Sarà anche una fonte "di parte" ma mi sembra ugualmente significativa riguardo alla regolarità delle elezioni decantate dai nostri dittatori democratici.
Dal bollettino parrocchiale della Basilica delle Vigne di Genova
Dalla vita della Chiesa e del mondo
IRAQ: A 150.000 CRISTIANI E YAZIDI
E STATO IMPEDITO DI VOTARE
Una minoranza di 150.000 cristiani e yazidi iracheni che vivono nella piana di Ninive, nei dintorni di Mosul, sono stati privati del loro diritto al voto durante le elezioni di domenica e lunedì. La denuncia viene da tre organismi cattolici francesi - Giustizia e pace, Pax Christi e la delegazione permanente dell'Ordine dei predicatori presso 1'Onu - che rilanciano i fatti avvenuti domenica 30 gennaio, mentre tutto il resto dell'Iraq andava a votare: "Nei villaggi di Karakoche, Barttella, Karamles, Bahizana, Cheikhane, Bashika, A1'Hamdanya, Bagdida si è atteso invano 1'arrivo delle urne - raccontano i tre organismi -. Questi villaggi, popolati in maggioranza da cristiani e yazidi (una piccolissima minoranza che pratica una religione mista di islamismo, cristianesimo e zoroastrismo, ndr), sono in una zona più calma della città di Mosul. Nonostante ciò, nessuna équipe elettorale si è presentata domenica e lunedì in queste località. A Karakoche la popolazione ha manifestato per strada per protestare contro quella che considera una violazione dei propri diritti". Secondo fonti locali, "si è cercato deliberatamente di impedire a questi villaggi di votare per evitare la formazione di entità territoriali a maggioranza cristiana e yazida. Nel quadro di un Iraq federale, alcuni partiti avevano, in effetti evocato la possibilità di disporre di una certa autonomia per i cantoni cristiano-yazida i questa regione". Gli abitanti cristiani (caldei e siriaci) e gli yazidi, rivendicano dunque "il diritto di partecipare alle decisioni politiche che li riguardano". "Nel contesto di grande instabilità che regna attualmente in Iraq - commentano le tre organizzazioni francesi, le minoranze dispongono in quei luoghi di un posto dove vivere secondo le loro tradizioni, in un clima di pace relativa. La privazione di fatto del loro diritto di voto costituisce un segno molto preoccupante per il futuro di queste comunità". In più, "la reazione o assenza di reazione delle autorità nazionali e della comunità internazionale non mancheranno di essere osservate e interpretate dalle minoranze dell'intera area del Medio Oriente"
Carlo Schenone
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From: Carlo Ghione
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Sent: Tuesday, February 08, 2005 12:09 AM
Subject: [NuovoLaboratorio] La grande fabbrica della menzogna arruola ancheparte della sinistra
La grande fabbrica della menzogna arruola anche parte della sinistra
di Giulietto Chiesa
Dobbiamo a internet la riscoperta dell'articolo del New York Times del 4 settembre 1967, intitolato così: "Il voto in Vietnam rincuora gli Stati Uniti". Il sommario che lo accompagnava era questo: "Affluenza alle urne dell'83%, nonostante il terrorismo dei vietcong". L'autore si chiamava Peter Grose e possiamo considerarlo l'antesignano del giornalismo di punta contemporaneo, embedded, delle Lucia Annunziata e Monica Maggioni che imperversano sui nostri schermi, raccontandoci la guerra dei vincitori.
Il voto dell'Iraq ha rincuorato Bush, Blair, Berlusconi, e ha messo in ginocchio, letteralmente, la sinistra italiana, la quale (salvo lodevoli e sparse eccezioni) ha creduto alla stessa favola del New York Times di Peter Grose. Favola che il New York Times ha ripetuto, pari pari, il 31 gennaio 2004, seguito a ruota da tutti i maggiori giornali del mondo occidentale, e da tutti i maggiori giornali italiani.
I quali hanno creduto alle cifre, fumosamente e contradditoriamente rese note dalla Commissione Elettorale Indipendente irachena. Si noti l'aggettivo "indipendente", excusatio non petita posta a suggello di elezioni che di indipendente non hanno avuto nulla.
