Censura di guerra
Codice militare di guerra anche per i giornalisti che raccontano le
"missioni di pace"
L'Arci considera il disegno di delega al Governo per la riforma dei
codici militari approvato nei giorni scorsi al Senato un gravissimo
attacco alla libertà di stampa.
La riforma prevede un'estensione del codice penale militare di guerra
anche alle "missioni di pace" e quindi la nuova normativa riguarderà per
esempio i servizi giornalistici sull'Iraq, visto che per il governo
siamo a Nassiriya in missione di pace. La guerra, per legge, diventa
parte della normalità quotidiana.
Diventano pienamente operativi gli articoli 72 e 73 del codice penale
militare italiano che prevedono sia punita "l'illecita raccolta,
pubblicazione e diffusione di notizie militari". Viene punito con la
reclusione militare, cioè in un carcere militare, il giornalista che
"procura notizie concernenti la forza, la preparazione o la difesa
militare, la dislocazione o i movimenti delle forze armate, il loro
stato sanitario, la disciplina e le operazioni militari e ogni altra
notizia che, essendo stata negata, ha tuttavia carattere riservato". Il
giornalista che verrà accusato di questi reati potrà essere condannato a
una pena variante tra i due e i dieci anni di carcere, ovviamente
militare. Se poi queste notizie venissero "divulgate" la pena potrebbe
arrivare sino a venti anni.
Ai militari verrà dunque affidato un potere assoluto e arbitrario
sull'attività dei giornalisti che seguono le missioni all'estero,
sistematizzando la censura e criminalizzando chiunque non accetti le
veline degli stati maggiori. Siamo ad un salto di qualità senza
precedenti.
Lo status di guerra permanente sta consumando la democrazia occidentale,
oltre che la vita di migliaia di civili iracheni. Censure avvengono
sempre più frequenti negli Usa che fu patria della libertà di stampa.
Autocensure da tempo caratterizzano l'informazione di guerra nel nostro
Paese.
Per non parlare dei giornalisti "arruolati", gli "embedded", del tutto
funzionali alla macchina propagandistica militare. Si rinuncia alla
democrazia in nome della lotta ai nemici della democrazia.
L'indipendenza e la libertà di informazione subiscono un altro colpo
mortale, dopo i danni prodotti dalle conseguenze di quel conflitto di
interessi che non ha pari in altri paesi occidentali e che consegna
nelle mani del presidente del consiglio il controllo di gran parte dei
mezzi di informazione del nostro paese.
Bisogna reagire, con determinazione. La libertà di informazione, il
diritto ad informare ed essere informati, previsti dalla nostra
Costituzione, vanno riaffermati e salvaguardati. E' una battaglia che ci
riguarda tutti, è una questione di democrazia.
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