Facce da culo
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Sent: Tuesday, February 01, 2005 9:43 AM
Subject: Facce da culo
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Notiziario del Campo Antimperialista .... 31 GENNAIO 2005
itacampo@???
MANIFESTIAMO A ROMA IL 19 MARZO! IL CAMPO ANTIMPERIALISTA ACCOGLIE LA PROPOSTA FATTA DALLO I.A.C. STATUNITENSE E DALLA RETE EUROPEA DEI COMITATI IRAQ LIBERO A MANIFESTARE SABATO 19 MARZO NEL SECONDO ANNIVERSARIO DELL'AGGRESSIONE IMPERIALISTA ALL'IRAQ. FINIAMO LA GUERRA! CON IL POPOLO IRACHENO CHE RESISTE! FUORI LE TRUPPE DALL'IRAQ! (APPELLO SU:
http://www.iraqlibero.at)
MOSCA, 29 gennaio, manifestazione di appoggio alla resistenza irachena:
http://www.antiimperialista.org/view.shtml?category=9&id=1107133332
Norvegia, 29 gennaio, manifestazioni in varie citta' contro le elezioni farsa in Iraq:
http://www.antiimperialista.org/view.shtml?category=9&id=1107132758
Giordania: il governo reprime il movimento antisionista:
http://www.antiimperialista.org/view.shtml?category=9&id=1107132608
Questo Notiziario contiene:
1. ELEZIONI IN IRAQ: LA GATTA FRETTOLOSA FA I FIGLI CIECHI
2. NOTIZIE DA PORTO ALEGRE
3. GIUSTA SENTENZA
4. FACCE DA CULO
1. ELEZIONI IN IRAQ: LA GATTA FRETTOLOSA FA I FIGLI CIECHI
Viviamo in un mondo alla rovescia, dove la menzogna viene spacciata per verita', mentre affermare il vero, quando non e' reato e' certamente un tabu'. Prima hanno tentato di darci a bere che la guerra genocida all'Iraq era scatenata perche' Saddam avrebbe posseduto "armi di distruzione di massa". Incapaci di provarlo nonostante avessero messo l'Iraq sotto sopra, gli angloamericani si sono inventati una seconda cazzata: i legami tra Saddam e Osama Bin Laden. Nemmeno quest'accusa gli aggressori sono stati in grado di dimostrare. Alla fine, mentre il sangue scorreva a fiumi, hanno infiocchettato l'alibi: donare agli iracheni, manu militari, l'agognata democrazia. Sappiamo che e' uno schifo, ma la verita' sta nella canna del fucile, che quando spara da la linea agli addomesticati mezzi di comunicazione e ai pagliacci-corrispondenti dall'Iraq, che ubbidiscono a Bush come i giornalisti tedeschi a Goebbels.
Da mesi si sta coventrizzando l'opinione pubblica modiale, con un bombardamento a tappeto tedente a presentare le elezioni del 30 gennaio come una specie di Giudizio universale (contro il quale si sarebbe schierata solo la confraternita di al-Zarkawi -che secondo Lor signori sarebbe composta da gruppi sparuti di fanatici che pero' riuscirebbero a compiere il miracolo portare un centinaio di attacchi quotidiani e a tenere in scacco gli occupanti in una superfiche vasta il doppio della Val Padana (!?).
Ma mentre si evocava il Giudizio universale si prefabbricava ovviamante anche il risultato -si sa che gli americani sono perfezionisti, che non lasciano nulla al caso.
A seggi appena chiusi l'imperatore, anticipando lo stesso Allawi, ha strombazzato la propria vittoria sparando il dato: "ha votato il 72% degli aventi diritto". Guarda caso questa era la cifra pronosticata dallo stesso Bush qualche giorno avanti. Ovviamente tutti i media, anzitutto quelli italiani, si sono affrettati ad omaggiare l'imperatore, confermando la sua versione ed esultando per la prova di "maturita' del popolo iracheno, che ha preso in mano il suo futuro".
Invece non esistono prove che abbia votato il 72%.
