Szerző: Andrea T Dátum: Tárgy: [Cm-roma] OT: Sogni di fine Anno
Per i sintonizzati...posto questo per trascorrere il pre-CM: quello che
vorrei con l'anno nuovo
A. - Bone
P.S: A Mepesa...ar prossimo Natale (Che tanto nun lo festeggio e questo è
già passato! ;-) ) te regalo un sellino a mongolfiera dove appoggiare le
recondite scomodità.. :))
magari con l'occasione faccio pure una bici con scale mobili a Piero, una
fissa veramente fissa di marmo di carrara senza pedali a Bellino, una che
costa 30 pleuri meno de quanto costa a Warner e una.....
vabbè 'nsomma la lista è lunga....baci a tutti!!!
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SULLA TRANSIZIONE
di XXX
tratto da XXX
?Certo, la critica è incisiva e tutto quanto, ma com'è possibile passare
da questo mondo lugubre ad un'esistenza piena e genuina?? Penso che non
dovremmo dubitare che questo viaggio sia possibile, né che l'esplosione
necessaria per dargli inizio possa essere vicina.
Il pensiero della cultura dominante, come sappiamo, ha sempre affermato
che la vita alienata è inevitabile. Infatti, la cultura o la civiltà
stessa esprime questo dogma essenziale: il processo di civilizzazione,
come ha osservato Freud, è il passaggio forzato da una vita libera e
naturale ad una vita di continua repressione. Oggigiorno la cultura
langue, desolata e logora, ovunque si guardi. Più importante dell'entropia
che affligge la logica della cultura è però quella che sembra essere la
resistenza attiva, per quanto appena abbozzata, che le viene opposta.
Questo è il raggio di speranza che disturba la gara, altrimenti fin troppo
deprimente, cui assistiamo per vedere se arriverà prima l'alienazione
totale o la distruzione della biomassa.
Le persone sono imprigionate e messe alla ruota del vuoto quotidiano, e il
fascino della civiltà sbiadisce. Lasch ha parlato di una rabbia quasi
universale che dilaga nella società, appena sotto la superficie: sta
crescendo e molteplici sono i suoi sintomi, che corrispondono al rifiuto
di lasciare questo mondo insoddisfatti.
Adorno chiedeva: ?Che cosa sarebbe la felicità se non fosse misurata
dall'incommensurabile angoscia di fronte all'esistente?". Di sicuro la
condizione della vita è diventata un incubo tale da giustificare un simile
interrogativo, e forse anche da indurre a pensare che qualcosa abbia preso
una piega terribilmente sbagliata tantissimo tempo fa. Quanto meno
dovrebbe dimostrare, entrando nello specifico, che i mezzi di riproduzione
della civiltà dominante (cioè la sua tecnologia) non si possono usare per
plasmare un mondo liberato.
Il signor Sammler di Saul Bellow si chiedeva: ?Che cosa c'è di "comune"
nella vita comune? E se qualche genio dovesse fare con la "vita comune"
ciò che ha fatto Einstein con la "materia"? Scoprirne l'energia, svelarne
la radiosità?. Ovviamente, dobbiamo tutti essere quell'"Einstein", che è
precisamente ciò che scatenerà un'energia creativa sufficiente a
ridefinire completamente le condizioni dell'esistenza umana. Diecimila
anni di tenebre e schiavitù, per parafrasare Vaneigem, non resisteranno a
dieci giorni di rivoluzione totale, che comporterà la ricostruzione
simultanea di noi stessi. Chi non odia la vita moderna? Può il
condizionamento che ancora rimane sopravvivere a una tale esplosione di
vita, che ne elimini inesorabilmente le fonti?
Siamo chiaramente tenuti in ostaggio dal capitale e dalla sua tecnologia,
costretti a sentirci dipendenti, persino impotenti, schiacciati sotto il
peso dell'opprimente inerzia di secoli di categorie, modelli e valori
alienati. Di che cosa si potrebbe fare immediatamente a meno?
Confini, governi, gerarchia... Che altro? Quanto tempo occorre per
eliminare le forme più radicate di autorità e separazione, come la
divisione del lavoro? Sono convinto, e spero non con l'atteggiamento di
chi vuole applicare alla realtà un principio astratto, che non si possa
concepire la libertà totale e l'interezza di vita senza la dissoluzione
del potere intrinseco degli specialisti di ogni genere.
Molti affermano che milioni di individui morirebbero se l'attuale
sudditanza tecno-globale al lavoro fosse eliminata insieme alla merce.
