[Incontrotempo] Da Liberazione: Riunione di redazione con di…

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Autor: merrok@inventati.org
Data:  
Assumpte: [Incontrotempo] Da Liberazione: Riunione di redazione con disobbedienti
Liberazione
04-Dicembre-2004       


Riunione
di redazione
con
disobbedienti
di Piero Sansonetti
Il rapporto annuale del Censis dice che gli italiani hanno una paura che
supera tutte le altre: la paura di diventare poveri. Più precisamente hanno
paura che l'inflazione eroda i loro redditi, e che l'assottigliarsi dello
Stato sociale - mangiato dalle privatizzazioni - porti a un netto
peggioramento delle condizioni di vita. Cioè cancelli o renda cupo il loro
futuro. Smentendo luoghi comuni, invece, non hanno molta paura della
criminalità. Il Censis dice anche che in realtà la criminalità è in
netto aumento, mentre l'inflazione scende. Allora dobbiamo pensare che gli
italiani hanno una percezione deformata della realtà? No, hanno una
percezione giusta. Il dato tecnico sull'inflazione - inchiodata sotto il 2
per cento - è, appunto, un dato puramente tecnico, legato alla riduzione
dei consumi, al contenimento del costo del lavoro e alla recessione. Non
segnala un abbassamento dei prezzi ma un peggioramento della vita. Tutte le
ricerche economiche e sociologiche dicono che il costo della vita è
aumentato vertiginosamente in questi anni, ed è destinato ad aumentare
ancora. Cerchiamo di capire il perché: se in una famiglia di quattro
persone lavoravano in due, e poi una di queste due persone perde il lavoro,
e dunque le entrate si dimezzano, è inutile andargli a raccontare che il
prezzo delle mele è inchiodato a un euro: per loro il prezzo delle mele è
raddoppiato. E se un lavoratore precario l'altr'anno aveva lavorato per
dieci mesi, e quest'anno lavora per sette o otto mesi, per lui l'inflazione
vera è del 40 o del 50 per cento, non del due per cento, perché è
peggiorato del 40 o del 50 per cento il rapporto tra suo reddito e prezzi.

Abbiamo ricevuto queste notizie sul rapporto del Censis dalle agenzie, ieri
mattina, mentre facevamo la riunione di redazione. E le abbiamo commentate e
discusse tra noi, come facciamo ogni mattina quando ci arrivano le notizie.
Ieri però era una riunione un po' speciale, perchè avevamo invitato cinque
ragazzi - studenti e precari dell'Università di Roma - che il 6 novembre
erano stati tra i protagonisti della famosa spesa autoridotta al
supermercato Panorama e poi da Feltrinelli.

Diciamo che avevamo invitato quei disobbedienti estremisti feroci che
secondo Gianpaolo Pansa vorrebbero precipitare l'Italia negli anni di piombo
e di sangue. A noi non sono sembrati molto feroci. Sorridevano e
pronunciavano frasi non tutte necessariamente condivisibili, ma tutte molto
ragionevoli. E anche abbastanza profonde. I nostri cinque amici si chiamano
Vanessa, Serena, Francesco, Alberto e di nuovo Francesco. Abbiamo parlato
con loro di questo rapporto del Censis, abbiamo parlato del precariato, del
movimento operaio e delle nuove figure sociali emergenti, abbiamo parlato
del rapporto tra movimenti e partiti, abbiamo parlato di linguaggi della
comunicazione e della ricerca politica (e di riforma di questi linguaggi), e
poi abbiamo parlato di bisogni, desideri e felicità. Sono argomenti molto
diversi tra loro ma si tengono tutti insieme perché riguardano gli stessi
problemi: cosa fare, come pensare, come capire il mondo che cambia, quale
via politica prendere. Il rapporto del Censis - ci siamo detti - pone a
tutti noi una questione piuttosto grande e complicata: quale rapporto c'è
tra l'organizzazione sociale ed economica di una società e la possibilità
di avere un futuro, una speranza, un sogno che ci permetta di vivere con
ottimismo? Francesco e Serena hanno posto la questione - altissima - della
felicità, come questione essenziale della vita individuale e collettiva,
pubblica e privata. Vanessa ha detto che generalmente i movimenti si
occupano dei desideri e tengono sullo sfondo il tema della felicità, mentre
i partiti si occupano dei bisogni, e anche loro tengono sullo sfondo la
questione della felicità. E ha detto che così è sbagliato. I movimenti
devono occuparsi anche dei bisogni e i partiti anche dei desideri, e il tema
della felicità deve entrare prepotentemente nell'agenda degli uni e degli
altri. Altrimenti perdono tutti. Non ci era mai capitato di discutere in
questo modo del rapporto tra partiti e movimenti (vedendolo come una
questione di relazione tra desideri e bisogni) ma non ci è sembrato un modo
sbagliato di discutere.


