[Cerchio] Somalia nostra...

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Szerző: leonid ilijc brezhnev
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Tárgy: [Cerchio] Somalia nostra...
Somalia nostra... (13 dicembre 1992 - 21 marzo 1994)            
di  mazzetta
11 Feb 2005    
Il rappresentante dell'opposizione italiana e candidato premier Romano 
Prodi, ha richiamato in questi giorni il paese a battersi contro le 
trasfigurazioni della realtà, operate attraverso il controllo dei mezzi di 
comunicazione di massa dalla maggioranza, e dal suo padrone. Tutti noi 
sappiamo di cosa stesse parlando, avendo trascorso gli ultimi anni a 
contrastare false visioni messe in scena per occultare veri e propri 
crimini contro la collettività, posti in essere dall'attuale governo.


Un salutare passo all'indietro ci può far rammentare la definizione che
Berlinguer diede ai tempi del congresso socialista del Midas, quando
affermò che una "banda di briganti" si era impadronita del Psi eleggendone
Bettino Craxi segretario. Definizione per nulla campata per aria,
certificata poi dagli sviluppi di Tangentopoli e dal veloce riorganizzarsi
della "banda" attorno all'erede craxiano, il quale senza neppure
l'impedimento di un partito, e grazie al controllo dei media, porterà a
nuovi fasti l'arte italiana dell'inganno e della manipolazione popolare.

Affermazione, la mia, contraddetta dallo stesso palco da un altro dei capi
dell'opposizione, l'on. Piero Fassino; che è parso riconoscere di nuovo in
Craxi un padre nobile della sinistra. Sarebbe però ingiusto attribuire
solamente a Berlusconi e ai piduisti suoi complici, il clamoroso successo
grazie al quale sono finora riusciti a depredare l'Italia e a devastare le
sue leggi.

La radice del male è molto più remota, il cancro era già molto sviluppato
prima della discesa in campo dell'unto del Signore, lo ha dimostrato la sua
stessa affermazione, inconcepibile in un paese sano. Berlusconi non sarebbe
riuscito nell'intento senza la passiva complicità e la paurosa degradazione
morale e qualitativa dei dirigenti dell'opposizione.

Le righe che seguono vi introdurranno in una vicenda che ci restituisce
l'immagine di un ceto politico privo d'etica e di morale, in questo
perfettamente allineato con la percepibile, e parallela, decadenza generale
che interessa il nostro paese. Etica e morale, due parole antiche che
occorre resuscitare per restituire ad alcuni avvenimenti la loro dimensione
reale e trarne alcune conseguenze.

La storia che costituisce il filo conduttore di questo ragionamento è
quella del disgraziato intervento umanitario in Somalia, cominciato nel
dicembre 1992 e terminato il 21 marzo 1994 e ormai dimenticato da tutti,
vedremo poi di capire il perché. La storia dell'operazione Ibis, o Restore
Hope nella sua denominazione americana, è una storia che ci racconta di un
disastro provocato in primis proprio da noi italiani; in questo senso la
sua clamorosa rimozione non deve stupire molto.

All'inizio degli anni '90 la Somalia è in preda alla guerra civile. Diverse
fazioni, riunite secondo linee disegnate dall'appartenenza ai clan tribali
sono riuscite a rovesciare il dittatore Siad Barre, e si contendono il
potere mentre la popolazione è sconvolta da una carestia. L'Onu, presenta
una missione umanitaria scortata da caschi blu in gran parte pakistani e
sovrintende alla diffusione degli aiuti con sempre maggiori difficoltà,
fino ad essere attaccata pesantemente. All'appello di Boutros Ghali
risponde un George Bush a fine mandato, promettendo l'invio di 25.000
militari e di mezzi all'occorrenza. Oltre alla motivazione umanitaria Bush
indica anche la necessità della caccia al terrorismo islamico, dato in
espansione nel Corno d'Africa.

La Somalia è un paese nominalmente musulmano.

L'Onu affiderà alla forza multinazionale costituita su base volontaria il
compito di distribuire gli aiuti e di avviare la procedura di nation
building "con ogni mezzo necessario", licenza che si rivelerà troppo ampia.
Un regalo avvelenato per il successore, Bill Clinton, o un passo
dell'espansione coloniale americana in Africa; in ogni caso a Bush Senior
nessuno degli analisti del tempo riconosce alcun afflato umanitario. Si
costituisce così un forza multinazionale destinata a rilevare la missione
UNITAF, che sarà composta da una ventina di paesi al disperato soccorso dei
somali che muoiono per fame come mosche.

