[Lecce-sf] Fw: [antiamericanisti] "il nocciolo"

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Szerző: Rosario Gallipoli
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Subject: [antiamericanisti] "il nocciolo"



martedì 25 gennaio 2005 (16h27)
:
LA GUERRA COME AFFARE


di R. A. Rivas





Cos¹è l¹affare della guerra? E per chi si tratta davvero di un affare?

La risposta più scontata è che ³la guerra è l¹affare del complesso militar
industriale dei paesi sviluppati². Una risposta corretta ma troppo
semplicista, inesatta perché incompleta. In termini descrittivi e realistici
si potrebbe invece dire che, la guerra è l¹affare di quanti sanno trarre
redditività economica dall¹uccidere e mutilare, fisicamente,
psicologicamente e spiritualmente.

In questo senso, ad esempio, penso possa essere utile ad ognuno di noi
chiedersi come abbiamo vissuto davanti al video i recentissimi fatti di
Falluja? Forse, azzardo, in modo distratto, perché bisogna pur continuare a
vivere decentemente? Solo che, ad adocchiare la stampa internazionale (fatta
salva la maggior parte di quella italiana), ci si accorge che osservatori,
corrispondenti e testimoni sul territorio l¹hanno concordemente definito
come un genocidio militare di caratteristiche inedite.

Nel novembre 2004, ad esempio, le agenzie russe Interfax e RIA-Novosti,
hanno diffuso uno studio d¹esperti militari secondo i quali i bombardamenti
massicci realizzati dall¹aviazione statunitense a Falluja hanno superato,
per devastazione e distruzione, qualsiasi altro bombardamento della storia
moderna, tanto da uccidere persino una parte degli stessi soldati USA
posizionati nelle vie e labirinti della città.

Falluja, infatti, fino il giorno prima una città di 300.000 abitanti, è
stata totalmente distrutta, letteralmente demolita da missili, artiglieria
terrestre e "bombe intelligenti". Distrutta la sua infrastruttura elettrica,
il suo sistema d¹acqua potabile, le sue vie di comunicazione terrestre. Non
c¹è più cibo, l¹aria è stata contaminata dagli effetti dei bombardamenti e
dei cadaveri putrefatti ed i sopravvissuti sono stati costretti a restare
chiusi, impilati. Anche i pochi corrispondenti occidentali che si trovavano
nell¹area hanno raccontato che la maggior parte dei feriti è morta, tirata e
dissanguata sulle strade, per mancanza di cure mediche. Che, nelle poche
strutture ospedaliere rimaste in piedi, bambini, donne e anziani vittime dei
bombardamenti sono morti per le infezioni dovute alla mancanza
d¹antibiotici. Hanno descritto bande di cani che si mangiavano i cadaveri
abbandonati per strada... Ovvero, tutti loro dicono che a Falluja è avvenuto
un massacro annunciato, una strage sproporzionata, uno sterminio militare.
Che è stata violata ogni regola, norma o principio umano. Che è stato molto
peggio di una qualsiasi strage dell¹epoca delle caverne, perché l¹autore del
genocidio disponeva di una schiacciante superiorità tecnologica, di un
sofisticato sistema medico per curare i propri feriti e di una struttura
logistica e alimentare che lo rendevano quasi invulnerabile. La Croce Rossa
Internazionale ed altre organizzazioni hanno denunciato la crisi umanitaria
e gli incontrollabili focolai d¹epidemie e raccontato di gente che ha
iniziato mangiando radici e ha finito divorando i propri animali
domestici... Si potrà anche osservarla distrattamente, ma questo è la
guerra, non le fotografie di bei militari in divisa che osservano la
passeggiata di qualche autorità di governo in visita lampo, non le mappe del
³teatro operativo² alla Vespa, non gli aerei dell¹ultima generazione in
bella mostra.

