[Cm-roma] da "la repubblica"

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Autore: claude.3@tiscali.it
Data:  
Oggetto: [Cm-roma] da "la repubblica"

La lingua comune delle immagini
di SEBASTIÃO SALGADO



I CORPI di centinaia di persone morte. La furia degli elementi. Il pianto
e la disperazione sul volto dei sopravvissuti. La devastazione di terre,
di case, di campi. L'anno 2004 si è chiuso per noi con una serie di immagini
strazianti che una volta in più, dai giornali e dalle televisioni del mondo
intero, ci ricordano quanto siamo tutti parte di un comune destino: quello
di condividere il pianeta in cui viviamo e le responsabilità per le conseguenze
delle ferite che a questo pianeta continuiamo a infliggere.

Il mio lavoro mi ha portato molte volte a documentare da vicino grandi disperazioni,
emergenze umanitarie e catastrofi. Ho passato sette anni a raccontare le
migrazioni forzate di popolazioni a causa di guerre, carestie, ma anche
tragedie naturali, come gli uragani e i terremoti. Conosco l'indicibile
e incomprensibile sofferenza che migliaia di esseri umani sono costretti
a sopportare.

Ho cominciato da un anno un nuovo progetto, cui ho dato il nome "Genesi",
con la consapevolezza che il mondo è in pericolo a causa di un nostro sbagliato
rapporto con l'ambiente. Oggi quindi, torno a fotografare per mostrare un
altro aspetto della realtà; fotografo per mostrare le bellezze della terra
e proporre una riflessione sulle nostre origini, sulla forza della natura,
sulla sua sacralità, sul rispetto che le dobbiamo.

Se la natura sembra esprimere, come è accaduto in questi giorni, la sua
violenza annientandoci, travolgendo e rifiutando quasi la nostra presenza,
a maggior ragione dovremmo cercare di recuperare il più possibile un rapporto
intenso e sano, profondo, con questa stessa natura da cui troppo ci siamo
allontanati. Il desiderio con cui ogni giorno torno a fotografare, nei più
lontani e diversi luoghi della terra, è di poter dare un mio contributo
e cercare il più possibile di ricongiungerci col mondo com'era prima che
l'uomo lo modificasse fino quasi a sfigurarlo.


Abbiamo perso contatto con l'essenza della vita sulla Terra. La nozione
moderna che umanità e natura sono in qualche modo separate è assurda. La
nostra relazione con la natura - con noi stessi - si è rotta. In quanto
specie più sviluppata, l'umanità può avere una relazione speciale, spesso
dominante, con la natura ma è solo una parte della natura. In verità, non
possiamo sopravvivere fuori da essa. E tuttavia l'urbanizzazione accelerata
del secolo scorso ha allontanato l'umanità dalle fonti animali e vegetali
della vita stessa.

Stiamo vivendo in disarmonia con gli elementi di cui è costituito l'universo,
come se noi non fossimo fatti allo stesso modo, come se noi fossimo esseri
fatti di pura razionalità. Stiamo disconoscendo le qualità istintive e spirituali
che fino a ora hanno assicurato la nostra sopravvivenza. Ci assumiamo gravi
rischi quando prendiamo le distanze dalle nostre radici naturali, radici
che in passato ci hanno fatto sentire parte del tutto.

Solo le generazioni recenti si sono rese conto che il collasso della natura
è un rischio concreto. Oggi viviamo in un pianeta che può morire. Utilizziamo
energia nucleare in diversi campi, nella vita di tutti i giorni come nei
programmi scientifici, senza capire appieno i rischi legati agli effetti
secondari e alle scorie nucleari. E ancora, abbiamo accumulato un numero
inimmaginabile di armi nucleari che possono essere utilizzate in guerra
oppure ad opera dei terroristi. Per non parlare della minaccia di un ulteriore
e ancor più grave disastro ambientale: l'agricoltura industrializzata e
gli allevamenti su larga scala utilizzano tecniche che decimano gli habitat
naturali, mentre l'uso indiscriminato di prodotti chimici inquina terreni
e falde acquifere. Oggi non produciamo altro che merci di scambio. Stiamo
danneggiando la stratosfera e distruggendo le ultime residue porzioni di
foreste tropicali, riducendo di fatto la fotosintesi che ci assicura la
vita.

La nostra stessa esistenza è a rischio.

Nonostante tutti i danni già causati all'ambiente, in una piccola parte
del pianeta, si può ancora trovare un mondo di purezza, perfino d'innocenza.
Questo è il mondo che oggi voglio cercare di conoscere e mostrare a tutti;
con lo stesso impegno con cui in passato ho documentato la realtà di guerre,
di lavori umilianti, di emigrazione, di sovraffollamento, di morte e di
disperazione. Perché siamo tutti parte dello stesso sistema, della stessa
natura e l'unica possibilità che abbiamo è proprio quella di conoscere questo
stesso sistema e salvaguardarlo, curarlo nel desiderio (forse sogno) di
recuperare un equilibrio possibile.

Scorrono sotto i miei occhi le immagini di questi giorni e veramente noto
come la fotografia, una volta di più, si riveli il linguaggio comune, il
codice a tutti comprensibile, perché profondo e vero, con cui conoscere
i termini e le forme della tragedia planetaria. Ed è una comprensione a
fior di pelle, che passa per i sensi, elimina ogni possibile deviazione
ma ci sollecita e ci chiama, ci tocca da vicino. Un uomo soffre, si vede
il suo volto e si riconoscono i segni del suo viso, la sua casa abbattuta,
la sua famiglia distrutta: "Quell'uomo potrei essere io; il suo destino
avrebbe potuto essere il mio".

La fotografia, immediata e profonda, ci rivela quel che già sappiamo, quel
che abbiamo sempre intuito e che spesso fatichiamo a riconoscere. Noi tutti
siamo parte di una stessa tribù, dai grandi ma pur sempre limitati poteri:
quella degli esseri umani, noi stessi parte della natura.

* Sebastião Salgado è uno fra i più celebri fotografi del mondo

Testo raccolto da Alessandra Mauro


(2 gennaio 2005)





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