Il panorama politico italiano è a quel tempo in piena rivoluzione; da un
lato la fine del Pci segna la frantumazione del partito attraverso linee di
frattura che corrono lungo diversità "politiche" ed "etiche" che rendono
impossibile la permanenza sotto la stessa insegna dei vecchi compagni;
dall'altro la fine della Democrazia Cristiana ci consegna l'immagine di un
paese privo ormai di formazioni politiche di massa, nel quale i funzionari
ed i burocrati dei due, ormai ex "partitoni", organizzano piccole
formazioni destinate alla contrattazione permanente della loro
sopravvivenza politica.

Il governo "tecnico" di Giuliano Amato decide così per la partecipazione
del nostro paese all'avventura umanitaria. La decisione passa in
cavalleria, contrari solamente Rifondazione Comunista e Rete; tra le
motivazioni addotte c'è, infatti, la grave crisi umanitaria del paese, c'è
il legame storico con la nostra ex-colonia verso la quale tutti dicono di
sentirsi in debito, anche il precedente successo della campagna contro
Saddam nel '91 concorre ad ispirare ottimismo; c'è infine il segnale della
riabilitazione del passepartout colonialista, finalmente riutilizzabile
dopo la caduta dell'impero sovietico: l'intervento civilizzatore. Si parte
tra lo sventolio delle bandiere.

A nulla servono le proteste dei somali residenti in Italia, poco o nulla
considerati, arrivano ad auto-censurarsi non appena cominceranno a morire i
nostri soldati, timorosi di essere indicati come collaborazionisti. Da
allora i sempre più numerosi interventi armati, occidentali, in paesi in
via di sviluppo o in ogni caso non allineati con i desideri dell'Occidente,
tornano ad essere leciti in nome dell'ipocrita altruismo al quale sono di
volta in volta intitolati. Un mezzuccio razzista che pareva essersi
dissolto dopo la delegittimazione subita negli anni '60, ai tempi della
decolonizzazione, ma riesumato alla bisogna e senza opposizione dopo il
crollo del blocco sovietico.

Un trucco esclusivamente semantico che, in questi anni, non ha trovato
alcuna forza in grado di contrastare la narrazione bugiarda con la quale è
imposto dai corporate media. Quali reali motivi, hanno spinto allora il
nostro paese ad imbarcarsi nell'avventura somala correndo incontro al
disastro? Se da una lato ci fu interesse a non lasciare mano libera ad
estranei in Somalia, dall'altro ci fu il crollo totale d'ogni impostazione
critica verso questo tipo d'avventure, ben riassunta in frase dell'epoca
dell'on. Fassino: "Con le spedizioni militari - rivendicate in quanto tali
- l'Italia acquisisce coscienza di sé".

A nulla valgono i pareri contrari di Usa ed Onu sulla partecipazione del
nostro paese, la missione è battezzata Ibis ed i nostro valorosi partono
dopo che gli americani sono sbarcati, e che è chiaro come non ci siano
rischi immediati ed eccessivi. Su questi presupposti i nostri militari
costituiscono i loro quartieri per conto loro in una parte diversa della
capitale somala ed in alcune località del grande paese africano, la
missione internazionale non ha un unico comando, ma solo un coordinamento
trai i diversi comandanti sul campo. Mentre la distribuzione degli aiuti
prosegue senza intoppi e resistenze, tanto da consegnare all'eterno
ridicolo lo sbarco dei marines su una spiaggia affollata solo di telecamere
e giornalisti, cova in realtà la tragedia.

I contingenti sul campo diventano, ogni giorno di più, meno neutrali, ed è
ben presto chiaro che il previsto dialogo inter-somalo dovrà subire le
ingerenze straniere. Al ruolo di arbitro dell'Onu si sostituiscono ben
presto i paesi presenti sul campo con i militari, agendo ognuno secondo le
rispettive politiche ed interessi nazionali. Dopo pochi mesi diviene
evidente che Usa ed Italia supportano, ciascuna per sua parte, due fazioni
somale rivali. Anche la Germania e l'Inghilterra coltivano interessi sul
campo. Questo rimane il motivo fondamentale del fallimento della missione
somala.

