Autore: Andrea Agostini Data: Oggetto: [NuovoLaboratorio] maremoti : schiaffo al turismo globale
dalla stampa
29 Dicembre 2004
di Mario Deaglio
Nel momento in cui ancora si contano le vittime, il calcolo dei danni
economici del terribile maremoto asiatico può sembrare fastidioso e fuori
luogo. Tanto più che la Banca Mondiale stima in soli cinque miliardi di
dollari il totale dei danni, appena un terzo di quelli provocati pochi mesi
fa dai cicloni negli Stati Uniti. Questo perché, a prezzi di mercato, la
ricostruzione fisica costerà poco nei Paesi colpiti; essa appare senz'altro
possibile nel giro di 2-3 anni e un sistema di monitoraggio delle «onde
anomale» potrebbe persino far ritornare presto i turisti su quelle spiagge
sconvolte. Il favoloso tasso di crescita asiatico, del resto, perderà, al
massimo, qualche decimale ma non si fermerà. Non è un caso che, dopo un paio
di giorni di smarrimento, le Borse asiatiche abbiano già archiviato lo
tsunami con un tranquillizzante rialzo.
Perché, allora, percepiamo questo disastro naturale come diverso dagli
altri, perché ne siamo particolarmente scossi, mentre abbiamo subito
dimenticato altri terribili eventi naturali, come le diecine di migliaia di
morti dei recenti terremoti della Turchia e dell'Iran?
Non solo per la sua eccezionalità geologica, non solo per l'elevato numero
di vittime occidentali ma anche, e forse soprattutto, perché è stato colpito
uno degli aspetti più innovativi del nostro recente stile di vita, quello di
un turismo globale «facile» che passa sopra a differenze economiche e a
differenze culturali, con il quale molti pensavano di dare un contributo
importante, forse decisivo, alla diminuzione dei divari mondiali. Andare in
vacanza in Paesi lontani, insomma, e intanto rimediare ai divari e
sconfiggere la povertà apparivano due obiettivi conciliabili e meritori;
oggi la vacanza lontana appare pericolosa (non solo per gli eventi naturali
ma anche per il terrorismo) e i divari non vengono colmati.
Constatiamo che, mentre i cadaveri dei turisti dei Paesi ricchi galleggiano
a fianco di quelli dei loro servitori malesi e indonesiani, i primi vengono
accuratamente raccolti e rimpatriati, i secondi vengono bruciati nelle fosse
comuni per timore di epidemie. L'attenzione con cui si pensa di indennizzare
i turisti mancati le cui vacanze sono state rovinate dal terremoto si
scontra con l'insultante esiguità delle risorse immediate ufficialmente
destinate da Unione Europea e Stati Uniti a «indennizzare» gli abitanti
disperati di quelle aree turistiche, i quali pure lavoravano per queste
vacanze.
La globalizzazione portata dal turismo non pare portare un «mutuo
vantaggio», sembra invece nascondere una realtà sottostante dove la povertà
rimane in gran parte invariata. La costruzione di un mondo che diventa un
«villaggio globale» grazie agli straordinari progressi dei trasporti e delle
comunicazioni non passa, insomma, attraverso gli attuali villaggi di
vacanze; non ci si può illudere, però, che basti costruire distese di
alberghi e centri commerciali nelle zone più belle dei Paesi poveri per far
star bene tutti.
Se i malesi, gli indonesiani, gli indiani mantenessero il loro, pur elevato,
tasso di crescita, solo i loro nipoti raggiungerebbero gli attuali livelli
di reddito per abitante. Per i disgraziatissimi somali, colpiti da una coda
del maremoto, non basteranno trecento anni. Il divario tra ricchi e poveri
non si riduce, purtroppo, grazie al turismo e, più in generale, la
sensazione dell'insufficienza delle attuali ricette di crescita esce
rafforzata da questo evento naturale. Alla fragilità fisica di fronte alle
ondate dello tsunami fa riscontro la fragilità e il semplicismo di molte
formule apparentemente destinate a garantire benessere e progresso.