[Cerchio] Sinistra amara intorno all'Uruguay in festa

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Author: clochard
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Subject: [Cerchio] Sinistra amara intorno all'Uruguay in festa
TAVOLA ROTONDA CON JAMES PETRAS E RICARDO ANTUNES-Contropiano

D - Partiamo da un bilancio delle esperienze della sinistra latinoamericana
giunta al governo negli ultimi anni.
Petras - Per iniziare con gli aspetti positivi credo dobbiamo citare
l'esperienza del Presidente Chavez in Venezuela che ha iniziato con un
governo molto moderato ma assai progressista nelle espressioni politiche
internazionali come ad esempio a favore dell'OPEC o delle relazioni con Cuba
e con un gran conflitto con la politica "antiterrorista" degli Usa, che in
realtà è una politica di "terrorismo di Stato".
Contro il governo Chavez e le sue resistenze nei confronti dell'ALCA gli USA
hanno tentato di attuare un colpo di Stato e da quel momento il governo
Chavez ha operato una svolta ancora più progressista, divenendo più
indipendente e introducendo programmi di riforme sociali miranti a
rafforzare lo stato sociale e i legami con le classi popolari contro
l'Imperialismo.
Invece il caso di Lula rappresenta una grande sconfitta per la sinistra e il
movimento operaio, avendo adottato politiche neoliberiste. Lo stesso è
accaduto con Lucio Gutierrez in Ecuador, che per una certa fase la sinistra
ha sperato potesse produrre cambiamenti positivi col suo governo alleato con
movimenti indigeni. Al contrario oggi la sua politica è di destra.
I movimenti politici e sociali hanno fatto dei passi avanti nella negazione,
nella lotta contro misure liberali e proimperialiste, riuscendo ad opporvisi
o addirittura a sconfiggere e cacciare dei governi, ma senza riuscire a
instaurare una forma di governo propria.
I movimenti popolari arrivano con la lotta alle porte del potere ma poi
formano coalizioni elettorali che diluiscono la forza di questi movimenti
costretti a retrocedere fino a doversi scontrare con il nuovo potere e
ricominciare quindi tutto da capo. Comunque le lotte di massa non hanno
ancora sofferto nessuna sconfitta storica come nel Brasile del 1964 o
nell'Argentina del 1976. Abbiamo subito delle sconfitte tattiche a livello
politico ma non di carattere storico a livello sociale.
D - Antunes, essendo brasiliano ti chiediamo un commento più specifico sul
tuo paese.
Antunes - La vittoria di Lula nel 2002 aveva suscitato una speranza enorme
in America Latina, e un anno e mezzo dopo si può ormai dire che il Governo
del PT non ha operato una discontinuità, una rottura con il neoliberismo
bensì una continuità, aderendo ai diktat del FMI, garantendo gli interessi
del sistema finanziario internazionale. Non è un caso che il settore più
contento della politica di Lula sia quello delle banche.
Lula non si è scontrato con l'ALCA ma ha cercato di contrattare con gli USA
una "ALCA light", leggero, quando invece il Brasile insieme al Venezuela e
ad altri paesi dell'America Latina avrebbe potuto costituire un forte
movimento di opposizione frontale. Lula intrattiene sì buone relazioni con
Chavez e Fidel ma anche con Bush, cercando di accreditarsi come l'ago della
bilancia di tutta l'America Latina.
Un altro esempio: se nella sua storia il PT era sempre stato contrario agli
ogm l'anno scorso il suo governo ne ha liberalizzato il commercio e ciò
colpirà duramente sia la nostra produzione agricola che il nostro ambiente
naturale.
La privatizzazione della previdenza pubblica è un altro esempio della
capitolazione del PT che fin dalla sua nascita era stato sempre contrario,
opponendosi alla tassazione delle pensioni. Invece che fa il governo Lula
appena dopo 4 mesi dopo la vittoria? Impone al Congresso una politica di
distruzione della previdenza pubblica incentivando i fondi privati e quindi
il sistema finanziario e i sindacati moderati e concertativi ad assaltare
gli ex fondi pensionistici pubblici. Oggi il salario minimo in Brasile è di
soli 80 dollari, tra i più bassi dell'America Latina.
In realtà il mandato di Lula è il terzo mandato di Fernando Henrique
Cardoso!
Tutto ciò è una tragedia perché priva l'America Latina dell'opportunità di
un cambiamento radicale in un paese fondamentale. Lula si immagina come un
paladino all'interno del neoliberismo ma senza sviluppare nessuna politica
di opposizione. Ma la situazione in Brasile non è quella degli anni '80 o
'90, che sono stati gli anni della "desertificazione neoliberista"
attraverso la privatizzazione della cosa pubblica, la precarizzazione del
lavoro.
Una conseguenza di quel periodo è che su un totale di 78 milioni di persone
che costituiscono la popolazione economicamente attiva quasi il 60% sono
lavoratori precari e informali. Le principali capitali brasiliane come San
Paolo o Rio de Janeiro hanno un tasso di disoccupazione superiore al 20%. A
San Paolo i disoccupati sono più di due milioni, tre se si considera l'area
metropolitana.
Alla fine degli anni '90 è cresciuto lo scontento popolare e il disincanto
si è trasformato in mobilitazione contro il Neoliberismo. In Argentina ad
esempio nel 2001 il movimento popolare ha cacciato De la Rua e adesso al
governo c'è Kirchner che ha garantito una certa stabilità indebolendo la
ribellione sociale. In Bolivia c'è stata una ribellione popolare enorme
contro il Governo pochi mesi fa. Ma il problema dell'America Latina è anche
il problema della sinistra europea; i forti movimenti sociali vengono
canalizzati e disarmati attraverso la lotta istituzionale.
Il PT nacque come partito socialista votato alla mobilitazione sociale ma
con gli anni ha abbandonato la politica di classe per trasformarsi in un
partito istituzionale e elettoralista. O, per dirla come Marx, "un partito
all'interno dell'ordine". Per conquistare il potere il PT si è alleato prima
con le forze di centro e adesso addirittura con quelle di destra. In Bolivia
c'è stata una ribellione sociale che però si è conclusa premiando il
Vicepresidente del Governo che si combatteva. La Colombia è un paese diviso
con la presenza di una guerriglia assai importante; c'è la eroica resistenza
di Cuba che dura da 45 anni. Poi c'è il governo dell'Ecuador nato da una
vittoria popolare ma poi sottomessosi agli obiettivi del neoliberismo.
Gli ultimi mesi mostrano un'erosione importante del consenso popolare nei
confronti del governo e della figura di Lula, di cui approfitta la destra
per ricattare ancora di più il PT.

