[Lecce-sf] 26 gennaio giornata della memoria

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26 gennaio giornata della memoria

        un'iniziativa dell'Arci a Roma


        A che punto e' la notte?
        lo sterminio nazi-fascista e il tempo dello "scontro di civiltà" 


        mercoledi 26 gennaio-sala del consiglio provinciale
        Provincia di Roma-via IV novembre 119 a


        Ricostruzione (10,00-14,00)
        Daniel Amit (Docente di Fisica Nucleare)
        La Shoa come metafora del '900
        Livio Togni (Senatore della Repubblica)
        Rom: lo sterminio infinito
        Vladimir Luxuria (Attore)
        La minaccia della diversità sessuale
        Bianca Bracci Torsi (Partigiana)
        Memoria e resistenza


        Decostruzione (16,00-19,00)
        Sandro Portelli (Delegato del Sindaco alla memoria)
        La memoria tra ricostruzione e decostruzione
        Victor Magiar (Scrittore)
        La banalità del Male
        Santino Spinelli (Presidente Parlamento Union Romanì)
        Discriminazioni passate e presenti
        Titti de Simone (Senatrice della Repubblica)
        Alterità come radicalità 
        Maria Folch (Storica)
        Memorie non condivise: il caso spagnolo
        Annamaria Rivera (Antropologa)
        La quistione della Civiltà (e degli scontri)


        Introducono i lavori Sergio Giovagnoli (Presidente ARCI Lazio) e 
        Adriano Labbucci (Presidente Consiglio Provinciale)
        Modera Andrea Masala


        L'iniziativa prosegue in serata con lo spettacolo


        A che punto è la notte?
        La memoria tra musica e parole


        Mercoledì 26 gennaio ore 21.00 - presso la sala "Ilaria Alpi"
        Arci N.A. via dei Monti di Pietralata 16


        Vladimir Luxuria in


        "My name is Silvia"


        Di Baraldini e Guadagno


        Regia di Emiliano Raya, al violino Anyla Kraya


        "la vicenda di Silvia Baraldini: una storia che si intreccia con la 
        Storia"


        A seguire


        Alexian group in
        "L'orizzonte e la memoria"


        Antologia di musiche tradizionali rom a cura di Santino Spinelli


        Il progetto
        In un momento storico come il nostro, caratterizzato da un alzhaimer 
        sociale indotto, ricostruire la memoria appare, oltre che molto 
        impegnativo, un'operazione meritoria e necessaria.
        La Scuola, lasciata ad un colpevole abbandono o ridisegnata 
        revisionisticamente non importa, lascia le giovani generazioni sempre 
        più in balìa della cronachistica e banalizzante attualità (cosa diversa 
        dalla contemporaneità) dei media; questi ultimi, salvo piccole meritorie 
        iniziative, si muovono su un terreno comune di una virtualità nichilista 
        in cui tutto (dalla guerra in Iraq al Grande Fratello) è uguale e si 
        confonde nella rappresentazione del mondo come fiction. Il mondo che si 
        esperisce è quello rappresentato e spettacolarizzato, le esperienze 
        reali perdono terreno rispetto a quelle virtuali rovesciando (forse 
        apparentemente, ma di apparenze parliamo) Hegel: il reale non è più 
        razionale, e viceversa, ma il reale è il virtuale, e soprattutto 
        viceversa.
        I media, tutti, non fabbricano più consenso ma nonsenso, condannando 
        l'individuo a quella che De Martino chiamava "crisi della presenza" che 
        lo spinge all'unica dimensione antropologica che la nostra società 
        sembra produrre: quella del "consumatore compulsivo".
        In questo quadro restituire le memorie significherebbe contribuire a 
        restituire una parte di quel senso di noi stessi e della realtà di cui 
        siamo quasi completamente espropriati.
        L'istituzione di giornate deputate alla ricostruzione e alla 
        divulgazione di cruciali momenti storici va pertanto salutata ed 
        encomiata proprio a partire da questo valore di "resistenza" ai 
        meccanismi indotti dell'oblio.


        Ricostruzione e decostruzione
        Quello che però occorre chiedersi è se questa formula sia sufficiente, 
        essendo la sua necessarietà non in discussione. Ricostruita, la Storia 
        diventa finalmente magistra vitae?
        In altre parole: se fossimo tutti dei discreti conoscitori di Storia, 
        saremmo automaticamente più padroni del nostro destino? Saremmo più 
        capaci di discernere e intervenire sul presente?
        O per rendere la memoria un fattore operante sul presente c'è bisogno di 
        un ulteriore intervento su di essa?
        La quistione potrebbe essere esemplificata così: film come "La vita è 
        bella" o "Schindler's list", ambedue di grande diffusione e di pressoché 
        unanime apprezzamento, sanno attivare meccanismi di intervento sul 
        presente o si fermano alla, pur meritoria e importantissima, 
        suscitazione di sdegno ed orrore nei confronti dell'Olocausto?
        Il fruitore di quei film si riappropria di categorie operanti sull'oggi 
        o si convince di un suo giudizio morale circa una vicenda del passato, 
        connotata e relegata nel passato?
        Crediamo che conoscere ed avere orrore di Aushwitz non basti a 
        riconoscere quotidiane violazioni dei diritti umani o a scongiurare 
        future tragedie riconoscendone all'oggi i primi segnali.
        In questo senso ci si va convincendo che al momento della ricostruzione 
        vada affiancato quello della decostruzione, un procedere, è a dire, che 
        attivi i meccanismi della memoria in un passaggio dall'etica alla 
        politica.
        Stiamo parlando di una metodologia ancora eretica e che non ha una 
        formulazione stabile ma che va attivata volta per volta calibrandola 
        sull'oggetto in discussione, per questo è opportuno passare subito alla 
        materia in quistione.


        "Scontri" e "civiltà"
        Nella famosa descrizione di Benjamin, l'Angelo della Storia procede di 
        spalle con lo sguardo al passato, ne contempla le rovine ma sa che in 
        ogni Presente c'è una chance, rivoluzionaria dice lui, che di quelle 
        rovine potrebbe essere riscatto.
        Se nel nostro presente volgessimo lo sguardo indietro, vi troveremmo più 
        rovine di quell'Angelo, ma avremmo anche più materia per la chance a 
        nostra disposizione.
        Il discorso ufficiale postula ormai lo scontro di civiltà come chiave 
        interpretativa del presente. E sia lo scontro che le civiltà non sono in 
        equilibrio: la nostra civiltà è per definizione superiore, e in nome di 
        questa superiorità dichiara e conduce guerre per civilizzare, per 
        esportare quei requisiti che ci fanno superiori, primo fra tutti la 
        Democrazia.
        E' da questo scenario che, volgendo lo sguardo indietro, vogliamo 
        guardare l'Olocausto. Decostruirlo vale a significarlo, a caricarlo di 
        operatività nella vicenda dello scontro di civiltà, ancora una volta 
        attraverso domande, due domande, rimandando in un secondo momento la 
        problematizzazione del termine "civiltà".
        La prima: può una civiltà che ha prodotto l'esperienza dei lager 
        definirsi superiore ad un'altra?
        Ed è un caso che l'ultima volta che si è detta superiore ha poi 
        conseguentemente prodotto l'esperienza dei lager?
        E' evidente come le risposte abbiano una immediata ricaduta nel 
        presente. Questo approccio nei confronti della memoria crediamo possa 
        conferirle quella caratteristica di meccanismo operante che si cerca.








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