E quali sono i bisogni? Francesco, e anche Alberto e Serena, ci hanno detto
che noi di "Liberazione" siamo troppo schiacciati su una vecchia idea di
movimento operaio. E che sul giornale, anche involontariamente, facciamo
sempre l'errore di vedere tutte le nuove figure sociali (i migranti e i
precari, ad esempio) come nuovi interpreti dello stesso schema e della
stessa contraddizione di sempre: quella che ha generato il movimento operaio
e gli ha dato linfa. Quella del capitalismo classico e fordista. Dicono che
noi vediamo i migranti come sostituti politico-sociali degli operai, e così
i precari, e così - per altri versi - le donne o i giovani, o i poveri, o i
mendicanti, o le prostitute, eccetera.

Loro dicono che non funziona. E allora che dobbiamo fare? Hanno inventato
una parola che non conoscevamo (e che non sta nello Zingarelli) ma che è
piaciuta a tuti noi. Ci hanno detto: "Inchiestate". Inchiestate i precari,
scoprite chi sono, cosa pensano, cosa sognano, come vivono, quale muscia
ascoltano, quanto guadagnano, quanto spendono, cosa serve loro, che rapporti
hanno coi giornali, coi partiti, con la scuola, con la famiglia, con le
istituzioni, con il sacro, con l'egoismo, con il corporativismo. Scoprite
quanto sono rivoluzionari e quanto sono maledettamente conservatori ed
egoisti. Raccontateceli. Non accontentatevi di immaginarli come semplici
operai in sedicesimo, perché non sono così: e scommettete su di loro.
"Inchiestate" quella commessa di Panorama che non ci voleva dare la merce
scontata, e la difendeva quasi fosse sua, ed era attaccata alla azienda (che
la sfrutta) e agli interessi della azienda quasi fosse la sua famiglia e la
sua vita: "inchiestatela", scoprite perché si comportà così.

Francesco a un certo punto ha tirato fuori anche il vecchio linguaggio
marxista, e ci ha detto: «Dobbiamo scoprire come si forma la coscienza di
classe nel precariato». Però ci ha spiegato che usava quel linguaggio solo
per farsi capire da noi.

Naturalmente con i nostri giovani amici abbiamo discusso anche della spesa
autoridotta del sei novembre. Loro hanno difeso la scelta di quel gesto di
protesta, però hanno ammesso che si poteva fare meglio. Hanno negato che in
quel gesto ci fosse la minima carica violenta. Qualcuno di noi gli ha dato
ragione piena, qualcuno gli ha dato torto, qualcuno un po' di ragione un po'
no.


La riunione di redazione è durata il doppio delle normali riunioni di
redazione. Abbiamo parlato anche della manifestazione di oggi dei migranti,
e abbiamo deciso di dedicare la copertina del giornale a loro. Ci hanno
suggerito di andarci a cercare alcune pagine di Annah Arendt del 1943 sul
senso filosofico della condizione di "rifugiato", sui diritti del
"rifugiato" e sui diritti di tutti contrapposti ai privilegi di alcuni.

Poi sono andati via. Sono tornati nei locali di via dei Reti, a Roma, nel
quartiere San Lorenzo, che hanno occupato tre giorni fa e dove ieri hanno
presentato un libro fotografico di Tano D'Amico. Erano locali abbandonati e
nessuno sa a chi appartengono. In questi locali ora c'è l'Esc, che è una
sigla che ricorda l'"esc" delle tastiere dei computer, e quell'esc dei
computer sta per "escape", fuggi via, esci. Il loro esc invece è una sigla
che indica tre parole: Eccedi, Sottrai, Crea. Però non prendeteli alla
lettera.

Piero Sansonetti


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