Comunque, non è ozioso ricordarlo, tutto ciò malgrado, sul ³New York Times²
e il ³Washington Post², soldati ed ufficiali USA hanno riconosciuto che non
sono riusciti a finirla con "gli insorti", ripiegatisi e atomizzatisi invece
in piccoli gruppi che ³continuano a combattere come demoni". E, sempre il
quotidiano newyorchese, si chiede in un editoriale della fine novembre 2004:
³Che cosa può ancora fare Bush? Trasformare il resto delle città irachene in
altrettante Falluja?² ³Fino quando il Pentagono potrà continuare a
nascondere i morti e mutilati alla società statunitense?² Quanto
aspetteranno i media e l¹establishment contrario a Bush per ritornare sulla
³sindrome del Vietnam²? ³Quanto tempo dovrà passare ancora prima che
Francia, Russia, Cina comincino a chiedere sul serio che Bush lasci l¹Iraq?²
³E quanti altri marines ed iracheni dovranno ancora morire prima che la
sinistra e le organizzazioni sociali comincino a bruciare nordamericane in
tutto le città del mondo per esigere tale ritiro?² Domande e preoccupazioni
assai diverse dalle asfittiche preoccupazioni dei progressisti italiani, in
genere classificabili sotto la voce ³non disturbare il/i manovratore/i².
Dicono si tratti di politica. Ma torniamo a noi.

Gli attori che, a livello internazionale, sanno trarre redditività dal
conflitto bellico, sono molteplici. Nel gruppo possono segnalarsi aziende
della più diversa natura. Alcune, tipo Lockheed Martin, Textron y Northrup
Grumman, si dedicano agli armamenti d¹alta tecnologia. Altre, come la
britannica Sandline International o la sudafricana Executive Outcomes - oggi
inattive dopo aver fatto scuola - si dedicano sia alla vendita di ³servizi
militari² (consulenza e formazione), sia all¹affitto di personale
paramilitare (e cioè, basicamente, di mercenari). Tramite l¹Iraq e
l¹Afghanistan, i gruppi più distaccati di questo comparto, tipo Blackwater,
la L3 (che ha acquistato la notissima MPRI) e la CSC (che ha acquistato la
non meno popolare Dyncorp), sono arrivati ad acquisire una macabra
rilevanza. Ma anche altre società di natura parassitaria hanno fatto dello
spargimento di sangue un modus vivendi. Ad esempio, tra le aziende che più
sorridono davanti all¹aumento dei morti ammazzati, si trovano quelle
specializzate nel ³fare lobby legislativo per gli interessi
politico-militari². E neppure i mass media sono stranei a questa dinamica.
Anche perché, dopotutto, è indubbio che le dichiarazioni di guerra innalzino
più gli indici d¹ascolto degli accordi di pace. Come a Falluja, la grande
stampa internazionale si limita ormai a presentare gli aneddoti, non le
notizie, usando l¹informazione proveniente dai portavoce militari,
operazione utile in questo caso a nascondere sia il massacro che i cadaveri
dei soldati statunitensi, in piena sintonia con il Pentagono (fatteci caso:
sembra che muoiano solo poliziotti iracheni). Tutti quanti, la lista non è
esaustiva, fanno parte del gruppo di ³quelli che danno un senso all¹affare
della guerra².

³Le guerre si combattono per le risorse, in questo risiede il nocciolo di
questo affare², ha scritto recentemente lo studioso statunitense Michael T.
Klare su ³Le Monde Diplomatique². Affermazione indubbiamente vera, le guerre
hanno sempre seguito questa logica.

Extraufficialmente si sa che la maggiore compagnia diamantifera del mondo,
la de Beers, finanzia attraverso oscuri collegamenti una serie di movimenti
d¹insorti africani. Finanzia, ad esempio, il Revolutionary United Front
(RUF) della Sierra Leona, o l¹Unione Nazionale per l¹Indipendenza Totale
dell¹Angola (UNITA). L¹accordo tra le parti si basa su semplici principi
commerciali: poiché il RUF o l¹UNITA controllano le regioni e le miniere di
diamanti, la de Beers paga al nuovo proprietario del territorio una
commissione per ogni chilo di minerale estratto. In seguito, il minerale
viene tagliato a Mosca, Anversa o Israele, prima di essere introdotto sul
mercato internazionale, soprattutto sulle piazze di Londra e Amsterdam.

Lo stesso accade pure nell¹ex Zaire, ma se in questo caso non si tratta
principalmente dei diamanti ed i protagonisti sono altri, visti assai meglio
da tutti noi. Noi si, perché in questo caso, pur se sommerse nel mercato
della telefonia mobile, simbolo della nostra modernità, alcuni gruppi tipo
Nokia, Ericsson e LG (nonché le altre aziende del settore, o quelle che
fabbricano play-station o aerei), hanno trovato il tempo per fare una
scommessa, ognuna la propria naturalmente, sulle diverse fazioni che si
combattono nella Repubblica Democratica del Congo per il controllo del
Coltan (minerale di tantalite), un minerale tanto scarso e necessario nel
mondo moderno che, ogniqualvolta scarseggia sul mercato internazionale,
aumentano i combattimenti in questa zona, per il resto tra le più
dimenticate del pianeta.