Nel nostro piccolo anche noi abbiamo i nostri corrispondenti di guerra. Non senza difficolta' abbiamo infatti raggiunto alcuni amici iracheni. Uno abita a Baghdad est, nella popolosa zona di Khalufa Street. Ci ha detto che solo quattro gatti, parenti stretti di funzionari collaborazionisti, sono andati al seggio di quartiere, e che quindi la stragrande maggioranza (non solo i sunniti) ha disertato le urne. Un altro fratello, residente nella centralissima zona cristiana di Mosul (al Mawsil), ha affermato che al massimo ha votato non piu' del 10-15% dei residenti in zona, in grande prevalenza di famiglie benestanti che si stanno arrichendo coi traffici con gli occupanti. Ancora piu' significativo quanto detto dal nostro contatto di al Kut, nevralgica citta' della provincia centromeridionale di Wasit (a maggioranza sciita). Nel tentativo di portare al voto gli abitanti delle zone piu' povere sono stati offerti 50 dollari a testa (promessi dai notabili locali vicini ad Allawi e ad al Hakim). Comunque, al massimo, avrebbe "votato" il 30-40% delle persone.
Certo sono solo stime, ma esse non valgono meno delle cifre fornite dagli occupanti, che sono letteralmente inventate, non si basano su alcun dato attendibile, in quanto i seggi non sono informatizzati, ne esiste quindi la possibilita' che l'Ufficio elettorale centrale (in mano agli americani e in piena zona verde) abbia potuto fornire in tempo reale i dati sull'affluenza. E nemmeno gli zelanti giornalisti occidentali sono riusciti a portare prove tangibili del contrario. Questi pagliacci, rigorosamente scortati da mercenari (abilmente mai inquadrati dalle telecamere), sono usciti dai loro hotel-rifugi per andare a riprendere il grande evento. E cosa hanno mostrato? Solo le immagini di quattro seggi della zona verde o a ridosso di essa, esattamente i seggi dal 6001 al 6005, e nonostante i loro sforzi abbiamo visto solo sparuti gruppi di cittadini dal volto emaciato, certamente chiamati a raccolta su comando: venghino! venghino signori! ci sono le TV di Sua Maesta'!
Ma noi contestiamo che gli iracheni abbiano votato liberamente.
Come si puo' farlo con lo stato d'emergenza e la legge marziale? Come si puo' farlo sotto la deterrenza armata delle truppe occupanti e dei loro lacche'? Come si puo' votare liberamente quando si vive nelle zone controllate dal governo Allawi e il non votare sarebbe stata una condanna alla fame se non alla morte? Come si puo' votare liberamente quando il non farlo comporta essere considerati amici dei terroristi? E come si possono considerare regolari delle elezioni in cui gli elettori non conoscono i candidati ma solo i loro numeri di riconoscimento? Di che democrazia parlano le facce da culo dei pennivendoli italiani quando ogni movimento politico che contesti l'occupazione e' illegale? Quando distribuire un volantino antiamericano costa andare in galera o sparire sequestrati dagli squadroni della morte di Negroponte? Come si puo' parlare di elezioni regolari quando non esiste un registro nazionale degli aventi diritto al voto (essi sono stati calcolati, pensate un po', sulle liste di coloro che ai tempi di Saddam, usufruivano dei buoni alimentari a causa dell'embargo)? Quando non è stato possibile nemmeno stabilire quanti dei settemila seggi dichiarati hanno in effetti aperto i battenti? Quando gli osservatori internazionali sono in gran parte stipendiati dalla fondazione di Soros e quelli facenti capo all'ONU sono al massimo una trentina?
La riposta l'ha data l'esimio Presidente della Camera, disonorevole Casini, il quale ha bellamente affermato che ... "in queste condizioni non e' il caso di stare a sottilizzare sulla correttezza formale di questo storico evento elettorale".
A questi servi e al loro imperatore ricordiamo che la gatta frettolosa fa i figli ciechi: il tempo delle smentite alle loro panzane verra' presto, cosi come dovranno rimangiarsi la loro insopportabile ostentata tracotanza. Queste facce di bronzo che hanno attaccato l'Iraq mettendosi sotto i piedi la loro stessa legalita' internazionale, che hanno umiliato e massacrato il popolo iracheno, che hanno raso al suolo Falluja; questi criminali di guerra capiscono solo il linguaggio delle armi. Avranno dal popolo iracheno, a tempo debito, una risposta adeguata. Hanno appiccato l'incendio e ora si illudono di averlo spento con la loro farsa elettorale. Si sbagliano di grosso.
