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Italia, caos e tirchieria: gli aiuti solo a parole
Caos e tirchieria. Dopo la sbornia di apparizioni televisive di Fini e
Berlusconi, promesse e dichiarazioni di buone intenzioni, si scopre che la
macchina degli aiuti italiani sta girando a vuoto, che, salvati i turisti
sopravvissuti, il governo non apre i cordoni della borsa, e soprattutto non
dice nulla sulla destinazione delle enormi somme accumulate grazie alla
generosità degli italiani. Le Ong sono in rivolta e, come spiega il
presidente dellassociazione delle organizzazioni non governative Sergio
Marelli, chiedono di «rivedere la Finanziaria» e soprattutto giudicano
«urgente» spiegare gli italiani «chi gestirà i fondi raccolti» e «quali
progetti e quali aree saranno scelte per gli interventi urgenti». Val la
pena di ricordare che, secondo lOnu, 1,8 milioni di asiatici moriranno di
fame se non si interverrà presto.
Ma andiamo per ordine. Portati in salvo i turisti sorpresi dallo tsumani e
avviate le ricerche dei dispersi, il governo si è accorto che la catastrofe
aveva colpito 5 milioni di asiatici. Il 31 dicembre i rappresentanti delle
agenzie dellOnu (Wfp, Unhcr, Fao) e delle Ong sono stati convocati in
fretta e furia alla Farnesina dove sono stati accolti dal segretario
generale Vattani e dal Direttore generale della cooperazione Deodato.
Doveva essere una riunione «operativa», per definire presenze e
disponibilità di operatori nelle zone martoriate, ma, quando i delegati
hanno posto il problema dei finanziamenti e della loro gestione, un
impacciato Vattani ha nocciolato cifre da paese del terzo mondo: 8 milioni
di euro per lo Sri Lanka, 2 per le Maldive. In quanto allIndonesia, dove
gli effetti del maremoto sono stati devastanti, Vattani ha detto che alla
Farnesina «ci stanno pensando» e si parla di 10 milioni di euro. Ma queste
sono «intenzioni». Nei fatti il governo Berlusconi ha stanziato in tutto
4,08 milioni di dollari, la metà del Portogallo (10,88), meno di un decimo
di Francia (56), Spagna (68), Germania (27). LOlanda ha stanziato 34
milioni di dollari. I rappresentanti delle Ong sono rimasti a bocca aperta
e, a quel punto, il ministro Fini si è sentito in obbligo di precisare che
lItalia investe nellemergenza «70 milioni di euro». Le Ong fanno però
notare che quella cifra si raggiunge mettendo nel conto il costo di un
aereo cargo (uno un totale) mandato nelle zone sinistrate, quantificando,
cioè dando un valore, agli aiuti di prima necessità inviati o da inviare e
inserendo nel conto il possibile, ma non certo, annullamento dei debiti dei
paesi colpiti dallo tsumani. Quella di Fini è insomma una cifra «virtuale».
Nei fatti lItalia non spende per lemergenza in Asia. Nella riunione del
31 dicembre Vattani e Deodato hanno detto che toccherà alla Protezione
civile amministrare i fondi raccolti e che la Croce Rossa dellavvocato
Scelli «svolgerà un ruolo importante». Il capo della Protezione Civile,
Guido Bertolaso, ieri ha preso parte ad una riunione, ma poi poi fatto
sapere di essere ammalato e non ha detto alcunché sulla destinazione dei
fondi. Così, dallultimo giorno dellanno, mentre gli italiani continuano
generosamente a versare, non si è più saputo nulla sulla destinazione dei
soldi raccolti. Le Ong si aspettano una nuova convocazione alla Farnesina
per oggi o domani. Dietro tanta tirchieria si nascondono una scuola di
pensiero e una politica miope e cinica. Il quotidiano di Feltri «Libero»
ben spiega la filosofia che ispira il governo titolando «aiuti, arriva
lOnu lAsia trema» e spiegando in un commento che al posto di Annan ci
vuole, per affrontare lemergenza, «un generale Usa», magari di nome
«Marshall». La destra insomma chiude la porta allOnu, ma soprattutto i
cordoni della borsa. Vengono così al pettine i nodi irrisolti. Nel 2002, in
occasione del vertice della Fao, Berlusconi promise di destinare alla
cooperazione nei paesi in via di sviluppo l1% del Pil, oggi siamo ad un
modesto 0,11%, molto distanti quindi dagli obiettivi fissati dallOnu
(0,7%) e dallUnione Europea (0,24 per il 2004, 0,27 per il 2005). Non
solo. Dopo aver massacrato il bilancio della cooperazione, il governo ha
messo mano ai fondi destinati ai paesi in via di sviluppo per finanziare in
parte la missione dei militari in Iraq anche perchè la Finanziaria ha
decimato il bilancio della Difesa. Così hanno fatto il «colpo» che si
presentava più facile e senza rischi dal momento che ridurre i sussidi di
poveri non scatena proteste in Italia. La Cooperazione italiana è insomma
al verde ed ora, dopo aver tagliati i fondi, il governo si trova di fronte
ad una vera e propria mobilitazione spontanea di milioni di italiani. Ma
questi soldi quale strada prenderanno? Negli ambienti delle Ong e delle
agenzie dellOnu questa domanda passa incessantemente di bocca in bocca. Ma
Fini non risponde. Volontari e «umanitari» non solo vogliono sapere che
cosa farà materialmente lItalia, ma anche dove e quando interverrà. Sul
questo fronte è buio pesto.
Altri problemi si affacciano allorizzonte. Sia nel nord-est dello Sri
Lanka che nella regione indonesiana dellAceh, sono latenti o ancora in
corso conflitti armati. Negli ambienti dellOnu vi è il timore di un «uso
strumentale» degli aiuti a favore delle fazioni in lotta o a vantaggio dei
governi che operano la repressione. Alcuni (è il caso della comunità di S.
Egidio) hanno già avviato soccorsi attraverso canali propri. La comunità,
che da tempo ha allestito due centri di accoglienza a Giava e tre a
Sumatra, ha creato un «centro di solidarietà» a Giakarta ed ha inviato
aiuti dallItalia.
La organizzazioni che operavano prima della catastrofe in Asia sono quindi
in grado di muoversi con celerità e con iniziative mirate ed efficienti;
anche alcune Regioni ed enti locali sono in grado di dare nellimmediato il
loro contributo inviando strutture già collaudate come ospedali da campo.
Rimane tuttavia il grande interrogativo sulla politica del governo che non
dice nulla su come intende muoversi e soprattutto dove e quando intende
spendere i soldi (degli italiani).