Gli esempi mi servono per affermare che, chi crede che la guerra sia un
affare esclusivo del complesso militar industriale, sbaglia di grosso.
Ovvero, che fabbricanti di articoli militari, fornitori di personale
paramilitare, organizzatori di lobbies, mass media, gioiellieri e fornitori
di telefoni cellulari hanno trovato, tutti, direttamente o indirettamente,
delle ottime ragioni per permettere e/o propiziare la realizzazione di
stragi nauseanti. Questo e non altro è l¹affare della guerra. Un affare
grande, tondo, con molte facce. Le ³nuove guerre², e cioè le guerre di oggi,
sono il risultato di una combinazione tra le violazioni sistematiche dei
diritti umani, la scomparsa del confine tra il civile ed il militare e
l¹ingresso in forza del crimine organizzato. Come accade per il Coltan,
nemmeno i diamanti, l¹acqua ed il petrolio sono lontani da questa realtà del
mondo contemporaneo.

L¹80% dell¹energia globale deriva dagli idrocarburi. E¹ un¹ottima ragione -
pur se non sufficiente, bisogna aggiungerci gli elementi propri della
concezione imperiale statunitense - per spiegare il perché delle guerre in
Afghanistan (gas) ed Iraq (petrolio). La democrazia c¹entra assai poco e,
come nei casi precedenti, la logica è semplice e brutale: se scarseggiano
gli idrocarburi, bisogna procurarseli a qualsiasi prezzo, e cioè,
letteralmente, a sangue e fuoco, essendo ormai superati i bei tempi in cui
gli indigeni consegnavano le loro terre in cambio di una medaglia, di un
cappello a bombetta, di uno specchio o di una bottiglia d¹acquavite a buon
mercato. Per lo stesso motivo risulta così esplosiva la situazione nel
Caucaso (Azerbaijan, Georgia e Armenia) per ora ancora affidato al
proconsole Putin. Perciò da Washington si destabilizzano con diversi
pretesti, il Venezuela, il Messico, la Nigeria, l¹Irán, l¹Indonesia, la
Palestina. Perché per una potenza come gli Stati Uniti, alla quale rimangono
riserve petrolifere solo per 10 anni, l¹energia è tutto. Senza la guerra non
ci sono né petrolio né affari. E senza questi due, è scontato, non c¹è
neppure la ³superpotenza unica².

Non è una novità per nessuno il coinvolgimento diretto della famiglia Bush
negli affari legati al petrolio. Più interessante ricordare invece qualcosa
sulla biografia dell¹Arbusto Company - poi ribattezzata Bush Exploration-
ovvero la società diretta dall¹attuale presidente statunitense. Ricordare,
ad esempio, che la società andava assai male dal punto di vista finanziario
dopo lo choc petrolifero del 1973, fino al 1986, quando venne acquisita
dalla Harken Energy Corporation, società appartenente allo sceicco saudita
Abdulla Bahsh, il cui banchiere - bin Mafuz - era fratello di una delle
moglie di un tale Osama bin Laden. I Bush, padre e figlio, resteranno soci
in affari della famiglia bin Laden fino a poco tempo prima del 11 settembre.
Il che rende assai ridicoli alcuni commenti giornalistici, della TV pubblica
italiana ad esempio, secondo i quali il Sudan sarebbe uno ³stato canaglia²
perché ha ospitato bin Laden... nell¹epoca in cui costui era non solo un
uomo della CIA, ma pure socio del presidente in carica (Bush padre).

Bush capo indiscusso dei guerrafondai? Il maggiore interessato all¹affare
della guerra?... Ahimé, ci sono pure altri interessati. Forse addirittura
peggiori di W.

Infatti, la verità è che, mediocre com¹è, George W. Bush ha il profilo del
presidente perfetto per le grandi corporation. Fanatico, non particolarmente
brillante, alcolista non riabilitato, l¹attuale inquilino della Casa Bianca
ha tutti i requisiti richiesti dal governo imprenditoriale: ignorante non
conscio della sua condizione, facile da manipolare, facile da ingannare,
facile da ricattare, facile da dirigere. Ma, proprio per tutto questo, assai
adeguato per le grandi corporation.

