[Incontrotempo] rassegna stampa case

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Autore: rafael@acrobax.org
Data:  
Oggetto: [Incontrotempo] rassegna stampa case


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/17-Novembre-2004/art57.html


La capitale dei senza casa
Affitti alle stelle, sfratti e sgomberi. Nella capitale 400 mila persone a
rischio. Il comune: 13 mila nuovi appartamenti e canone sociale
ANGELO MASTRANDREA
ROMA
Inumeri parlano di una vera e propria emergenza sociale, un bubbone che potrebbe
esplodere da un momento all'altro con conseguenze difficili da prevedere e che
la sostanziale tolleranza (ma con qualche eccezione) nei confronti delle
occupazioni e le continue proroghe degli sfratti riescono provvisoriamente ad
arginare. E configurano la città di Roma come la capitale italiana anche dei
senza casa. Cinquemila senzatetto, 15 mila inquilini già sfrattati o con
provvedimento esecutivo, 4 mila occupanti di case, singoli o organizzati. A
questi andranno aggiunti i 70 mila «nuclei», cioè intere famiglie o single,
cosiddetti «cartolarizzati», vale a dire gli affittuari delle case degli enti
pubblici che saranno messe in vendita, molti dei quali non hanno la possibilità
di esercitare il diritto di prelazione sull'acquisto e che quindi saranno
gettati in pasto a un mercato dai prezzi ancora di più fuori portata. Secondo
l'Agenzia per i diritti Action l'aumento medio degli affitti, nel solo 2003,
del 60%, a fronte di una crescita zero dei salari e del processo continuo di
precarizzazione dei rapporti di lavoro, in particolare tra i giovani, ha fatto
sì che circa 400 mila famiglie fossero escluse di fatto dal mercato degli
affitti. «Calcoliamo che in media l'incidenza del canone sul reddito è del 50%,
una percentuale che nelle fasce basse della popolazione arriva fino al 70%»,
dice Guido Lanciano dell'Unione inquilini. Il che vuol dire, secondo i calcoli
dell'associazione Ares 2000, che una famiglia monoreddito con una retribuzione
media mensile di 1.800 euro, volendo affittare un appartamento di 80-90 metri
quadri nemmeno al centro di Roma, si troverebbe a dover vivere con appena 340
euro al mese. Numeri che spiegano come sia possibile che ci sia chi decida di
occupare una casa semplicemente per riappropriarsi di una fetta consistente del
suo reddito e non perché non possa permettersi di pagare un affitto. «A noi non
piace parlare di nuove povertà come fa il comune di Roma, piuttosto di nuove
precarietà», dice Raphael, attivista del Laboratorio occupato Acrobax, che sta
nel Coordinamento di lotta per la casa ed è tra i promotori della
manifestazione del precariato sociale dello scorso 6 novembre nella capitale,
quella che chiedeva «reddito per tutti guerra per nessuno». Una precarietà
figlia delle politiche neoliberiste del governo Berlusconi e parente stretta
anche di qualche «riforma» ulivista, e che non è soltanto lavorativa ma più
esattamente esistenziale. E' per questo che qualche giorno fa l'assessore alla
casa Claudio Minelli ha scritto al sindaco Veltroni, lanciando l'allarme in
vista delle cartolarizzazioni, e che anche il prefetto Serra arriva a chiedere
«gradualità» ai magistrati che sollecitano sgomberi come quello di una
settimana fa a una palazzina occupata da Action, in tutto 21 famiglie quasi
tutte immigrate, a via Vercelli. «E' impensabile buttare fuori di casa tanta
gente insieme, qui siamo di fronte a un problema di ordine sociale», sostiene
Achille Serra.

Con le elezioni regionali alle porte, è evidente che un tema così grosso e che
coinvolge così tanti votanti diventi un cavallo di battaglia facile da
cavalcare, e che la destra utilizza per sparare addosso alla giunta Veltroni e
ai centri sociali «che occupano palazzi e strutture pubbliche per poi trattare
con gli enti pubblici circa l'utilizzo di tali immobili», come dice il
capogruppo di An alla provincia Piergiorgio Benvenuti, dimenticando che a Roma
esistono occupazioni, come Casa Pound nel quartiere Esquilino, esplicitamente
«di destra». E sui muri della città compaiono addirittura manifesti dell'Udc
che parlano di «diritto alla casa». La giunta comunale, dal canto suo, ha
approvato una delibera che chiede di «programmare almeno ulteriori 13 mila
alloggi da realizzare in forme diversificate (recuperi, densificazioni,
modifiche di destinazioni d'uso, nuove aree)», una «sanatoria degli alloggi
comunali occupati abusivamente entro il 31 dicembre 2003, in possesso dei
requisiti Erp e previo pagamento delle morosità pregresse», il pagamento di un
canone concordato, d'accordo con i privati e con l'intervento del comune, forme
di sostegno per i cartolarizzati, nonché di dichiarare il comune di Roma «libero
da sfratti». I diversi movimenti di lotta per la casa stanno preparando degli
emendamenti comuni e il 22 novembre incontreranno l'amministrazione. «Vorremmo
che facessero pressioni sulle proprietà per destinare una parte del patrimonio
immobiliare inutilizzato a emergenza abitativa», dice il disobbediente Guido
Lutrario. Anche perché c'è il sospetto che la costruzione di nuove case
popolari possa essere «una ghiotta opportunità» per i costruttori di
stravolgere il piano regolatore.



http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/17-Novembre-2004/art58.html