Questa affermazione però non tiene conto di molte potenzialità. Per
esempio, consideriamo il gran numero di persone che sarebbero libere da
occupazioni manipolatorie, parassitarie e distruttive a favore della
creatività, della salute e della libertà. Ora come ora, in realtà
pochissimi contribuiscono in qualche modo a soddisfare bisogni autentici.
Trasportare cibo per migliaia di chilometri, occupazione per nulla atipica
oggigiorno, è un esempio di attività insensata, così come lo è la
produzione di incalcolabili tonnellate di veleni di erbicidi e pesticidi.
Quest'immagine dell'umanità che morirebbe di fame se si dovesse tentare
una trasformazione si può ridimensionare prendendo in considerazione
alcuni altri aspetti dell'agricoltura, di carattere più positivo. E?
perfettamente possibile, in termini generali, coltivare il cibo di cui
abbiamo bisogno. Vi sono metodi semplici, che non comportano alcuna
divisione del lavoro, e consentono di ottenere grandi rese in piccoli
spazi.
L'agricoltura stessa dev'essere superata, così come l'addomesticamento,
perché sottrae più sostanze organiche al terreno di quante ne restituisca.
La permacoltura e una tecnica che sembra tentare un tipo di coltivazione
che si sviluppa o si riproduce da sola e quindi tende ad avvicinarsi alla
natura e ad allontanarsi dall'addomesticamento. E? un esempio di
promettente modalità di sostentamento intanto che ci si allontana dalla
civiltà. Un altro aspetto pratico della transizione è la coltivazione
nelle città e un ulteriore passo verso il superamento dell'agricoltura
potrebbe essere la propagazione più o meno casuale di piante.
Per quanto riguarda la vita nelle aree urbane, si dovrebbe compiere
qualsiasi passo verso l'autonomia e l'autosufficienza, a partire da ora,
in modo da poter poi abbandonare tanto più rapidamente le città. Create in
risposta all'esigenza del capitale di accentrare il controllo delle
transazioni economiche, della religione e del dominio politico, le città
restano enormi monumenti devastatori della vita in onore delle stesse
esigenze basilari del capitale. Si potrebbero utilizzare come qualcosa di
simile a ciò che ora conosciamo come musei, cosicché le generazioni
successive al sovvertimento radicale del presente possano apprendere
quanto grottesca sia diventata l'esistenza della nostra specie. Strutture
mobili destinate a feste e divertimenti sarebbero forse la configurazione
più simile alla città che la vita disalienata potrebbe esprimere.
Parallelamente all'abbandono delle città, si potrebbe verificare
un'analoga migrazione dai climi freddi verso quelli più caldi. Il
riscaldamento degli spazi abitativi nelle regioni settentrionali
costituisce un assurdo dispendio di energia, di risorse e di tempo. Quando
gli esseri umani avranno ristabilito un'intimità con la natura e saranno
diventati più sani e più robusti, tali regioni probabilmente si
ripopoleranno, in maniera completamente diversa.
Quanto alla popolazione, la sua crescita è un fenomeno così poco naturale
o neutro come lo è la sua tecnologia. Quando la vita è fatalmente priva di
equilibrio, il bisogno di riprodursi appare come una forma di
compensazione dell'immiserimento, mentre i livelli della popolazione
sarebbero relativamente bassi come avviene fra i raccoglitori-cacciatori
non civilizzati che ancora abitano alcune regioni del mondo.
Enrico Guidoni ha osservato che le strutture architettoniche
necessariamente rivelano molto del contesto sociale in cui sorgono. Allo
stesso modo, l'isolamento e la sterilità delle abitazioni nella società di
classe non sono affatto casuali e meritano di essere eliminate in toto.
Architettura senza architetti di Rudofsky esamina alcuni esempi di
abitazioni costruite non da esperti, ma frutto di un'attività comune
spontanea e in continua evoluzione. Immaginiamo l'invitante vivacità delle
abitazioni, ciascuna unica e non prodotta in massa, espressione di una
serena reciprocità che potrebbe emergere dall'abbattimento dei confini e
delle miserie artificiali, materiali ed emotive.
[N.d.A. cioè mia che posto...sul tema "Salute" sono in disaccordo su
alcuni punti con l'autore e mi rifaccio piuttosto a Foucault su "Storia
della follia nell?età classica" (1961 prima edizione e 1972 seconda
edizione), Rizzoli 1963 e "Malattia mentale e psicologia" (1962), Cortina
1997.]
E? probabile che in un mondo nuovo la "salute" sarà un problema ancor più
facile da risolvere di quello dell'abitazione. La "medicina" industriale e
disumana di oggi è totalmente complice dei processi generali della società
che ci derubano della vita e della vitalità. Tra gli innumerevoli esempi
di criminalità odierna, lo sfruttamento diretto della miseria umana deve
trovarsi ai primi posti. Le pratiche di cura alternative pongono già una
grossa sfida al modello dominante, ma l'unica soluzione reale è
l'abolizione di un sistema che per sua stessa natura genera una serie
incredibile di malattie fisiche e mentali.