Un motivo che per quanto esplicitato dagli alleati non arriverà mai sul
tavolo del dibattito politico italiano. I soldati italiani, appena giunti
nel paese privi di chiare indicazioni politiche, si affidano alle
indicazioni dei pochi italiani rimasti in loco dopo la caduta di Siad
Barre. Il vecchio dittatore, complice dei craxiani nella sparizione di
qualche migliaio di miliardi destinati dalla cooperazione italiana alla
Somalia, era buon amico del pentapartito, e la sua scomparsa aveva lasciato
gli interessi italiani nell'area orfani del principale riferimento. A
comandare la missione l'ambasciatore Angelucci ed il generale Loi,
sicuramente fedelissimi della prima repubblica.

Il nostro contingente si lega immediatamente ad alcuni elementi poco
raccomandabili, mettendo le basi del fallimento fin dall'arrivo nel paese;
con il tempo si scoprirà che nel paese africano sono in realtà i nostri
servizi segreti a menare la danza, con un folcloristico giro di mafiosi,
piduisti, mercanti d'armi e di rifiuti tossici, il peggior pattume del
sottobosco monarchico e fascista rimasto legato da nostalgie africane e
partner in traffici di ogni tipo con pezzi dello stato, galoppini del
pentapartito e faccendieri di ogni risma.

Armi transitano per gli snodi controllati dai nostri militari versi i
signori della guerra. Oscuri italiani, noti argentini, notissimi siriani
pompano armi nel paese, faranno lo stesso in Yugoslavia, ora in Iraq;
nessun intervento coloniale prescinde dalla fornitura di armi ai propri
"alleati" in loco, non è un caso che questi personaggi prosperino.
Apparentemente privo di guida politica il nostro contingente si assicura i
servigi di Giancarlo Marocchino, un cittadino italiano che deve al sua
fortuna somala all'essersi impadronito dei mezzi lasciati dalle aziende
italiane all'indomani della fuga seguita alla caduta di Siad Barre. Quei
mezzi, pagati con fondi pubblici italiani, il contingente li affitta da
questo personaggio coinvolto anche in traffici d'armi e rifiuti tossici.

Gli americani scelgono i modi bruschi con chi non collabora, i nostri
abbattono le capanne per perquisirle più velocemente, o belgi si impegnano
in una battaglia per conquistare una città al Sud; gli stranieri diventano
per tutti i somali degli invasori. La situazione degrada velocemente ed
esplodono vere e proprie battaglie a Mogadisco come nel Sud. Questo accade,
e nel '93 il 14 luglio, Il ghanese Kofi Annan, vice di Boutros Ghali e
responsabile delle operazioni di peace-keeping dell'ONU, intima al Governo
Italiano di sostituire il Gen. Loi alla testa del contingente.

Annan ottiene che l'Italia cambi sia il comando militare che quello civile.
L'Ambasciatore Enrico Augelli rientra a Roma per consultazioni. Viene
sostituito temporaneamente da Mario Scialoja; il generale Loi sarà
avvicendato dal generale Fiore. Il successivo 30 agosto, prima azione di
400 Rangers del Delta Force fatti giungere in Somalia dal Presidente Usa
Bill Clinton allo scopo di catturare Aidid. L'azione finisce in una farsa,
anziché catturare il generale prelevano nove membri dell'ONU coprendosi di
ridicolo.

A provocare la rivolta somala è la pretesa americana di voler arrestare il
generale Aidid, principale "signore della guerra" somalo e la combinata
contrarietà italiana al piano. L'ennesimo tentativo americano nella caccia
ad Aidid si traduce nel disastro raccontato nel film "Black Hawk down",
troppo per Clinton, che decide il ritiro delle truppe Usa, che determina a
cascata la fine della missione.

Oggi quello scontro viene raccontato come un agguato subito da terroristi.

Emergono diffusi casi di soprusi e di maltrattamenti sulla popolazione da
parte della forza multinazionale. Saranno scoperti casi di tortura ed abusi
operati dalle forze italiane, canadesi e del Belgio. Un'inchiesta Onu ne
renderà le dimensioni impressionanti. Nel 1994, Governo Ciampi, si conclude
la missione nel disonore, il corpo di pace rientra avendo fallito
l'obiettivo, a carico dei circa 12.000 avvicendatisi emergono gravi accuse
di torture alla popolazione somala e di grave improvvisazione politica;
l'emergere, anche in tempi successivi di queste gravi accuse porterà alla
nascita della Commissione Gallo.