Certo non sottovalutiamo le conseguenze di queste elezioni. La Resistenza certo non le ha vinte, poiché non e' riuscita ad impedirle dappertutto. Come in Palestina basta poco per far saltare l'inciucio tra sionisti e collaborazionisti, in Iraq non sara' diverso. Finita la messa in scena la parola ripassa alla lotta e la Resistenza, che non ha fino ad oggi subito alcun colpo serio (continua anzi a portarli al nemico) sapra' riflettere sui suoi errori e ricalibrare la sua iniziativa, che deve puntare si a destabilizzare il regime di occupazione, ma puntare decisamente a portare dalla sua parte il grosso della popolazione di fede sciita, che non tardera' a presentare il conto agli imperialisti liberandosi anzitutto, come gia' fece ai temi dell'occupazione coloniale inglese, dal proprio fatalistico quietismo. La partita decisiva, in Iraq, deve ancora cominciare.
2. NOTIZIE DA PORTO ALEGRE
Porto Alegre, 27 gennaio
Il SFM si svolge presso un'area industriale dismessa, vicino al mare. Ci sono diversi capannoni, ciascuno dei quali ospita un settore tematico. Il punto di riferimento per tutti e' il Gasometro, cioe' una vecchia ciminiera circondata da un po' di verde presso la quale c'e' un enorme edificio di 6 piani che ospita i vari servizi per i "socialforumisti" (internet point, sala stampa, bar, cinema, laboratori etc.). Nell'area intorno alla ciminiera e' stato allestito un vero e proprio bazar: banchetti con materiale politico, ma soprattutto con merchandising politico e oggetti di artigianato. Non mancano gli ambulanti improvvisati, che attrezzati di vecchie ghiacciaie vendono bibite e gelati. Porto Alegre non e' un centro turistico e la componente piu' povera della popolazione approfitta dell'occasione per sbarcare il lunario un po' meno peggio del solito. Nelle vicinanze della ciminiera si estende l'accampamento della gioventu': le tende dei campeggiatori, le bancarelle di cibo, bibite e artigianato, pochi i banchetti propriamente politici e tanta gioventu'. Si respira aria di Woodstock. I giochi si sono ufficialmente aperti ieri, 26 gennaio, con una manifestazione pomeridiana nel centro della
citta', manifestazione cui hanno partecipato non piu' di 20.000 persone. La manifestazione si e' caratterizzata per la mancanza di un tema dominante, al di la' dello slogan "Un altro mondo e' possibile". C'era di tutto e di piu' e non mancavano striscioni inneggianti all'Intifada e alla resistenza dei popoli oppressi. Nessun riferimento specifico alla Resistenza Irachena, pero' il nostro volantino di proposta della manifestazione del 30 gennaio in sostegno alla Resistenzae' stato accolto bene e le persone, sia singole che organizzate, parlavano con noi volentieri. Di tutto di piu' veramente, perfino uno spezzone di manifestanti della comunita' ebraica in Brasile tutti vestiti di bianco e di azzurro, tutti muniti di bandierina israelo-sionista e, in apertura dello spezzone, uno striscione che diceva "Israele per la pace, la Palestina e' ostaggio del proprio terrorismo". In Italia, e in Europa, una simile provocazione non sarebbe stata consentita, ma qui non e' stata nemmeno recepita come provocazione. E' normale: di tutto, di piu'.
Porto Alegre, 28 gennaio
Questa mattina abbiamo partecipato ad un meeting sull'Iraq organizzato da Stop the War (GB). In perfetta armonia con il "di tutto, di piu'" gli interventi sono stati del genere piu' vario e anche strampalato, dall"inneggiamento alla non violenza totale fino al sostegno alla resistenza irachena. Immancabile anche qui il collaborazionista Partito Comunista Iracheno e anche qui dicono che si e' trattato di un errore. Noi ovviamente siamo intervenuti a sostegno della Resistenza e per propagandarela manifestazione antimperialista che qui svolgeremo il 30. C"erano anche compagni italiani, forse alcuni di loro verranno al corteo del 30 gennaio. Alcuni di loro sono convintissimi della necessita' di una grande manifestazione a Roma il 19 marzo, per cui lavoreranno per questo
e pare non parteciperanno alla babele di Bruxelles cui aderira' invece buona parte della cupola del SFE.