D - Ormai la continuità di Lula rispetto ai governi precedenti è molto
chiara. Ma Lula ancora gode di una forte popolarità perché è considerato un
paladino dei cosiddetti paesi emergenti. Si può dire che la politica estera
di Lula e la sua alleanza con Kirchner rispetto al FMI, insieme
all'opposizione alla guerra, stiano coprendo a sinistra la mancanza di
riforme sociali e di una rottura con il neoliberismo, costituendo la
giustificazione addotta da molte forze politiche e sociali internazionali
per poter continuare ad appoggiare il governo del PT?
Antunes - Su questo punto la politica del PT sembra progressista ma in
realtà non lo è affatto. Il governo ha deciso di non scontrarsi con gli
Stati Uniti, la sua è una politica di negoziato con tutti i paesi
latinoamericani ma sempre all'interno del quadro stabilito dagli USA. Quando
l'Argentina qualche mese fa decise di non pagare il debito estero al FMI
Lula non appoggiò Kirchner.
La politica estera del PT non mira al consolidamento di un blocco di paesi
emergenti, ma a portarli all'interno di un processo di globalizzazione più
soft. Ma la situazione dei paesi emergenti attaccati dalla globalizzazione è
la barbarie. Rispetto all'ALCA il Brasile non si oppone risolutamente come
potrebbe. Rispetto alla guerra contro l'Iraq, invece, Lula dice
semplicemente che è stata innecessaria! La politica estera del PT di
concertazione con gli Stati Uniti dentro la globalizzazione non solo è
sbagliata ma è anche destinata al fallimento.