Oggi, a distanza di anni, siamo in grado di affermare che su tutti gli
avvenimenti legati alla Somalia sia stata stesa una pesante coperta di
omertà istituzionale e civile, che ha consentito a tutti coloro i quale
commisero errori, omissioni o anche gravi delitti di uscirne impuniti e
puliti. Tutti la commissioni parlamentari ed i procedimenti giudiziari
aperti a fronte dell'evidenza dei crimini italiani commessi nel paese
somalo indicano colpevoli che non verranno mai puniti.

Questa colossale opera di rimozione è stata resa possibile dalla conclamata
convergenza di maggioranza ed opposizione sul punto che fosse meglio per
tutti non parlarne più, agevolata in questo dal precipitare del livello del
controllo democratico nel nostro paese e della capacità di conservare
memorie condivise di fatti tanto dolosamente occultati.

In tutta questa storia emerge, ad ogni livello, la consapevolezza che le
cose sarebbero andate in maniera molto diversa se il nostro paese non fosse
intimamente razzista, e la nostra classe dirigente assolutamente
compromessa. L'analisi degli avvenimenti non offre altra spiegazione. Alla
colossale vergogna per il nostro operato in Somalia, ci troviamo ora ad
aggiungere l'incapacità di un paese che si vuole democratico, di punire
responsabili di gravi crimini e di far i conti con i propri errori e
miserie. L'avventura somala ci ha consegnato un quadro devastante.

L'Italia è responsabile di gravi crimini commessi da suoi cittadini in
territorio somalo.

Il più grave di tutti è sicuramente rappresentato dall'aver trasformato la
Somalia nella pattumiera dei rifiuti tossici italiani. Nero su bianco, si
parte da un contratto firmato dall'allora ministro di Siad Barre,
dichiarato illegale dalla comunità internazionale, e si procede attraverso
la sparizione di 1/3 dei rifiuti tossici prodotti nel nostro paese. Non
sono finiti tutti in Somalia, esistono decine di organizzazioni che si
occupano di questo affare, caterve di rifiuti vengono dispersi anche sulle
nostre campagne o in altri paesi. Il traffico di rifiuti verso paesi del
terzo mondo, viene difeso come legittima opportunità di affari dagli
imprenditori che risultano coinvolti, e che hanno spiegato bene che fino a
che potranno non avranno alcuna remora a trasformare in pattumiera tutti
quegli stati che non si opporranno con le unghie e con i denti.

Faccendieri argentini, italiani, svizzeri, rivendicano il diritto di
lucrare sulla inesistente resistenza dei paesi in dissoluzione e continuano
a farsi beffe delle leggi. Cosa meglio di paesi come la Somalia, o Haiti, o
il Mozambico, nei quali non esiste organizzazione statale e contrasto? Il
business si perfeziona utilizzando i mezzi che portano i rifiuti per
rifornire di armi i referenti locali, sempre alla ricerca di maggior
potenza bellica in questi casi.

Uno dei più clamorosi tra questi accordi prevedeva la trasformazione di un
cratere nel Sahara in pattumiera; andò a monte perché il Marocco temette un
rafforzamento bellico del fronte di librazione Polisario, e denunciò
l'accordo che pure aveva sottoscritto. L'evidente amoralità di questo
commercio ha portato all'adozione di diverse convenzioni internazionali;
delle quattro principali il nostro paese ne ha recepite solo una. Le
convenzioni vincolano i paesi produttori di rifiuti a non esportarli nei
paesi non-produttori.

Le quantità ipotizzabili nel caso della Somalia sono imponenti, si parla di
navi e mezzi della cooperazione usati per il trasporto, e di tre enormi
discariche servite proprio da quella strada che ingoiò tanti dei miliardi
della cooperazione. Quello che è sicuro è che il traffico prosegue
ininterrotto dagli anni ottanta fino ad oggi, è appena scattato l'allarme
perché ci sarebbe un boom della dispersione in mare lungo le coste somale,
approfittando dello tsunami si butta tutto.

I somali sono sfigati, dopo lo tsunami a loro non mandano aiuto, ma rumenta
radioattiva; lo Yemen, che ha le coste di fronte, registra continui arrivi
di fusti poco raccomandabili. Se poi uno volesse andare a fondo,
scoprirebbe che quest'anno, i fondi destinati alla cooperazione, e quindi
anche alla Somalia, andranno incredibilmente alle vittime dello tsunami,
quelle asiatiche però. E' la generosità di Mr. Berlusconi, che finge
beneficenza e ancora una volta non indigna quasi nessuno. Altra simpatica
angheria ai somali.

Tutto questo in Italia non interessa a nessuno, tranne che a qualche
commissario d'opposizione e agli amici della cricca mafiosa che regola il
traffico.

