Carissim*,
questa volta non sono proprio d'accordo con Riccardo. Sulle sue
valutazioni, sul suo giudizio sul movimento, che non ci sarebbe, e sul
merito dell'iniziativa dei disobbedienti. Ovviamente non condivido
neanche l'editoriale moralistico di Sansonetti su Liberazione e il
giudizio che esprime Bertinotti sull'iniziativa. Ma ognuno è libero di
pensare quello che vuole, purché -come dice persona con cui nel 90% dei
casi sono in disaccordo (Casarini)- proponga altrernative,
nell'immediato senza rimandi ad altro. L'unica cosa che mi dà un po'
fastidio nell'esproprio romano è il protagonismo dei leader - ma chi non
lo ha criticato mai prima e che si riscopre antileninista e
antidalemiano, sull'argomento è meglio che taccia, giova a lui e anche a
noi. Ma veniamo a come, nel mio stato d'animo, vivo le critiche ai
disobbedienti. Due settimane fa i nodi debitori del mio disperato conto
in banca sono venuti al pettine, mi ha convocato il direttore e potrete
immaginnare tutto il tragico seguito - è storia comune anche se
inconfessata di molti -. Sul momento ho pensato, ma guarda che
rivoluzionario del cazzo che sono, penso all'abolizione della proprietà
privata, alla distruzione delle banche e poi mi faccio prendere per il
culo da sto stronzo. Ebbene mi fa piacere che qualcuno cominci a
praticare l'obiettivo, a redistribuire ricchezze: sarà esibizionista e
un po' stronzo, come Casarini e D'Erme senza dubbio sono, ma se quindici
giorni fà fosse venuto in mente a me magari avrei rapinato io la banca,
invece di farmi rapinare da essa. Del resto un noto drammaturgo tedesco
del secolo scorso, pur non essendo d'accordo con le rapine, non
condannava forse il moralismo piccolo borghese dicendo che "la rapina di
una banca è nulla a fronte della sua fondazione"? Ma la stampa la legge
in altro modo, dice qualcuno. Le legga come gli pare, noi dobbiamo
leggerla e leggerla alla gente nel quotidiano della politica e della
vita nella maniera giusta, anche questo è fare politica. Per il resto
provo un po' d'invidia per i disobbedienti, quando ricordo un 12
dicembre degli anni '70 a Milano, la mia compagna perse le scarpe andai
all'UPIM a comprarle, ma nessuno comprava, perché dovevo comprare io?,
poi al bar, provo a pagare il caffè e il barista che mi dice "Ma sei
scemo?", allora fuori per strada a passare ai compagni i panettoni di
Motta, prelevati dal omonimo negozio non violentemente spaccato. Il
tutto festosamente e con gioia, quella leggibile negli occhi della
massaia romana benficiata dai disobbedienti, ma forse - e me ne
rammarrico - non negli occhi e nell'animo dei disobbedienti.