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antonio

Commentando la sconfitta di John Kerry non possono non venire a mente le
parole di Tocqueville quando recita "Se in luogo di tutte le varie potenze che impedirono o ritardarono lo slancio della ragione umana, i popoli democratici sostituissero il potere assoluto della maggioranza, il male non avrebbe fatto che cambiare carattere". Sono passi de La democrazia in America e, letti nel novembre 2004 dopo il supermartedi' elettorale, sembrano proprio dischiudere un significato sinistro.

E questo perchè, lungi dall'essere ottenuta con sistemi plebiscitari da Grande Fratello, la vittoria di Bush avviene in seguito ad un aumento della percentuale dei votanti grazie a un sistema di mobilitazione from below dello schieramento repubblicano speculare e persino di maggior forza rispetto a quello dell'avversario democratico.

L'insegnamento qui è chiaro anzi cristallino: non solo la democrazia ma anche la mobilitazione dal basso non sono garanzia in sè di un risultato elettorale che premi soluzioni egualitarie. Non è che sia la prima volta nella storia politica, ci sono esempi anche più sinistri, ma questo sembra proprio colpire al cuore il feticcio habermasiano della procedura mobilitante dell'agire comunicativo rispettoso, a sua volta, della procedura elettorale e rispettato negli spazi dell'advertising e dei dibattiti mediali. Feticcio che giova ricordare, sotto consapevoli o rielaborate spoglie, ha volteggiato dalla stagione di Seattle ad oggi come soluzione non solo alla mancanza di legittimazione delle società postindustriali ma anche al loro difettare di giustizia sostanziale.



Insomma, un risultato proceduralmente corretto, sia sul piano formale che della partecipazione informale, produce una iniezione di consenso ad una lobby texano-planetaria del petrolio che si trova a gestire lo stato federale americano con quasi gli stessi uomini, e sicuramente con lo stesso metodo (il massimo e nichilistico profitto) del fondo Carlyle di cui è comproprietaria. Una eutanasia della democrazia a favore della salute del rentier ottenuta con mezzi democratici, non c'è che dire.



In questo senso anche una lettura tocquevilliana della Democrazia in America ne esce male. Infatti proprio Tocqueville afferma



"Se cerco di immaginare il dispotismo moderno, vedo una folla smisurata di esseri simili ed eguali"



Altro che "esseri eguali" qui sii può dire tutto della democrazia americana attuale meno che non sia una democrazia della differenza. Vi convivono e usano lo stesso sistema elettorale, le procedure di mobilitazione from below, gli spazi elettorali culture che vanno dal pre al postmoderno, con numeri e capacità di mobilitazione non indifferenti per ogni "minoranza". Ecco che il dispotismo della maggioranza mostra i suoi effetti più sinistri, e su scala globale, in una democrazia della differenza.

Che sia l'ora di un nuovo vestito epistemologico per il concetto di eguaglianza ?

mcs






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