I pochi magistrati impegnati sul caso dei rifiuti dicono di combattere "a
mani nude contro i carri armati"; il nuovo regime delle prescrizioni
consegnerà tutto all'oblio. Un dato che nessuno è ancora riuscito a
produrre, e che probabilmente nessuno vorrà mai produrre, è quello del
numero di somali che sono morti o moriranno a causa di questa pratica
selvaggia. Non è una dimenticanza casuale, anche i morti per mano dei
peacekeeper internazionali non li ha contati nessuno. Esiste una stima
americana che li valuta, al minimo, intorno ai diecimila. In Italia non ce
ne siamo accorti, ma le poche decine di vittime "occidentali" hanno avuto
molto più risalto delle centinaia di pakistani, e hanno oscurato del tutto
le vittime somale.

Come succede ora per la guerra in Iraq.

Il fiasco della missione ha consigliato una diffusa omertà, Usa ed Italia
non hanno incontrato critiche fragorose da parte di chi condivide gli
stessi peccati. In fin dei conti, sarebbero morti lo stesso per fame senza
l'intervento internazionale, no? Si poteva sicuramente far meglio, ma nella
nostra epoca nessuno si cura dei dettagli. Quanti somali hanno ucciso gli
italiani negli ultimi venti anni con le loro scelte politiche? Il nostro
paese ha un altro grosso debito morale con la Somalia. Come per belgi e
canadesi i nostri soldati furono oggetto di gravi accuse in merito a
torture e a vessazioni sulla popolazione. Mentre il Belgio ha condannato a
cinque anni i due soldati colti sul fatto, ed il Canada ha sciolto il corpo
dei paracadutisti che abusarono dei somali, il nostro paese non ha punito
in alcun modo i clamorosi episodi di tortura, emersi in un articolo di
Panorama del 1997. Le foto prese dai nostri paracadutisti mentre
attaccavano elettrodi ai genitali di un somalo, o mentre stupravano una
somala con un razzo illuminante finirono nel nulla.

La Commissione Gallo, costituita per chiarire le gravi notizie circolate
sulla missione, ed i suoi componenti andrebbero in questo senso indicati ad
esempio superbo di ipocrisia colonialista di ritorno.

La Commissione - accerta e certifica - che vi furono torture, stupri, abusi
diffusi sulla popolazione. Accerta anche il totale fallimento della catena
di comando, come il coinvolgimento di alcuni ufficiali nelle vessazioni.

La Commissione lamenta che non esista nel codice italiano il reato di tortura.

La Commissione dice che i soldati erano abbandonati, senza controllo sul
morale, e che è difficile procurarsi testimonianze dei somali.

La Commissione dice che la visione della cassetta "Good morning Somalia"
allegata a Panorama, ha generato numerose indagini, e diffuso sdegno tra i
commissari.

La Commissione lamenta ostruzioni alle sue indagini.

La Commissione accoglie la considerazione che aver mandato un corpo di
esaltati giovanotti in un tale pandemonio senza alcuna guida non sia stato
un segno di lungimiranza. La commissione prende atto che alcuni
procedimenti disciplinari (500 su 12.000 militari che hanno partecipato nel
tempo alla missione) e processi sono in corso.

La Commissione segnala come sia stato un errore non aver mandato i
carabinieri a tenere a freno soldati non adatti a relazionarsi con la
popolazione civile. La commissione riconosce che i nostri soldati fossero
sottoposti ad un grave - stress -. E basta.

La Commissione non prende alcun provvedimento, né trasmette atti alla
magistratura. I procedimenti a carico dei paracadutisti riconosciuti nelle
fotografie finiscono con un solo soldato che gode della prescrizione.

I politici commentano i vari passaggi distrattamente. Non solo. Cala il
silenzio totale, i riferimenti alla vicenda vengono dimenticati; negli anni
i media dimenticheranno di celebrare l'avventura o di dedicare inchieste a
questo incredibile groviglio di orrori. Solo Rai3 e RaiNews, tra tutti i
media pubblici e privati, si interesseranno agli avvenimenti. Anche su
Internet c'è poco. Tra quel poco che si trova ci sono le voci dei siti
riferibili a paracadutisti, nei quali la verità storica viene trasfigurata.
Si parla addirittura di "onore recuperato" a seguito di una pseudo-perizia
effettuata da un ufficiale, che stabilirebbe, bontà sua, che le foto di
Panorama fossero false.