Da Reich a Mailer, ad esempio, il cancro è considerato come lo sviluppo di
una follia generale repressa e negata. Prima della civilizzazione la
malattia praticamente non esisteva. Come poteva essere altrimenti? Da dove
provengono le malattie degenerative e infettive, i malesseri emotivi e
tutti gli altri disturbi se non dal lavoro, dalla tossicità, dalla città,
dall'estraniazione, dalla paura, dall'insoddisfazione, dall'intero tessuto
di una realtà deteriorata e alienata? Distruggendone la fonte si
sradicherà la sofferenza. I piccoli disturbi si potrebbero trattare con
erbe e rimedi analoghi, senza parlare di una dieta basata su alimenti sani
e non trattati.
E? evidente che non ci si può liberare in un istante
dell'industrializzazione e delle fabbriche, ma è altrettanto chiaro che se
ne deve perseguire l'eliminazione con tutto il vigore nell'impeto
dell'attacco. Questa riduzione in schiavitù degli individui e della natura
deve scomparire per sempre, cosicché parole come produzione ed economia si
svuotino di ogni significato. Un graffito del maggio '68 in Francia diceva
semplicemente "Adesso!". I fautori di quella ribellione avevano
evidentemente compreso la necessità di andare rapidamente fino in fondo,
senza temporeggiare né scendere a compromessi con il vecchio mondo. Una
rivoluzione a metà non farebbe altro che preservare il potere e cementare
la sua presa su di noi.
Una vita qualitativamente diversa comporta l'abolizione dello scambio,
sotto qualsiasi forma, a favore del dono e dello spirito del gioco. Al
posto della coercizione al lavoro ? e quanto del presente potrebbe
continuare senza quel tipo preciso di coercizione? - l'obiettivo centrale
ed immediato è un'esistenza priva di imposizioni: il piacere senza
impedimenti, l'attività creativa sul modello di Fourier, secondo le
passioni dell'individuo e in un contesto pienamente egualitario.
Che cosa conservare? Gli strumenti che consentono di "risparmiare lavoro e
fatica"? A meno che non comportino alcuna divisione del lavoro (ad
esempio, una leva o uno scivolo), questa nozione è pura fantasia; dietro
il termine "risparmiare" si cela il duro lavoro di molti ed il saccheggio
del mondo naturale. Come ha affermato il gruppo parigino Interrogations:
?Le ricchezze di oggi non sono ricchezze umane; sono ricchezze per il
capitalismo, che rispondono all'esigenza di vendere e stupire. I prodotti
che fabbrichiamo, distribuiamo e amministriamo sono l'espressione
materiale della nostra alienazione?.
Alla prospettiva o possibilità di trasformare la vita, viene opposto fin
dal primo momento qualsiasi tipo di timore e dubbio. ?La rivolta non
significherebbe disordine, assalti, violenza, ecc.?? Tuttavia, le
insurrezioni popolari sembrano dare espressione concreta a forti
sentimenti di gioia, unità e generosità. Considerando gli esempi più
recenti negli Stati Uniti, le insurrezioni urbane degli anni sessanta, New
York nel 1 977 e Los Angeles nel 1992, si rimane soprattutto colpiti dalla
condivisione spontanea, dal drastico calo della violenza interraziale e
della violenza contro le donne, e persino dal clima festoso.
Il maggiore ostacolo sta nel dimenticare il primato del negativo.
L'esitazione, la coesistenza pacifica: questa mancanza di desideri si
rivelerà fatale se le si consente di prevalere. Il vero impulso umanitario
e pacifico è quello che si dedica a distruggere implacabilmente la
dinamica malefica nota come civiltà, a partire dalle sue radici. Il tempo
è un'imposizione coercitiva e limitante della cultura, attribuire nomi
significa esercitare un controllo, come contare, ed è un aspetto
dell'allontanamento del linguaggio. Al punto estremo cui siamo arrivati
possiamo scorgere la necessità di un completo ritorno alla terra,
all'intimità di tutti i sensi con la natura, quella raggiunta prima che la
simbolizzazione trasformasse l'esistenza in una caricatura reificata e
separata di se stessa. Questa volta se ne potrà assaporare il fascino
ancor più felicemente: ora sappiamo quello che i nostri antenati non hanno
capito che andava evitato.
Si può cominciare subito a spaccare il cemento, come consigliò una volta
il mio amico Bob Brubaker.
Letteralmte: sotto il pavé la spiaggia!
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