Associazione Arci
Città Futura
Venerdì 10 dicembre ore 20,45
Sala Tom Benetollo
Corso Torino 46
AFRICA NERA TRA MONDO MAGICO E MODERNITA'
LA CRISI DELLA COSTA D'AVORIO
Introduce il prof. Marco Giannesini
Karamoko Ouattara
intervista
Enzo Barnabà
autore del libro
"Dietro il Sahara"
Dietro il Sahara. Africa nera tra mondo magico e modernità - Enzo Barnabà
Philobiblon - Ventimiglia 2004
pp. 116 - 10.00
Sono cronache che hanno il sapore della vita in presa diretta gli otto
racconti di Enzo Barnabà, Dietro il Sahara. Africa nera tra mondo magico e
modernità, pubblicati dalla casa editrice ligure Philobiblon. Essi nascono,
infatti, dall'esperienza dell'autore che in Costa d'Avorio ha svolto la
duplice funzione di insegnante all'università di Abidjan e di addetto
culturale presso l'ambasciata italiana e che, dunque, può offrire al
lettore una reale profusione di sensazioni oggettive - senza dimenticare di
lasciare intravedere silenzi e sensi di vuoto - in un luogo, l'Africa nera,
in cui gli elementi dominanti sono i volti nuovi, le usanze differenti, le
parole dal sapore sconosciuto. Barnabà sa intonare la voce e dare il via a
un susseguirsi di episodi che girano intorno a se stessi sino a diventare
una storia: quella della quotidianità di persone che vivono in precario
equilibrio tra magia e razionalità, tradizioni e innovazioni. «Il tarchiato
e pingue» Gnamidjo, indeciso se lasciare la sua attività all'aeroporto di
Abidjan, perché iniziato, o rimanere in città e ignorare la possibile
maledizione del Poro; l'ebriè Chantal, seducente diciannovenne che
abbandona il ricco commerciante in boubou ricamato perché non le ha pagato
l'abbonamento al telefonino; Lilì, negretta tutta pepe con gli occhi a
mandorla che, dopo la scomparsa del padre, crede di essere protetta dal
genio del fiume , son solo alcuni dei personaggi che popolano queste
pagine. Barnabà li osserva con occhi disincantati ora trascinando i piedi
annoiato, ora rimuginando senza prenderli troppo sul serio, lasciandosi
anche coinvolgere in qualche occasione ma sempre con quel divertito
distacco che gli impedisce di perdersi anche se, magari, lo desidererebbe.
Racconto dopo racconto, egli compone così lo straordinario mosaico di una
civiltà che, nel mondo globalizzato, fatica a sopravvivere e per la quale,
con lucidità e ironia, diffida dai luoghi comuni perché in Africa
l'indomani è illeggibile, sospeso al filo della precarietà (come non
ricordare il nome di V. S. Naipaul?). Ogni narrazione è un viaggio per
scoprire nuove terre e spazi impensati: spiagge finissime disseminate di
alberi di cocco, fitte selve di palme, nidi costruiti da uccelli tessitori
ma anche piantagioni di caffè e di cacao che producono valuta pregiata ,
moscerini e zanzare. Dettagli, composizioni pittoriche, tonalità che
mettono in risalto l'umore di ogni luogo, così come è sedimentato nel
nostro immaginario o come lo descrivono il cinema e la letteratura, fanno
da eco a un viaggio intimo ed evocativo che non dimentica la presa di
contatto il reale:
Mentre stavo immerso in quell'acqua tiepida ed apparentemente immacolata,
un alito di vento venne a smuovere le foglie delle palme mettendone in
mostra le diverse sfumature di verde che fino a quel momento erano state
come cancellate dall'azzurro denso dell'aria. Mi venne in mente una frase
di Alberto Moravia trovata nella sua raccolta di articoli sull'Africa che
avevo iniziato a leggere da poco: "Mi dico che chi non ha visto il sole
scintillare, abbagliante, sulle foglie in cima alle palme, nel momento in
cui il vento le rovescia all'indietro, non sa cosa sia la felicità" (p. 67);
Nel pomeriggio, andiamo a vedere un ponte di liane costruito ("in una sola
notte", tiene a precisare la mia accompagnatrice) dai geni del fiume che ne
curano la manutenzione. È' incredibilmente lungo, sospeso su una gola degna
della scenografia di un vecchio film di Tarzan (p. 84).
Lo scenario che Barnabà descrive è, quindi, una realtà genuina a cui il
lettore crede e di cui vorrebbe sapere di più. Da qui la curiosità che lo
fa andare avanti nella lettura e gli fa vincere l'inevitabile sensazione di
estraneità che, talvolta, lo assale; da qui il merito a una casa editrice
che ha creduto nella spontaneità di un narrato che non consiste
nell'aneddoto ma nel riuscire ad aprire una dimensione specifica in luoghi
e situazioni intrisi di tradizione e di storia che profumano di
trasformazione. L'Africa vissuta da Barnabà cresce nelle contraddizioni che
le sono proprie - emblematico il mussulmano Mamadou che prega davanti al
Crocifisso - con la speranza di un domani migliore perché se in Occidente è
l'ultima a morire, in Africa la speranza non muore mai. Proprio mai .
Una gradevole lettura, dunque, ma anche altro. Come ha rilevato Piersandro
Pallavicini su "Pulp", si tratta di un libro che "può far compiere un passo
verso la conoscenza per tanti italiani (e per tanti africani in Italia) che
la strada della vicendevole comprensione per non parlare di quella
dell'integrazione non solo non l'hanno intrapresa, ma nemmeno sanno da
dove parta".
Commento di
Mara Pardini
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