[NuovoLaboratorio] correggere lenin con gandhi

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著者: antonio bruno
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題目: [NuovoLaboratorio] correggere lenin con gandhi
da liberazione 23.12.2005

«Correggere Lenin con Gandhi»

Colloquio con il filosofo francese Jean-Marie Muller, in Italia
per presentare il suo ultimo libro "Il principio nonviolenza"

E' stata una due giorni intensa quella che si è conclusa martedì e che ha
visto il filosofo francese Jean-Marie Muller dividersi fra Pisa e Pontedera
per presentare il suo ultimo lavoro, Il principio nonviolenza. Una
filosofia della pace (ed. Plus, Pisa 2004, Euro 18,00), e anticipare i temi
del Forum sociale di Porto Alegre 2005, dove coordinerà una sessione
tematica sulla "nonviolenza attiva". Lo abbiamo incontrato nella sede della
rivista Satygraha (potere della nonviolenza, alla lettera) - i quaderni
promossi dal corso di laurea in Scienze per la pace dell'ateneo pisano e
dal Centro Gandhi - diretta da Rocco Altieri, che possiede, fra l'altro,
una delle biblioteche più ricche di testi e contributi su pace e nonviolenza.

Si è trattato, in realtà, di un vero e proprio colloquio a più voci,
condotto insieme a molti attivisti del movimento nonviolento che andranno a
fine gennaio a Porto Alegre con Muller e che stanno preparando per febbraio
un forum nazionale sulla nonviolenza a Pontedera. Oltre a Rocco Altieri
c'erano il professor Antonino Drago, presidente della commissione
ministeriale per la difesa popolare nonviolenta (impareggiabile
traduttore), Pietro Pertici, Giovanni Mandorino e Martina Pignatti Morano
del Centro Gandhi.

Jean-Marie Muller è uno dei maggiori teorici della nonviolenza, ha 65 anni
e per tutta una vita si è battuto contro le spese militari e contro gli
esperimenti nucleari attraverso azioni di obiezione di coscienza e
disobbedienza. Nel 1971 ha fondato il "Man" (Mouvement pour une Alternative
Nonviolente) e attualmente è direttore dell'Institut de Recherche sur la
Résolution Nonviolente des Conflits (Irnc).

Con lui non possiamo non parlare dei conflitti e dei teatri di violenza nel
mondo: lo sguardo è rivolto alla Cecenia, alla difficile vicenda
israelo-palestinese, all'Iraq. «La violenza è la nostra realtà quotidiana -
esordisce Muller - ed è difficile opporvisi disonorandola e
delegittimandola attraverso altra violenza: giustificare la propria
violenza perché si presuppone che altri siano stati i primi ad averla
innescata ci rende vittime di una spirale senza fine».

Guerra e terrorismo sono due violenze, ma il terrorismo è un metodo
differente dalla guerra. «Quest'ultima è simmetrica, mentre il terrore è
asimmetrico - prosegue Muller - e non si può sconfiggerlo con l'esercito,
bensì con l'intelligence, con azioni mirate e di polizia internazionale».
Questa guerra infinita dichiarata da Bush ha due ragioni di fondo: una di
natura ideologica - il dominio sul mondo - e l'altra economica. «Tante sono
le vittime: a Falluja prima i civili sono stati ostaggio dei terroristi,
adesso lo sono dell'esercito di occupazione», insiste il filosofo francese.
E ancora: «Credo che anche gli stessi soldati siano vittime: oltre mille
sono le morti militari e si stimano in 40mila gli arruolati con problemi
psichiatrici, che vengono curati e assistiti quotidianamente; gran parte di
questi uomini vuole tornare in patria».

A questo teatro di violenza Jean-Marie Muller contrappone un'opzione
radicale: la necessità di porsi in una logica differente, scegliendo il
principio della nonviolenza.

Una premessa dovuta. Molti indicano la nonviolenza come debolezza o
impotenza, come utopia e impossibilità del cambiamento. Muller ritiene che
proprio questo asserire che «la nonviolenza è moderata, significa aver già
introiettato la visione violenta. La radicalità delle pratiche della
nonviolenza è contrastata per due motivi opposti: o perché si ignorano
queste pratiche, oppure perché si conoscono fin troppo bene». Sono,
appunto, le mille pratiche dal basso: dai Sem Terra brasiliani, alle
aggregazioni della società civile indiana, ai movimenti pacifisti europei.
Tutto questo si cercherà di mettere in rete a Porto Alegre.

Quale l'agire concreto? «Proprio nel momento in cui definiamo un fine -
continua il filosofo - si deve avere mezzi adeguati al fine. In questo
senso bisogna capire il rapporto che vogliamo avere con il potere». Muller
non ha dubbi: «Certo, siamo per la presa del potere da parte del progetto
nonviolento, ma per un potere senza violenza: vogliamo che sia la
partecipazione e il potere dal basso - e non quello del vertice - il
protagonista della democrazia». Ecco inevitabilmente riproporsi, assieme
alla questione del potere, la questione legalità-illegalità. Anche in
questo caso, il ragionamento parte dalle coscienze: «Distinguerei fra
legale e legittimo, ossia ciò che sentiamo dentro di noi come giusto.
Ritengo che l'azione diretta, l'obiezione di coscienza, il boicottaggio e
le tante forme di disobbedienza civile siano la strada necessaria per far
maturare processi di cambiamento». In questo modo si viene anche
sanzionati, ma si accetta tale sanzione per dimostrare l'assurdità della
regola. Alla base, comunque, si tratta di avere un atteggiamento e una
modalità di relazione nonviolenta fra gli interlocutori, assumendo come
centrale la partecipazione e la moltiplicazione della presa di coscienza.

Non manca, infine, un passaggio sul dibattito italiano. Muller dice di
apprezzare la scelta nonviolenta di Rifondazione e di essere molto
interessato alle discussioni che stanno avendo luogo nel Prc, e lascia
sullo sfondo un nodo teorico: «bisognerebbe correggere Lenin con Gandhi».
Gli fa eco Rocco Altieri, ricordando che tale tema era già vivo nella
riflessione di Aldo Capitini: una ricerca ancora feconda, da continuare.

Dario Danti    
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"Eppure il vento soffia ancora...."

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