Ipotesi curiosa ripresa anche dalla stampa. Peccato che la "perizia"
consista semplicemente nell'osservazione delle foto e nelle agghiaccianti
conclusioni dei suddetti ufficiali, secondo i quali il somalo non era
torturato, gli avevano attaccato i fila ai genitali per "motivi
sconosciuti"; e la somala stava in realtà inserendosi da sola un razzo
nella vagina, lo direbbe la sua mano sul razzo. Perizia che, chissà perché,
i due valenti caballeros non hanno pensato di produrre in tribunale al
tempo del giudizio, strane storie.

Di somali uccisi non parla nessuno.

Nessuno può negare che se a "godere" del razzo fosse stata una ragazza
bianca e magari bionda, difficilmente la faccenda sarebbe finita così.

Senza vergogna...

A titolo di esempio: i canadesi hanno riconosciuto le loro responsabilità,
hanno sciolto il corpo dei paracadutisti perché, dicono, l'esaltazione con
la quale vengono nutriti i corpi speciali crea persone che si ritengono
superiori e finiscono per perdere la coscienza dei limiti imposti ad un
comportamento civile. Il fatto che il corpo attirasse persone dalla bassa
scolarizzazione, da zone remote del paese, per trasformarle in macchine da
guerra, portò alla conseguenza logica di farne degli inadatti ai contesti
nei quali fossero necessarie relazioni con i civili. Grave anche che gran
parte di questi divenga dipendente delle grosse Compagnie Militari Private
dopo il congedo, PMC nelle quali si fonde finalmente la potenza economica
con il controllo di quella di fuoco con effetti devastanti. Unica scusante,
l'essere spesso coinvolti in esercitazioni con i colleghi americani,
portatori di una "mentalità da gang".

La decisione dello scioglimento fu logica conseguenza, e riparazione della
vergogna. Il Canada non è un paese comunista, è semplicemente dotato di
standard morali che da noi sono declamati al vento. Nel nostro paese venne
timidamente chiesto lo scioglimento della folgore, ma non se ne fece nulla.
Se consideriamo come quegli eventi siano oggi ricordati, viene da pensare
che non solo i paracadutisti non abbiano imparato niente dalla loro
esperienza in Somalia, ma anche che a nessuno di loro sia mai venuto in
mente di esprimere alcun dispiacere per le vittime somale.

Tra le tante efferatezze c'e poi un vezzo; nessuno pensò ad alcun sostegno
psicologico o terapia per menti tanto sconvolte; una procedura comune nei
paesi civili, da noi non ci ha pensato nessuno. Se a questo aggiungiamo che
alcuni degli elementi presenti in Somalia parteciperanno con eguale
entusiasmo al festival cileno durante il G8 a Genova, e che ora sono
imputati di reati gravissimi, possiamo ben dire che la dimostrazione di
civiltà impartita dal Canada fosse non solo etica, ma addirittura
economica. Il Canada non si è astenuto nemmeno dal punire i militari che
hanno tentato di minimizzare i fatti o resistere alle inchieste.

I militari e gli ufficiali dei servizi presenti in Somalia hanno mentito
estesamente e dolosamente, nessuno è stato punito per questo, neppure il
medico che pare aver consigliato di applicare gli elettrodi ai genitali del
somalo, perché contengono liquidi e conducono meglio l'elettricità.. A oggi
possiamo dire per certo che i nostri soldati abusarono diffusamente della
popolazione somala, che nessuno di loro è mai stato punito, e che nessun
governo italiano, o politico italiano, ha mai chiesto scusa al popolo somalo.

La verità certificata dalla Commissione Gallo, appare oggi sconosciuta, a
destra come a sinistra, tanto che si parla da "presunte torture" a destra
come a sinistra; mentre le azioni dei somali vengono definite opera di
"terroristi". Nel polverone finisce in mezzo anche un ufficiale dei
bersaglieri, accusato ingiustamente di aver stuprato un ragazzino somalo,
un'altra vittima di una situazione incredibile Le schiere di giornalisti
che bivaccarono in quegli anni in Somalia sono ricordate, a parte casi
particolari, per la loro assenza, la storia dimostra la loro lungimiranza.

La latitanza dell'intera classe politica è clamorosa quanto imbarazzante.

Sulla Somalia pochissimi hanno speso parole che non fossero esercizio di
clamorosa e lampante ipocrisia. La missione venne varata ed abbandonata a
se stessa. Nel 2000, per accontentare il presidente Ciampi, che all'epoca
dei fatti era al governo e non diede segno di accorgersi di nulla, se non
quando venne sollecitato dall'Onu, la missione viene per la prima volta
commemorata con una parata militare, causando ulteriore offesa ai somali.