Porto Alegre, 29 gennaio
Ieri pomeriggio abbiamo partecipato ad una manifestazione a sostegno della Palestina, indetta da comitati locali arabo-brasiliani con l'appoggio formale delPT. Come al solito non c'era una parola d'ordine chiara che aprisse il corteo e gli oratori principali erano il rappresentante dell'ANP in Brasile e la nostra amica Leila Khaled. Gli slogan predominanti erano comunque pro Intifada, molti anche
i ringraziamenti ad Arafat. I partecipanti al corteo erano circa 2.000, ma pochi erano gli spezzoni ben organizzati e politicamente identificabili. La stessa testa del corteo era alquanto mutevole, senza che cio' costituisse in alcun modo un problema. Il camion che avrebbe dovuto stare davanti in realta' si trovava al centro del corteo. Fortunatamente il camion e l'impianto di amplificazione servivano per gridare slogan e non per sparare musica a tutto volume. A un certo punto un gruppetto di manifestanti che veniva in senso contrario a quello del corteo ha fatto dietro front ed e' stato in testa fino alla fine del corteo. Immaginatevi una cosa del genere
in Italia!!! Li' come se niente fosse. La cosa piu' importante e' che c'erano anche alcune bandiere irachene e che la nostra iniziativa, in mezzo a tutta quella confusione, e' stata ben recepita.
Porto Alegre, 30 gennaio
La Resistenza Irachena ha dunque fatto sentire la sua voce a Porto Alegre.
Oggi si svolta la manifestazione a sostegno della Resistenza Irachena, organizzata dal Comitato
Iraq Libero, dalla Alleanza Patriottica Irachena, dal Campo Antimperialista, e da diverse altre forze brasiliane (anzitutto sindacali) e non. Il corteo, cui hanno partecipato circa cinquecento persone, e' partito alle 11 dal Gasômetro in direzione dell'Anfiteatro. Lo striscione di apertura recitava -Contro l'occupazione con la Resistenza Irachena-; a seguire striscioni di contenuto analogo, striscioni inneggianti alla Resistenza Palestinese, bandiere irachene, palestinesi e del Paese Basco, striscioni e bandiere delle forze partecipanti. Lungo il percorso i manifestanti hanno tenuto un atteggiamento ordinato e militante; niente musica sparata a tutto volume ma comizi volanti, slogans e canti appropriati. A un certo punto il corteo ha incrociato una manifestazione dei Sem Terra e un'altra di alcune organizzazioni indigene: nessun problema, saluti e scambi di bandiere. La manifestazione si e' conclusa nei pressi della Tenda Palestinese allestita dalla Confederazione Arabo-Palestinese del Brasile, con i seguenti interventi: Jawat Al Kalisi,
Partito Comunista Rivoluzionario di Argentina, Movimento Socialista dei Lavoratori (MST) Argentina, Partito Socialista dei Lavoratori Unificato (PSTU) Brasile, John Catalinotto dello IAC USA, Guerry Hodderson del Freedom Socialist Party USA, Partito Comunista Rivoluzionario (PCR) Brasile, Sammi Alaa dell'Alleanza Patriótica Irachena, un compagno del Campo Antiimperialista. Inoltre sono
intervenuti anche singoli compagni non organizzati. Tutti gli interventi hanno espresso un sostegno convinto ed inequivocabile alla Resistenza del popolo Iracheno, senza I soliti capziosi distingui sulla sua composizione e sui suoi metodi di lotta; in molti poi hanno sottolineato che il miglior sostegno alla Resistenza consiste nel lottare contro l'oppressione nei rispettivi paesi, anche se questa oppressione si manifesta in forme diverse dalla vera e propria occupazione militare.
Siamo dunque soddisfatti del nostro lavoro, anche se si e' svolto solo a latere di un forum mondiale di basso profilo, che non potra' certo rilanciare davvero il movimento e nel quale il solo momento eclatante e' stato la presenza di Chavez, che almeno ha fatto un discorso antimperialista ricordando che se si vuole sul serio cambiare il mondo la rivoluzione popolare deve creare appunto un potere rivoluzionario. Altrimenti si fa solo il solletico alle oligarchie multinazionali.
3. GIUSTA SENTENZA
Di Danilo Zolo (Giurista e docente di Diritto)
La sentenza del giudice Clementina Forleo, che ha scarcerato i tre militanti islamici accusati di terrorismo, è il segno che lo stato di diritto «resiste» ancora in Italia. La rovente polemica scatenata contro di lei dal governo e dalle massime autorità dello stato è la prova che l'indipendenza della magistratura italiana non è stata ancora cancellata. «Resiste» anche alla ideologia bellicista di un governo servile che sacrifica le vite dei militari italiani perché questo giova ai profitti delle «nostre imprese». Lo ha dichiarato con volgare impudenza il presidente del consiglio per giustificare la morte di Simone Cola. La polemica che si è abbattuta su Clementina Forleo non è che una conferma della sua lucidità, oltre che del suo coraggio civile e morale. Su un punto, in particolare, la sentenza merita un commento positivo. Gli imputati sono stati assolti non solo per una serie di ragioni fattuali, ma anche per una precisa scelta interpretativa delle norme internazionali. Nella sentenza si sostiene anzitutto che è necessario tenere distinta la guerriglia armata dal terrorismo. E in secondo luogo si sostiene che, nel giudicare penalmente un atto di reazione violenta contro una forza occupante, quell'atto deve essere valutato nel contesto dell'uso generale di «strumenti ad altissima potenzalità offensiva».