Governa davvero George W. Bush? Non è così scontato. E non solo perché gli
Stati moderni sono realtà assai complesse. Ma anche, ad esempio, perché il
vicepresidente Dick Cheney - ex capo di Halliburton - ha certamente ottenuto
una maggiore redditività personale e corporativa dalle guerre del nuovo
secolo imbastite dal suo capo. Come Condolezza Rice, arrivata alla cuspide
imprenditoriale nella Chevron-Texaco, la compagnia petrolifera che ha
battezzato col suo nome una nave cisterna. L¹uno e l¹altra sono fanatici
tanto quanto il loro capo, ma sembrano più intelligenti; sono ugualmente
crudeli, ma forse più astuti dal punto di vista imprenditoriale. Comunque
sia, il presidente appare circondato dagli uomini delle grandi corporation
che, assai meglio di lui, sanno ciò che fanno e ciò che rappresentano, Si
potrebbe proseguire enumerando personaggi, ma Dick Cheney-Halliburton
fornitrice di ³articoli e servizi militari², Condolezza Rice-Chevron-Texaco,
sono due esempi raffinati di ciò che significa ³l¹affare della guerra².

Diceva Sun Tzu, che ³ogni guerra si fonda sull¹inganno². Gli interessi
corporativi si riconoscono più coi membri del suo gabinetto che col
presidente stesso? Non è importante, anche perché così ³i nostri maggiori
rappresentanti nel governo² vengono risparmiati. Il presidente non è proprio
un aquila? Che importa. Gli si può creare l¹immagine di gran leader
(dopotutto, ogni popolo ha - e mantiene - il governo che si merita). Il
presidente aveva rapporti economici e imprenditoriali con Osama bin Laden?
Non è importante, una volta scatenati i cani della guerra, tutto ciò finirà
nel dimenticatoio...

Tuttavia, il fronte interno non è l¹unico fronte. L¹inganno deve funzionare
anche fuori. Neanche questo è importante. ³La prima vittima della guerra è
la verità², disse Winston Churchill. Che aggiunse: ³In tempi di guerra,
bisogna proteggerla (la verità), affidandola ad un guardaspalle di bugie².
Infatti, l¹impunità del massacro militare statunitense a Falluja si spiega
solo per la complicità della stampa internazionale ed il silenzio
legittimante dei governi e organizzazioni internazionali.

Se la battaglia legata alla percezione della realtà é valida anche nel
fronte esterno, la creazione dell¹immagine del nemico per giustificare
l¹aggressione implica complessi meccanismi di controllo del pensiero. In
qualsiasi società quantomeno formalmente democratica, la propaganda, la
manipolazione sociale e del pensiero sono indispensabili per far progredire
l¹agenda di quelli che governano davvero (non è così nelle dittature, dove
basta che la gente obbedisca). Ovvero, l¹isteria paranoica è una componente
fondamentale. Berlusconi afferma che ³il ritorno al governo dell¹Ulivo
porterebbe terrore, morte e miseria². Il suo mentore, George W. Bush, ha
convinto il suo popolo - e non solo - che i talibani, Saddam Hussein e bin
Laden avevano collegamenti stretti, sia tra loro che con l¹attentato del 11
settembre, malgrado esistessero prove incontestabili del contrario: bin
Laden aborriva Saddam Hussein, Saddam Hussein non ebbe alcun rapporto con
l¹11 settembre e non è mai stata provata la responsabilità dei talibani
negli attentati contro Washington e Nuova York. Così come Ronald Reagan
aveva giustificato tutto (i contras ed il traffico di droghe, ad esempio)
essendo riuscito a terrorizzare i suoi connazionali con la minaccia
comunista emisferica rappresentata dal regime sandinista del Nicaragua, Bush
ha cancellato completamente la traccia che lo unisce a bin Laden, per
condensare nel suo antico socio tutti i mali di questo mondo.

Per generare l¹immagine del nemico, si utilizzano i meccanismi della
semiotica e dell¹ingegneria della percezione. Servono per giustificare le
guerre, guerre che portano risorse e affari. Esce sangue ed entrano dollari,
questa, solo questa, è la dinamica delle corporation della guerra e dei loro
rappresentanti nel governo. A Cesare ciò che è di Cesare: in questo quadro,
George W. Bush è solo una pedina. Probabilmente quella giusta. Anche per
questo è stato rieletto. Si potrebbe ripetere ancora una volta: non ci sono
sorprese, ma solo sorpresi.


Città di Castello, gennaio 2005

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(http://bellaciao.org/it/article.php3?id_article=7237)



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