In centinaia occupano l'ex manicomio
Immigrati ma anche tanti romani in due padiglioni del Santa Maria della Pietà
A. MAS.
ROMA
«Qualcuno si è mai chiesto quante persone hanno dovuto rinunciare al mutuo che
stavano pagando per la casa perché hanno perso il lavoro?» La domanda ci assale
mentre entriamo nell'ultima occupazione, in ordine di tempo, a Roma. E' domenica
mattina quando una cinquantina di famiglie, sostenute da un pugno di attivisti
di Action e del Coordinamento di lotta per la casa, si stabiliscono in due
padiglioni dell'ex manicomio Santa Maria della Pietà, già ristrutturati con i
fondi per il Giubileo per farne degli ostelli e da allora praticamente
inutilizzati. Nel padiglione di Action entrano le 21 tra famiglie e single, in
particolare immigrati, sgomberati una settimana prima da una palazzina in via
Vercelli, nell'altro la maggioranza degli occupanti, in tutto 24 «nuclei», è
invece italiana. Meglio, del quartiere di Primavalle, periferia nord della
capitale. E' qui che puoi incontrare chi ti racconta come una banca possa
prendersi la casa perché non hai più i mezzi per onorare il mutuo, o come se
sei un lavoratore precario sia praticamente impossibile riuscire addirittura a
ottenerlo, il mutuo. Gente come Antonio, pensionato, che si dice «fortunato
perché ho lavorato e ho almeno la pensione» e che si dichiara, «come si dice in
Argentina?», desaparecido, perché «se mi fanno una multa dove me la mandano?». O
come Simone, moglie e due figli piccoli, un anno in un'altra occupazione fino
allo sgombero: «Ho fatto domanda al comune da quattro anni ma senza risposte.
Stiamo qua e combattiamo finché non si troverà una soluzione». Fabio invece è
un single, lavora per una cooperativa sociale e racconta come sia
«improponibile pagare un affitto a meno che non si voglia condividere la casa
con altre persone, come ho fatto in passato». La direzione dell'Asl ha tagliato
la corrente elettrica per indurre gli occupanti ad andar via, e anche i
termosifoni rimangono rigorosamente spenti. Ma loro rilanciano chiedendo un
incontro al presidente della regione Storace e scagliandosi contro la ventilata
cessione dei padiglioni «per fare cassa». «Da anni ci battiamo per l'utilizzo di
queste strutture per uso sociale, abbiamo anche avviato una raccolta di firme
per chiedere al comune di acquisirli dall'Asl», dice Claudio, tra i «gestori»
di un terzo padiglione già occupato da tempo, la «ex lavanderia».


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/17-Novembre-2004/art59.html



AFFITTI
Il canone impossibile
A Venezia, Roma e Milano i prezzi più alti. Costo medio per un appartamento 1250
euro al mese. Bari la città meno cara
I.VA.
Quanto costa un affitto? Costa un sacco di botte, avrebbe risposto in musica -
qualche anno fa - Lucio Dalla. E di fatto è ancora così. I dati forniti dal
Sunia - e riguardanti le aree metropolitane di Bari, Bologna, Catania, Firenze,
Genova, Milano, Napoli, Roma, Torino e Venezia - sono, infatti, disarmanti: il
canone medio generale si aggira intorno ai 1.025,76 euro mensili mentre le
differenze tra centro, semicentro e periferia tendono a farsi sempre più
irrisorie. Ad alzare i prezzi, basta che sia vicina la stazione di una
metropolitana, ancorché situata nella borgata più remota. I canoni maggiori si
rilevano a Venezia (1.503 euro), Milano (1.311) e Roma (1.257). Superiori a
mille euro sono pure gli affitti richiesti a Firenze e Bologna mentre canoni
inferiori si registrano a Napoli, Catania, Genova e Torino. Con 611,60 euro
mensili, Bari detiene - per il momento - il primato degli affitti più bassi. Ma
i dati del Sunia spiegano assai meglio di mille populistici discorsi quanto
l'affitto incida sul reddito: escluse dal mercato risultano per esempio le
famiglie con redditi minimi, quelle che campano con pensioni di 570 euro
mensili. Ai pensionati - specie se soli - non è dato avere una casa.

Non se la passano meglio le famiglie a reddito basso, quelle che riescono a
sbarcare il lunario grazie a due pensioni minime o ad un reddito da lavoro
dipendente (pari a circa 1.170 euro al mese). Per loro l'affitto incide sul
reddito del 40% nel caso si sacrifichino ad abitare in un monolocale e arrivano
al 63% e 73% nel caso in cui decidano di abitare in bilocali o trilocali. Quanto
a «tagli» più grandi, neanche a pensarci: l'affitto mangerebbe loro circa il 90%
dello stipendio. L'esempio potrebbe essere quello di un insegnante. A piccoli
appartamenti possono aspirare, invece, le famiglie a reddito medio, quelle che
riescono a guadagnare intorno ai 1.700 euro al mese. Anche per loro, comunque,
l'incidenza dell'affitto sul reddito si aggira intorno al 30%.

Liquidata la fascia delle nuove povertà, si scopre però che anche famiglie con
redditi medio-alti (2.300 euro al mese) possono semplicemente limitarsi a
sopportare il canone di monolocali e bilocoli (con un'incidenza che va dal 30
al 32%) mentre la percentuale aumenta (dal 37 al 57%) per tipologie medie o
grandi. Non di famiglie ricche si tratta, ma di quei nuclei familiari in cui
entrano due «semplici» stipendi da lavoro dipendente.