Nessuno dei governi che si sono succeduti si è preoccupato della tortura e
solo una delle raccomandazioni della commissione Gallo è stata accolta:
quella relativa ai carabinieri, mandati in forze in Bosnia, Albania
Afghanistan ed Iraq. Se qualcuno però a questo punto spera che i
carabinieri servano "almeno" ad evitare le torture agli iracheni sotto il
loro controllo, si sbaglia. I carabinieri servono ad evitare grane ai
"nostri"; sovrintendono alle catture e poi si fanno firmare delle ricevute
da iracheni ed americani, nelle mani dei quali si firma che i prigionieri
sono consegnati integri. Peccato che le prigioni di Nassirya, sotto la loro
giurisdizione quando ancora controllavano la città, venissero descritte
dagli stessi carabinieri come gironi infernali nei quali i prigionieri
subivano ogni atrocità. Circostanza dichiarata tranquillamente al TG,
sfuggita alla cappa omertosa mentre si magnificava la nuova prigione, dono
generoso di noi civilizzatori.

A nessuno è parso importare che i carabinieri tollerassero le torture fatte
dagli iracheni, nemmeno alla coriacea governatrice Contini; è necessario e
sufficiente pararsi il culo all'italiana. Va da sé che anche questa volta
nessun italiano abbia ancora visto in Tv un solo iracheno ucciso dagli
italiani.

In Somalia è ragionevole pensare a qualche centinaio di somali uccisi dai
nostri soldati, stima prudentissima. Di questa enorme vergogna nazionale,
amplificata ancora di più dal rifiuto di accollarsi la benché minima
responsabilità morale o materiale, di fronte ai somali e al mondo, non
rimane ormai più nulla, se non la "Commissione sul ciclo dei rifiuti e
sulle attività ad esso connesse", destinata a combattere anni con il
segreto istruttorio per scoprire reati prescritti, e l'imbarazzante
Commissione Parlamentare sulla morte di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin.

Se la commissione sui rifiuti ci provvederà almeno di qualche conoscenza
sul fenomeno, la commissione, presieduta dall'On. Carlo Taormina sembra
invece il classico contentino per i puri di cuore, un sofisticato inganno.

Istituita per decenza, pare in realtà una macchina per la frantumazione di
ogni possibile traccia e verità sui fatti di quegli anni. Se a
rappresentare l'opposizione non ci sono personaggi di primo piano,
dall'altra parte abbiamo una folta schiera di deputati vicini agli affari
di Taormina, un fanatico dei Paracadutisti, e addirittura il figlio di
Bettino Craxi, il Bobo a guardia delle vergogne paterne.

Sull'altro fronte una pattuglia di deputati emiliani raccolti attorno alla
famiglia della giornalista, un gruppo di giornalisti-consulenti e altri in
ordine sparso. Incolpevoli passeggeri i genitori di Ilaria ed i parenti di
Miran, costretti ad essere spettatori di un film senza fine di orrori
impuniti. Coerentemente con la sua storia Taormina ha presto preso il
sopravvento, e in una sarabanda di irregolarità inaudite guida la
commissione all'insabbiamento, non disdegnando l'uso personale dei poteri
della stessa per infierire su vecchi avversari e regolare conti aperti in
altre vicende.

In particolare, l'uso della secretazione compulsiva di tutto quanto riesca
ad acquisire, promette di combinarsi con il nuovo regime delle prescrizioni
e di murare per sempre gli armadi della memoria e le pretese di giustizia
di decine di casi correlati e non.

Proprio le imprese della commissione, giunta a perquisire giornalisti e
poliziotti, mi hanno spinto ad esaminare meglio l'avventura somala, e a
mutare anche la mia visione riguardo alla commissione Ilaria Alpi.

Pensando a quanto successo nel paese somalo, penso che l'esistenza stessa
della Commissione Alpi sia una ulteriore vergogna nei confronti dei somali.
Penso che rappresenti il simbolo di un'opposizione compromessa ed omertosa,
ai vertici della quale siede gente che preferisce dimenticare, o
accontentarsi di provare a svelare i misteri della morte dei due dipendenti
Rai. Paradossalmente la commissione Alpi propone ancora una volta al mondo
due vittime occidentali e bianche, esempi per tutti.