Fassino, dalla tribuna del Congresso dei DS, tuona che otto milioni di iracheni sono andati a votare. Il dato è, più che falso, inesistente. Chi glielo ha detto? Nessuno. O forse ha fatto una media ponderata di quello che ha letto dai giornali della grande stampa "indipendente dalla verità". E ha aggiunto che "sono loro i veri resistenti". Come dire che il popolo iracheno è andato a votare in massa e, quindi, è contro la resistenza armata all'occupazione americana. Cioè il popolo iracheno sta con gli americani ed è contento della democrazia che loro gli hanno portato.
Così agli esultanti Bush, Blair, Berlusconi possiamo aggiungere l'esultante Piero Fassino.
Ora noi non sappiamo se finirà come in Vietnam (temo che finirà peggio), ma possiamo avanzare qualche preliminare osservazione. I dati sono tutti falsificati. Le elezioni irachene sono state tutt'altra cosa rispetto a ciò che ci hanno fatto vedere. Un buon terzo del paese sicuramente non ha votato. Lo si sapeva fin dall'inizio e queste elezioni farsa sono state organizzate da Washington proprio per isolare i sunniti, cioè per spaccare il paese.
La stessa Commissione Elettorale (lasciamo perdere l' "indipendente") ha comunque detto che ha votato il 57% degli "elettori iscritti". Quanti erano gli elettori iscritti? Il dato preciso non è mai stato fornito. Per la banale ragione che non ne esisteva uno. Il punto di riferimento erano gli "elenchi russi", cioè le tessere annonarie per il cibo che erano state distribuite nel programma "Oil for Food" (petrolio per cibo) ai tempi di Saddam. Ma quanti si sono iscritti al voto? Quelle tessere (e io le ho viste nei seggi di Nassirya) erano spesso illeggibili. Altre invece apparivano nuovissime. Da dove venivano? Insomma nulla ci è stato detto circa il tasso di iscrizione alle liste elettorali, per cui quel dato, l'unico ufficiale, non ci dice assolutamente nulla sul numero dei votanti.
Non si sono iscritti perché avevano paura dei terroristi? Sicuramente in parte è stato così. Ma questo conferma clamorosamente l'invalidità di queste elezioni. Di nuovo parla il testimone. A Nassirya e Bassora, maggioranza sciita schiacciante, il voto è avvenuto in un clima di stato d'assedio generalizzato. Il traffico automobilistico è stato bloccato per tre giorni. Ogni seggio era presidiato da decine di uomini armati - la nuova milizia irachena - con fucili e divise nuovi di zecca, cecchini sui tetti, blocchi stradali a distanza, gimkane di cemento armato etc. Le truppe straniere (a Nassirya italiani, portoghesi e rumeni, a Bassora gli inglesi) erano state poste a difesa delle stazioni di polizia). Di quale consenso si può parlare in queste condizioni?
Ma c'è un altro dato assai significativo: nei seggi aperti all'estero, dove i problemi di sicurezza non esistevano, solo il 25% degl'iracheni si sono iscritti alle liste. Eppure non c'era nessun pericolo!
Certo che c'erano le file ai seggi: al sud, nelle zone sciite, e al nord, nelle zone curde. Il resto chi l'ha visto? Dobbiamo fidarci della Commissione Elettorale, composta da persone selezionate da Allawi e dai consiglieri di Bremer? E nei seggi di Nassirya la gente c'era solo la mattina. Nel pomeriggio tutti i seggi erano deserti. E le urne trasparenti che ho visto (tredici seggi in tutto) erano piene solo per metà sebbene le schede elettorali, con 111 partiti, fossero grandi come sei fogli protocollo, e quasi sempre molto mal piegate. Noi abbiamo visto in tv le file ai seggi delle zone sciite, ma nient'altro, salvo pochi scorci - qualche secondo - dei seggi di Baghdad deserti. Ho chiesto più volte alla gente nei seggi se trovassero difficile votare, con tanti partiti sulla scheda, molti dei quali senza nemmeno un simbolo di riferimento. Tutti rispondevano che "era molto facile". E io pensavo che una scheda come quella avrebbe creato grossi problemi di comprensione perfino in Italia, dove l'esperienza elettorale è ormai secolare.
