[Forumlucca] CAPODANNO SENZA BOTTI - PASSAPAROLA

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Autore: Gabriele Focosi
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Oggetto: [Forumlucca] CAPODANNO SENZA BOTTI - PASSAPAROLA
PASSAPAROLA

Capodanno senza botti
un silenzio per condividere

In un mondo sempre più globale, quello che è successo ci tocca
da vicino. E la festa non può trascorrere come se niente fosse

di MAURIZIO CROSETTI (La Repubblica.it)

Ci sono momenti in cui il silenzio è una necessità più che un dovere.
Momenti in cui non si può chiudere il mondo dietro la porta di casa, lui là
fuori, noi qui dentro a festeggiare. Perché questo non è un Capodanno come
gli altri. Il mondo, fuori, ci è entrato in casa senza bussare: è così che
fa, quando la gente muore. Il mondo sfonda la porta, ci mette davanti agli
occhi le tremende fotografie dei giornali, le strazianti immagini della
televisione. Non è possibile restare indifferenti a quel mondo che bussa e
muore, magari con una bottiglia di spumante in mano e un petardo nell'altra.

Non si tratta di retorica, né di astratta carità mentale. La necessità del
silenzio, come momento di riflessione sulla nostra storia e sul nostro
destino di uomini - che in un attimo può trasformarsi nel destino di tutti
e viceversa (il destino è capriccioso e non si cura dell'indifferenza) -
riguarda chiunque abbia occhi e cuore.

E allora pensiamo che stavolta sia giusto non fare rumore, non festeggiare
il nuovo anno con i botti e i fuochi: sarebbe come urlare in presenza di
chi soffre. Condividere un dolore non vuol dire diventare tristi, ma
rispettare quel dolore e chi lo sta vivendo.
Anche se si trova dall'altra parte del mondo: e poi, la tragedia del Sudest
asiatico ci ha spiegato che il mondo è diventato proprio piccolo, e che lo
si percorre in un attimo. Può accadere di essere turisti in vacanza
esotica, e in un istante trasformarsi in vittime o testimoni di un cataclisma.

Dunque, il silenzio di Capodanno è anche un modo per riflettere su di noi,
non solo per essere un po' più vicini a "loro", ai lontani, agli sventurati.
Una festa senza fuochi (che, tra parentesi, ogni anno mozzano mani e
oscurano occhi, di bambini e ragazzi soprattutto) è un segno di profonda
umanità, di semplice ma vissuta partecipazione. Aspettare il secondo che fa
scoccare il nuovo anno, e pensare che chi sta male non è solo: proviamoci,
stavolta. Sarà una maniera, anche, per augurarci di non essere soli quando
potrebbe toccare a noi star male.

Si parla tanto di globalizzazione e di confini più vicini, in questa nostra
inquieta modernità, e così viviamo nel mondo che aspetta il nuovo anno.

Proviamo a farlo nel silenzio e nel rispetto del dolore, così anche il
nostro pensiero potrà essere un po' più globale, se riuscirà a occuparsi
dell'uomo.

Cioè gli altri, cioè noi.