Una italiana "buona" che cercava la verità, e che quindi ha trovato la
morte per mano di qualche cattivo, preferibilmente negro, magari islamico
come tutti i negri laggiù. Nessun italiano è mai stato giudicato dalla
nostra giustizia come figura criminale in faccende in relazione alla
Somalia, anche i coinvolti nelle indagini sulla cooperazione se la sono
cavata, ma sulla bontà e nobiltà di figure come Annalena Tonelli e di
Ilaria Alpi sono stati versati fiumi di inchiostro e di indignazione.

L'asimmetria è evidente.

Ancora una volta i martiri animati da buoni propositi diventano strumenti
per nascondere il disegno dei cattivi. La commissione Alpi ci propone
ancora una volta, nella migliore delle ipotesi, un bianco buono, ed un
negro cattivo; visto che l'unico condannato fino ad ora, da un tribunale
italiano, è uno dei presunti autori materiali dell'assassinio, un utile
negro. Se Taormina riuscirà a trovare un altro negro come mandante, sarà
tutto perfetto.

Noi siamo buoni.

Poco importa se il povero negro sia stato servito dai nostri servizi, che
da decenni sarebbero da azzerare; poco importa che gli stessi servizi
fossero a conoscenza e collaboranti con la cricca mafiosa che potrebbe
essere stata disturbata dalla giornalista. Poco importa che il presidente
metta in dubbio la testimonianza del negro, sospettato di averla fornita
per rimanere in Italia, non rilevando che a scegliere i poveri negri che
venivano in erano gli stessi personaggi che erano oggetto di sospetti ed
indagini.

Sono i particolari che parlano: per fare un po' di colore, nell'occasione
dell'importazione del negro cattivo e di quello buono che testimonierà
contro di lui, vennero portati in Italia sullo stesso aereo anche altri
poveri negri che vantavano danni. Anche loro selezionati dai nostri
plenipotenziari sconosciuti nelle colonie, sono stati ascoltati e poi
rimpatriati, non ho trovato traccia di alcun risarcimento. In realtà
importa anche poco che gli stessi uomini abbiano giocato per anni in
Somalia insieme a mafiosi e piduisti, giungendo a liberare trafficanti
d'armi catturati dagli americani e sottraendosi a qualsiasi controllo
parlamentare e governativo, costituendosi in un gruppo capace di fare
infuriare in parlamento persino Andreotti, che arrivò a denunciare un uso
illegittimo e senza autorizzazioni governative di tale struttura.

Poco importa il buco nero che ha inghiottito migliaia di miliardi delle
vecchie lire per lasciare ai somali qualche fucile e montagne di rifiuti.
Non si tratta solo di scoprire gli assassini di Ilaria Alpi, non si tratta
solo di rendere pubblici i traffici degli eterni faccendieri di pura razza
craxiana e piduista, non si tratta di mandare a quel paese le stesse
persone che hanno approvato e condotto quell'intervento e ora ci promettono
"una nuova classe dirigente", non si tratta neanche di difendere la verità
in tribunale, o di rivendicare punizioni per questo o per quello, o di
cercare una imperfetta giustizia parziale.

Quello che emerge è molto più preoccupante, e ci dice che nel panorama
europeo e mondiale siamo e ci comportiamo appena meno peggio di un rogue
state, uno stato canaglia. L'ultimo governo, corre sempre più veloce in tal
senso, demolendo qualsiasi residua onorabilità che miracolosamente sia
rimasta attaccata all'immagine del nostro paese. Faremo bene a tenerlo a
mente, a capire quanto disattento egoismo, ignoranza e razzismo animano la
nostra classe dirigente, per non trovarsi un giorno sorpresi da accuse
inaspettate; perché di questo scempio siamo tutti colpevoli.

Quello che preoccupa è che con la sparizione dei partiti di massa sia
svanita anche solo l'illusione che il paese conservi ancora un baricentro
di etica elementare condivisa attorno al quale mobilitare una minima
resistenza consapevole..

Questo, unito ad istituzioni ogni giorno sempre più dolosamente paralizzate
e sabotate, ci lascia colpevoli della barbarie in Somalia; come ci lascia
colpevoli, ed esposti alle conseguenze, di tutte le azioni che senza alcun
controllo alcuni uomini inadatti, sicuramente guidati da scopi
inconfessabili, compiono ogni giorno in nostro nome.

"Italiani, brava gente", ricordiamoci che non e' vero, ci può credere solo
un italiano.

mazzetta
redazione@???