Ma questi sono dettagli tecnici secondari. Il più importante dei quali è che quegli iracheni sono andati a votare senza sapere chi erano i candidati. I partiti ammessi al voto erano stati resi noti in anticipo, ma le liste dei candidati erano rimaste segrete per motivi di sicurezza!
Il tutto senza osservatori internazionali (io ci sono arrivato privatamente, usando l'invito rivoltomi dal ministero degli esteri britannico, insieme a Emma Nicholson, anch'essa deputata europea. E abbiamo viaggiato a bordo di auto blindate, ciascuno accompagnato da otto guardie del corpo private, armate fino ai denti). Sulla pratica degli osservatori internazionali ci sarebbe da fare un intero discorso. Ma in qualche caso essi sono stati utili per difendere gli elettori dalla prepotenza dei poteri. In ogni caso la consuetudine internazionale prevede che osservatori esterni imparziali possano all'occorrenza controllare le cifre ufficiali e seguire il procedimento di voto. Ma l'Onu aveva deciso di non mandare nessuno. La stessa cosa hanno fatto l'Osce e l'Unione Europea: "per l'assenza delle condizioni minime di sicurezza" E' fallito anche il tentativo del governo canadese di costituire una missione speciale per il controllo elettorale in Irak. La riunione, tenutasi il 19 e 20 dicembre scorsi, a Ottawa, a porte chiuse, si era conclusa con un doppio fallimento: dei venti paesi invitati solo sette, tra cui Gran Bretagna e Albania, avevano partecipato. E la conclusione era stata sconsolante (per loro): impossibile mandare osservatori all'interno. In alternativa fu deciso di aprire un ufficio ad Amman, Giordania, in cui avrebbero lavorato "da sei a dodici analisti", per studiare i dati provenienti dall'interno dell'Irak.
La comunità internazionale, dunque, aveva proclamato, implicitamente, alla vigilia del voto, la sua palese invalidità. A parte tutto il resto di questa invereconda storia della propaganda moderna, adesso sapremo ancora meno: la raccolta delle schede, la loro custodia, la conta dei voti assegnati a partiti fantasma, misteriosi e ambigui, pompati (come il risorto partito comunista, che perfino Berlusconi potrebbe affiliare a Forza Italia e che sarà certamente usato per condizionare il potere dell'ayatollah Al Sistani), finanziati dall'esterno.
Ma tutto il movimento contro la guerra non se n'è accorto e ha atteso passivamente che arrivasse la tempesta propagandistica, il "trionfo della democrazia" americana, la legittimazione postuma dell'aggressione.
Di fronte a questo tsunami propagandistico - cosa che dovrebbe farci riflettere - perfino a sinistra, e perfino nella sinistra più a sinistra, abbiamo assistito a balbettii di scusa, a penose e fumose richieste di autocritiche. Siamo entrati (ci entrammo con la guerra del Kosovo) nell'era dei "sentimenti obbligatori": quando l'opinione di massa, già formata dai media, costringe tutti ad assentire, pena la squalifica, il cartellino rosso, l'esclusione.
Noi non ci stiamo. La guerra irachena rimane illegale come lo fu all'inizio e le menzogne che la prepararono rimangono menzogne. Nella conta dei voti bisogna mettere anche i centomila morti innocenti di questa guerra, che la Commissione Elettorale "indipendente" (insieme ai suoi esegeti occidentali) intende seppellire una seconda volta.
Infine un'ultima notazione, a futura memoria. Sarà utile tenere conto che i padroni dei media si accontentano di vincere ai punti, e a mani basse, vista l'inconsistenza nostra su questo terreno decisivo. Ma sono pronti a organizzare la caccia alle streghe e la caccia all'uomo, ove e quando dovessero temere una reazione popolare. Quanti di noi se ne rendono conto?
Giulietto Chiesa
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