. Questi ultimi, precisamente le pluridiffidate Brigate autonome, hanno affisso un lenzuolo bianco sulla recinzione esterna della curva che recitava "Giuliana resisti", firmandolo con il simbolo della falce e martello. Un gesto che rende omaggio alla "curva rossa", in un giorno peraltro molto particolare per Livorno. Un po' perché i tifosi, proprio ieri, hanno festeggiato il novantesimo anniversario della fondazione, un po' perché la sconfitta subita domenica scorsa dalla derelitta Atalanta aveva reso un po' agitato il clima attorno alla squadra. Ma gli ultras livornesi, pur in mezzo a mille difficoltà, hanno sempre dimostrato di saper distinguere tra il sacro e il profano, tra la politica e il calcio, malgrado le mille critiche e le mille polemiche. E così è stato anche ieri. Il caso ha poi voluto che la festa per i novant'anni mettesse di fronte gli amaranto proprio alla Sampdoria: due anni fa, sempre a Livorno, tra le due tifoserie (anni fa amiche e ora rivali a causa del gemellaggio dei genovesi con la tifoseria del Verona) ci furono incidenti tuttora rimasti ben impressi nella memoria degli ultrà toscani. La questura livornese scelse di usare il pugno di ferro comminando oltre trenta diffide e da quel giorno in poi è iniziata una tremenda spirale repressiva che ha portato a un'ondata di interdizioni dagli stadi, molte delle quali dispensate a casaccio e discutibili sia nel metodo che nella forma.
"90 anni da ricordare, 250 diffidati da non dimenticare", recitava un gigantesco striscione esposto in curva proprio accanto a quello che invitava Giuliana a resistere. Cristiano Lucarelli, anima e cuore della squadra e un po' di tutta la città, non ha dimenticato né loro, né Giuliana. Nel dopopartita, dopo aver espresso tutta la propria soddisfazione per il suo gol-vittoria, ha voluto soffermarsi proprio su quelle due scritte: «I ragazzi della curva, ormai, non mi sorprendono più. Quando c'è da esprimere solidarietà verso i più deboli - ha proseguito Lucarelli - o nei confronti di chi è in difficoltà, sono sempre in prima linea. Hanno sempre un pensiero per tutti. Lo hanno fatto recentemente per i lavoratori di alcune fabbriche locali in difficoltà e lo hanno confermato oggi (ieri, ndr) con questo striscione a favore della liberazione della Sgrena. Avrà sorpreso alcuni - ha concluso il bomber livornese - non certo me».
Anche Igor Protti, altro mito vivente dei tifosi amaranto che in fatto di sensibilità ha dimostrato di non essere secondo a nessuno, ha voluto commentare quel lenzuolo bianco vergato di nero. Sorridendo: «Noi siamo sempre molto presi dal calcio, tanto che in alcuni momenti sembra la cosa più importante del mondo e magari, in giornate sportive come questa, ci dimentichiamo di persone che si trovano in grande difficoltà come Giuliana. Ci auguriamo - ha aggiunto Protti - che possa tornare dall'Iraq prima possibile, e con lei tutti gli altri, affinché in quella terra martoriata dalla guerra si possa finalmente vivere in pace e in serenità. La pace migliorerebbe la vita di tutti, soprattutto di quei milioni di bambini che soffrono in ogni angolo del mondo».
Parlando invece della partita, ricordiamo soltanto che è stata vinta dal Livorno per uno a zero a contorno di una splendida giornata di festa sportiva. Per l'occasione, la squadra toscana è scesa in campo con la maglia storica, quella del 1915, ma "macchiata" dallo sponsor che, per esigenze contrattuali, non è stato possibile rimuovere. All'ingresso in campo delle squadre, lo stadio ha cantato all'unisono il glorioso inno della squadra, composto agli albori del secolo da Giorgio Campi.
E mentre al campo di Ardenza risuonavano le note di "Baldi e fieri venite o' compagni..." (recentemente inciso di nuovo dalla Banda Bassotti in omaggio alla tifoseria), c'era chi, nella lontana Nuova Delhi, non perdeva occasione di ricordare la sua passione per la maglia amaranto. «Posso solo augurarmi - ha commentato il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi - che il Livorno ritrovi il vecchio spirito dei tempi in cui giocava nel piccolo impianto di Villa Chayes, quando il calcio non era ancora uno sport così diffuso da avere bisogno di un vero e proprio stadio. Hanno cominciato bene - ha concluso Ciampi riferendosi al cammino della squadra in campionato - e speriamo che vadano ancora meglio. Tenetemi informato sulla partita di oggi». Presidente, come si dice a Livorno, «è andata di lusso».
