[RSF] melo e vauro x giuliana

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LA LIBERTA’ DI GIULIANA

Pensavo di scrivere sulle elezioni in Iraq. Ero rimasto sconcertato dal coro unanime che si precipitava a legittimare le votazioni irachene, parlando di “vittoria della democrazia”. Dando fiato così alle trombe stonate del “solito”, sempre pronto a cogliere le contraddizioni degli altri.
Ma è arrivata, come un macigno nello stomaco, la notizia del rapimento di Giuliana Sgrena. A conferma, se ce ne fosse bisogno, di un quadro tutt’altro che pacificato. Nel quale, anzi, proprio l’informazione democratica – base della democrazia – è nel mirino. E in nome del quale – per giustificarne la legittimità – si cambiano anche le leggi, per impedire proprio l’informazione democratica.
“Viviamo in uno stato di insicurezza informativa”, dice Ignacio Ramonet, direttore di Le monde diplomatique. E giornaliste come Giuliana rischiano perché non ci si rassegni a questo stato di cose. Con coraggio, fanno emergere dalla densa nebbia i fatti , i volti e le storie delle vittime: le verità che i “democratici liberatori” pensano di poter seppellire sotto le macerie su cui tentano di importare la costruzione della loro “democrazia”.
Forse non è un caso che, come Florence Aubenas, anche Giuliana sia stata rapita nel momento in cui “scarpinava” – libera - per dare voce ai profughi di Falluja, per raccontare una delle pagine più buie di questa atroce guerra.

Preferisco cederle la parola, proponendo, per chi non li avesse letti, due brevi articoli di Giuliana che trattano di questi temi. Nel primo lei affronta – forse unica nel panorama informativo italiano!!! – anche il tema della modifica della legge sull’informazione per adattarla allo stato di guerra.

La diffusione delle sue parole si mescoli alle nostre, ai tanti pensieri ed azioni che da più parti si levano – come la colomba di Vauro – a tessere fili di speranza: che il misterioso flusso di energie vive riesca a liberare le due preziose testimoni.        
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il manifesto del 14/01/2005

Florence e gli altri

GIULIANA SGRENA,

Non andate in Iraq», ha detto Chirac ai giornalisti francesi. Gli ha fatto eco Fini da Roma. Le varie ambasciate, sotto pressione Usa, avevano già intimato ai giornalisti presenti a Baghdad prima dell'inizio dei bombardamenti, il 20 marzo 2003, di abbandonare il campo. L'intimazione non ha però avuto successo e la guerra è stata rappresentata, bene o male, sia da chi doveva subire il controllo del ministero dell'informazione iracheno che da chi, «embedded», era censurato dal Pentagono. L'ulteriore deterioramento della situazione irachena ha reso ancora più difficile fare informazione. I giornalisti sono ostaggio di tutti gli effetti perversi provocati dall'occupazione militare e dalla privatizzazione della guerra. L'ostilità degli iracheni verso l'occupazione si è ampliata fino a coinvolgere tutti gli stranieri: contractor, giornalisti o lavoratori umanitari. Non basta più essere francesi - per la posizione della Francia verso la guerra e l'occupazione - per avere un trattamento diverso. Del resto, quando si spaccia un intervento militare per «missione di pace» (come ha fatto il governo italiano), non si può pretendere che dall'altra parte si facciano distinzioni sottili. E purtroppo in questa spirale perversa Enzo Baldoni ha pagato di persona.

Ora anche l'esercito italiano ha «aperto» a corsi per i nostri aspiranti «embedded». Peggio: è arrivata alla camera, ed è già passata al senato, la revisione del codice penale militare che prevede l'applicazione della legge marziale nello «stato di pace» anche ai civili, giornalisti compresi, per «illecita raccolta, pubblicazione e diffusione di notizie militari». Naturalmente il riferimento immediato è alla «missione di pace» a Nassiriya.

L'informazione si è dunque militarizzata: a volte, come è successo a Falluja, è impossibile seguire quel che accade senza essere al seguito di un esercito. Ma la prospettiva resta esclusivamente militare, anche se qualche volta sfuggono immagini scioccanti come quella del marine che spara sul ferito disarmato dentro la moschea di Falluja.

Ribellarsi a questi schemi è rischioso, ma è un rischio che bisogna correre per fare informazione, per fare conoscere una realtà che altrimenti finirebbe solo nei bollettini di guerra o nei pamphlet di propaganda. Sempre di guerra.

