lavoro repubblica
Cemento e vernice fresca l´altare di Carlo non c´è più
Il parroco ordina i lavori, ma pochi si rassegnano
Dopo il blitz di giugno, arrivano gli operai ma stavolta i ricordi non
finiscono nella spazzatura. E si lavora per una soluzione
Giuliano Giuliani "Nessuno ci ha avvertito, e per questo siamo offesi, ma
chi è intervenuto è stato delicatissimo"
ALBERTO PUPPO
Una mano di vernice verde sull´inferriata, una colata di cemento sulla
base. Basta questo per cancellare l´altare laico di Carlo Giuliani. Addio
alle bandiere, addio alle foto. Addio anche alle esortazioni che invitano a
non rimuovere nulla per dimostrare di non avere paura della memoria.
Messaggi mai arrivati al cuore del parroco della chiesa di Nostra Signora
del Rimedio che, già in un´occasione, si era dato personalmente da fare per
ripulire quella che considerava un´offesa al decoro. Allora si trattò di un
vero e proprio blitz. Stavolta gli assomiglia, se è vero che neppure in
questa occasione il sacerdote ha usato la premura di avvertire la famiglia
di Carlo, o qualche amico. Ma, almeno, i ricordi non sono finiti in un
contenitore dell´immondizia. Con garbo, gli operai che hanno effettuato i
lavori, hanno raccolto tutto in una scatola di cartone e si sono anche
premurati di risistemare i fiori all´interno dell´aiuola. Lavoro doppio,
perché giovedì scorso, come accade ogni 20 del mese, all´ora della morte,
un centinaio di persone aveva voluto comunque ritornare in piazza Alimonda
e ornare ancora la cancellata già spoglia.
Me le operazioni non erano ancora concluse e le nuove testimonianze sono
finite a fare compagnia alle altre. «No, non c´è stato alcun accordo, non
ci hanno neppure avvisato - spiega Giuliani Giuliani - e per questo ci
siamo offesi, perché crediamo si tratti, comunque, di un atto di disprezzo
verso il nostro dolore. Ma devo dire che chi ha ripristinato l´inferriata è
stato delicatissimo, non ha gettato nulla. Certo, mi ha colpito che
giovedì, alle 17.27, ci fosse tutta quella gente. È un segnale molto
importante». Ed è anche l´indizio che la battaglia per non dimenticare è
tutt´altro che chiusa. «È chiaro che noi torneremo perché, permettetemi un
espressione forse non elegante, vogliamo marcare il territorio, in attesa
di una soluzione definitiva».
Soluzione che in molti hanno già prospettato: la realizzazione di un cippo
nell´aiuola centrale di piazza Alimonda. Qualcuno aveva anche immaginato di
posizionare la lapide all´interno della cancellata e la richiesta era stata
anche girata alla Curia, che ha però glissato. Così ora la controparte
diventerà, inevitabilmente, il Comune di Genova. «I nostri amici hanno
iniziato una raccolta di firme per una petizione a favore del cippo. Ne
vogliamo uno con nome, cognome e data. Per ricordare non solo Carlo, ma
tutto quello che è successo in quelle giornate a Genova. L´idea, lo
sappiamo, è apprezzata anche dal parroco che così eliminerebbe
definitivamente quello che considera un elemento di disturbo».
A giudicare dalle dichiarazioni d´intenti e dalla promesse, l´operazione
avrebbe già dovuto essere completata da tempo. Al cippo aveva dato la sua
benedizione anche l´arcivescovo, Tarcisio Bertone. Ma, soprattutto, era
stato l´assessore all´Urbanistica, nel luglio del 2003, a sbilanciarsi,
annunciando l´intenzione di Tursi di dare vita addirittura a un concorso
internazionale di idee per realizzare una vera opera d´arte. La gara
sarebbe dovuta partire nell´autunno successivo e l´inaugurazione avrebbe
sicuramente anticipato il terzo anniversario della morte di Carlo. L´idea
rimase nel libro dei sogni dell´assessore. Non se ne fece nulla e neppure
se ne parlò più.
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"Eppure il vento soffia ancora...."
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(luglio 2001).
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