Sul primo punto occorre anzitutto dire che la stessa nozione di terrorismo è oggi concettualmente indeterminata. Nonostante che siano almeno dodici le convenzioni che hanno tentano di dettare norme sull'argomento, manca ancora oggi una definizione condivisa. Non è un caso che commissari incaricati da Kofi Annan di stendere un progetto di riforma delle Nazioni unite, abbiano sostenuto l'urgenza di una definizione rigorosa che regoli legalmente la lotta contro il global terrorism.
Tutto ciò che oggi emerge dalla congerie dei documenti internazionali è che si è di fronte a un atto terroristico quando l'uso della violenza colpisce i civili in modo indiscriminato e ha come obiettivo la diffusione del panico fra la popolazione. E' chiaro che questa nozione non tiene conto della condizione in cui si trovano popoli oppressi dalla violenza di forze occupanti, come nei casi palestinese e iracheno. Condannare penalmente come terrorista un militante di Hamas o un membro della guerriglia irachena - e accogliere Ariel Sharon o Iyad Allawi come rispettabili capi di Stato - significa davvero «mettere sullo stesso piano vittime e carnefici», come ha sostenuto in senso opposto il nostro ministro degli esteri. Dissociarsi politicamente dalla logica nichilista del terrorista suicida non può certo comportare la negazione del diritto di un popolo alla autodeterminazione e alla rivendicazione dei suoi diritti collettivi.
Sul secondo punto i paradossi del diritto internazionale sono ancora più gravi. Alla luce delle norme esistenti «terrorista» è soltanto il membro di una organizzazione «privata», che non si identifichi con l'apparato militare di uno stato. Ne consegue che le stragi di civili innocenti compiute nel corso di aggressioni militari, come lo è stata la guerra degli Stati uniti contro l'Iraq, o nel corso di occupazioni di un territorio, come è ancora il caso dell'Iraq (e della Palestina), non sono affatto «terroristiche». Sono comportamenti militari del tutto legittimi, poiché lo scempio di vite umane non è che un «effetto collaterale» di una guerra che si autolegittima grazie al soverchiante potere politico e militare di chi la conduce. Le Nazioni unite sono sempre pronte a concedere, ex post, la loro legittimazione formale. Al più si potrà parlare di «crimini contro l'umanità» che nessuna assise penale sarà in grado di accertare e di sanzionare.
Insomma l'allusione agli «strumenti ad altissima potenzalità offensiva», presente nella sentenza del giudice Forleo, solleva un problema delicatissimo. Dal punto di vista delle sue conseguenze la guerra moderna, condotta con strumenti di distruzione di massa, si distingue sempre meno dal terrorismo internazionale: stiamo attenti, perché se in Occidente qualcuno parla ancora di «guerra giusta», c'è il rischio che altri possano arrivare a parlare di «terrorismo giusto».
da: Il manifesto del 26 gennaio
4. FACCE DA CULO
Un passaggio dal discorso del Presidente del Senato Pera all'Assemblea ONU
24 gennaio 2005.
Abbiamo il dovere di insegnare, diffondere, difendere, promuovere I princìpi di libertà, tolleranza, rispetto, solidarietà, che sono il miglior antidoto contro ogni sorta di discriminazione fra i diritti delle persone e delle genti. Abbiamo il dovere di combattere per e contro. Per quelle regole e ideali di libertà e di democrazia sui quali si poggiano l'Assemblea e la Carta delle Nazioni Unite. E contro coloro che vi si oppongono. Infine, abbiamo il dovere di ammettere che l'antisemitismo è ancora fra noi. Esso si manifesta sotto nuove forme sottili e insidiose, quali la distinzione fra Israele e lo Stato ebraico, fra Israele e i suoi governi, fra Sionismo e Semitismo. Oppure rispunta quando la lotta di Israele per la sua esistenza è considerata "terrorismo di Stato".
In pratica e' lo stesso discorso del macellaio Sharon: e' terrorisa ogni palestinese che difenda la sua terra e il suo popolo, ed e' antisemita chiunque non riconosca a Israele il diritto di sterminare i palestinesi che si ribellano.
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