Florance Aubenas ha sempre corso il rischio di informare: in Ruanda, Kosovo, Algeria, Afghanistan e Iraq. Anche per questo ci sentiamo al suo fianco.
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il manifesto del 26/11/2004

Duemila le vittime di Falluja
Secondo lo stesso governo iracheno. L'Onu: raddoppiati in Iraq i bambini malnutriti
GIULIANA SGRENA,

Questo mese di novembre sarà ricordato come uno dei più sanguinosi dell'occupazione. Dall'inizio del mese - non è ancora concluso - sono già 109 i marine uccisi - cifra superata solo lo scorso aprile con l'altro attacco a Falluja. Ma sono soprattutto gli iracheni a pagare un tributo altissimo: 2085 le persone uccise durante l'attacco, secondo i dati diffusi ieri dal ministro della sicurezza Qassim Daud, che non ha specificato quanti sono i civili. Il problema, secondo il ministro, resta l'identificazione, perché molte delle vittime non portavano documenti. Ma, secondo testimoni, alcuni cadaveri erano irriconoscibili perché carbonizzati da bombe che hanno fatto sospettare l'uso del napalm. Contemporaneamente al bilancio delle vittime di Falluja, da Oslo arrivano altri dati inquietanti. E' il risultato di uno studio realizzato dal ministero della sanità iracheno insieme al Fafo Institute for applied international studies norvegese e l'Undp, dal quale risulta che dall'inizio della guerra (marzo 2003) il numero dei bambini iracheni sotto i cinque anni che soffrono di malnutrizione acuta è raddoppiato: passando dal 4 al 7,7 per cento. Inoltre 400.000 bambini soffrono di diarrea cronica e deficit di proteine. Il Programma alimentare mondiale (Pam) fornisce alimenti per oltre 1,7 milioni di bambini. «Il Pam ha distribuito molto cibo, quindi anche se ci si può aspettare malnutrizione il livello accertato è difficile da spiegare», ha sottolineato Jon Pedersen del Fafo. E c'è da chiedersi che cosa sarebbe successo se non ci fosse stata l'agenzia dell'Onu a supplire alle privazioni accentuate dall'occupazione (e che erano già gravi per l'embargo). Per quanto riguarda gli adulti, nel mese di settembre, riferisce il Pam, erano 6,5 milioni gli iracheni totalmente dipendenti dalla distribuzione delle razioni di cibo. Ad aggravare la situazione sanitaria è la mancanza di elettricità che non permette nemmeno di bollire l'acqua da bere. Le infrastrutture sono disastrate, compreso il sistema fognario. Si calcola che il 60 per cento dei residenti nelle zone rurali e il 20 per cento in quelle urbane non dispongano di acqua potabile.

Queste sono le condizioni di vita che alimentano quotidianamente la rabbia della popolazione che si oppone all'occupazione. Le forze di occupazione sono però troppo impegnate nel fare la guerra, che non è mai finita, per spianare il terreno alle elezioni, senza rendersi conto che questa «pacificazione» non garantisce la sicurezza (come si può verificare ogni giorno) e tanto meno il consenso al processo politico sostenuto dal governo di Allawi al servizio degli americani. Che ieri hanno rispettato la tradizione, anche nelle basi in Iraq, mangiando il tacchino del Giorno del ringraziamento al quale è stata dedicata - con il nome di Plymouth Rocks - anche la nuova offensiva in corso a sud di Baghdad. E che coinvolge, oltre a 3.000 marine e un migliaio di uomini della Guardia nazionale irachena, anche centinaia di Black watch britannici che erano giunti da Bassora per dare man forte agli Usa in occasione dell'attacco a Falluja. Ieri sono stati i Black watch a dare l'assalto alle ville che ospitavano, a sud della capitale sull'Eufrate, la nomenklatura dei tempi di Saddam nei periodi riposo. L'obiettivo è quello di rintracciare fedeli al vecchio regime e armi. I soldati hanno arrestato 80 iracheni e requisito attrezzature sospettate di poter servire a fabbricare ordigni. Nulla a che vedere con l'arsenale che gli Usa dicono di aver trovato a Falluja: «c'erano armi per sostenere la resistenza in tutto l'Iraq». I soldati dicono anche di aver trovato un laboratorio e istruzioni su come fare fabbricare armi chimiche.

Nel «triangolo della morte» l'attacco non è massiccio come a Falluja. «Nei prossimi giorni, faremo numerosi attacchi molto concentrati ... caratterizzati da precisione, pazienza e perseveranza, le chiavi per contrastare con successo una insurrezione», ha detto ieri il capitano David Nevers dei marines illustrando i raid «chirurgici». Ieri numerose esplosioni si sono verificate a Baghdad, anche dalla zona verde si sono levate nubi di fumo. Vicino alla zona verde è stato ucciso ieri un funzionario Usa che lavorava con il ministero dell'educazione. L'azione è stata rivendicata dal gruppo di Zarqawi.





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