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Cara Giuliana,
scusa se ti scriviamo una lettera che non potrai leggere subito ma solo tra un po', quando - come ogni mattina - ci telefonerai per dirci quale pezzo d'Iraq raccontare ai nostri lettori, come stavi per fare ieri. Scusa se ti mettiamo in prima pagina, ma oggi la notizia sei tu e il nostro mestiere - nel suo lato migliore - è proprio questo, parlare di ciò che succede, raccontando le linee d'ombra, ciò che magari non appare, ciò che non è «ufficiale», ciò che accade alle persone in carne e ossa. Dovrebbe essere un mestiere di confine e proprio per questo «uno dei pochi che valga la pena fare», diceva uno scrittore messicano; a volte è ridotto a piccola cosa, ma dipende da noi renderlo vero. Per questo tu ora sei lì, in Iraq, dove sei stata già tante volte, un paese che ami - non in senso astratto - ma perché ami la sua gente martoriata da troppi anni di guerre, dittatura, embarghi, terrorismo.
Per questo hai voluto correre il rischio che sempre c'è a non restarsene in albergo, limitandosi a rilanciare i dispacci ufficiali, scendendo invece in strada a cercare la verità, le sue difficili ambiguità. Stiamo «dalla parte del torto», è vero ed è un bene. Cara Giuliana, a ogni vigilia di un tuo viaggio - come alla vigilia dei viaggi che ognuno di noi stava per fare in «zone difficili» - ci incontravamo non solo per stilare il programma di lavoro, ma anche per chiederci il senso di quella «missione», per dirci se ne valesse la pena. Ma la risposta è sempre stata - e sarà - la stessa: «Vale la pena, serve a noi per capire e far capire, serve alla nostra parte, gente che per non essere prigioniera di questo mondo deve essere in questo mondo». E poi è anche bello, accidenti se è bello, poter guardare e descrivere la vita in libertà, che è la storia di questo giornale, pagata con un'esistenza un po' precaria o, peggio, rischiando brutti incontri. E' un privilegio che ci teniamo stretti, perché rinunciarci sarebbe magari comodo ma terribilmente triste, una violenza contro noi stessi.
Cara Giuliana, ora tu sei tra persone sconosciute e che si pensano ostili. Non vale neanche la pena dirti che è come se fossimo lì con te e, con noi, tante altre persone, che ti conoscono o ti leggono, che ieri hanno chiamato o sono venuti a trovarci. Quasi non serve ricordartelo, tu lo sai già. Come saprai dire anche a chi ti ha sequestrata l'insensatezza di quel gesto, lo stesso modo con cui hai saputo spiegare a noi e a tutti la follia della guerra, di una «democrazia» imposta con le armi, del terrorismo. Proprio con le medesime parole che hai usato in questi anni sul giornale. In questo momento, anche se siamo preoccupati - insieme ai tuoi cari e ai tuoi amici - noi non lanciamo appelli, non facciamo abiure, non pietiamo nulla a nessuno. Vorremmo solo che la grande solidarietà che in queste ore è stata pronunciata nei tuoi confronti si traducesse in qualcosa di concreto. Chi ha scatenato la follia che è ricaduta su di te ha il dovere di muoversi per farti tornare libera al più presto. Chi ti ha sequestrata deve ascoltarti e convincersi che non sei nemica di nessuno.
Cara Giuliana, qualcuno sta già dicendo che il tuo sequestro è una nemesi, che a essere colpiti siamo noi - pacifisti, giornalisti di sinistra - e ci chiedono un pentimento. Siamo sicuri che tu non ti stai pentendo di una sola virgola di quello che hai scritto e non saremo certo noi a tradirti. Preferiamo condividere con te - per quanto possiamo, da qui - la paura di questo momento e di farlo insieme. E' la sola «arma» che abbiamo e che vorremmo esistesse nel mondo. E' il tuo e il nostro modo d'essere.
Cara Giuliana, oggi ci ritroveremo in una piazza romana per vincere assieme la paura, nello stesso modo in cui siamo scesi per strada cercando di fermare la guerra o per dire che la barbarie che l'ha accompagnata e seguita non ci appartiene. Sarà come se tu fossi con noi, esattamente come - anche se fisicamente non è proprio così - noi siamo lì con te. Aspettiamo tue notizie. Per ora, un forte abbraccio da tutti noi e a presto.
Nichi Vendola.
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