Petras - Il Brasile manda truppe ad Haiti per appoggiare l'invasione
statunitense. Secondo: il Brasile prende l'iniziativa con l'appoggio degli
Stati Uniti, di formare un gruppo di paesi malamente denominato degli "amici
del Venezuela" in realtà pieno di nemici del Venezuela come Aznar, Fox del
Messico, Lagos del Cile, e con gli stessi USA, escludendo invece Cuba o
altri paesi che potrebbero avere un ruolo almeno più neutrale.
Sull'ALCA la critica del Brasile agli USA si basa su una posizione ancora
più liberista di quella di Washington. La critica è che gli Stati Uniti
stanno proteggendo alcune loro produzioni agricole, penalizzando quindi le
esportazioni delle produzioni brasiliane come il succo di arancia, il
cotone, lo zucchero. Lula dice apertamente che se gli Usa rinunciassero al
protezionismo sarebbe d'accordo con la filosofia dell'ALCA. Da questo punto
di vista il Brasile ha abbandonato una tradizione storica che durava da 70
anni a partire dal Presidente Vargas, passando per governi borghesi e
addirittura militari che mantenevano una distanza nei confronti degli USA.
Cardoso prima e poi Lula hanno stravolto la tradizione politica del Brasile
che mai è stato un paese liberista neanche sotto le dittature militari, e
che invece manteneva nelle mani dello Stato settori fondamentali
dell'economia come quelli l'energia e le manifatture. Oggi questi settori
sono stati totalmente regalati agli Stati Uniti, alla Spagna e ad altri
paesi europei.

D - Gli Usa hanno sempre considerato l'America Latina il proprio "patio
trasero", il cortile di casa, e attraverso l'ALCA stanno tentando di
annettere tutto il continente per formare un blocco unico da opporre ai
blocchi concorrenti, come ad esempio l'Europa. Ma l'Europa sta tentando di
inserirsi nell'economia e nella politica dell'America Latina e non è un caso
che su molte questioni esista un asse privilegiato tra UE e la coppia
Lula-Kirchner. Si può affermare che l'America Latina costituisce oggi uno
dei terreni della competizione tra Europa e USA?
Petras - Negli anni '90 il grande capitale europeo è entrato con forza in
America Latina, comprando settori interi dell'economia a partire dalle
telecomunicazioni e dall'energia, cominciando a competere col capitale USA.
Nello stesso periodo i governi proimperialisti dimostrano una incapacità
strategica di imporre la propria egemonia, durando tutti molto poco,
sconfitti dalle elezioni.
Più recentemente alcuni paesi hanno dimostrato di saper proteggere delle
enclavi economiche di primaria importanza come ad esempio le risorse
petrolifere ed energetiche in Venezuela, Ecuador, Messico, sottratte alle
mire dell'imperialismo sia europeo che statunitense. Questi tre fattori -
competizione, instabilità politica e il pericolo di perdere settori
strategici - hanno convinto gli USA a dare avvio all'ALCA. Attraverso di
esso gli USA possono ottenere una posizione privilegiata rispetto agli
europei nei confronti del Sud America; l'ALCA permette agli Usa di
controllare la macropolitica di tutto il continente evitando un'eccessiva
instabilità e permette l'acquisizione da parte degli USA delle risorse
strategiche dei vari paesi, compresi lo sfruttamento dell'Amazzonia, del
petrolio, dell'acqua.
Una differenza tra l'ALCA e l'UE è che nella formazione del blocco europeo i
principali poteri stanno finanziando enormi fondi di compensazione di
miliardi di euro per venti anni, per generare un livello medio di sviluppo
tra le varie regioni del continente. Invece per l'America Latina gli USA non
prevedono nessun fondo di compensazione, si tratta semplicemente di un salto
nell'abisso, una grande opportunità di rapina per le multinazionali
nordamericane senza alcun tipo di compensazione. In questo contesto creato
dal capitale statunitense si vogliono inserire anche gli europei, che
reclamano pari condizioni di investimento senza limiti.
Per ogni polo imperialista l'America Latina rappresenta la possibilità del
massimo dei benefici con il minimo dei costi. Il Mercosur è già morto,
perché se si analizzano le esportazioni del Brasile e dell'Argentina si vede
che esse sono per la maggior parte orientate all'esterno del Mercosur e non
all'interno. Il Brasile si rivolge soprattutto agli USA e alla Cina e
all'Europa così come all'Argentina. Il discorso sull'ampliamento del
Mercosur è puro folklore.

Antunes - Per comprendere il significato dell'ALCA bisogna considerare il
livello di competizione tra i diversi blocchi capitalisti nel sistema
globale. La Germania e la Francia e la Gran Bretagna formano l'Unione
Europea, e poi c'è l'altro polo asiatico dell'ASEAN dominato dal Giappone
che pure sta vivendo una pesante crisi. Di fronte alla forza dell'UE e alla
centralizzazione del suo capitale e della sue forze produttive per gli USA
diventa indispensabile ampliare il NAFTA formato insieme a Messico e Canada.
Dobbiamo ricordare cosa ha significato per l'economia messicana l'ingresso
nel NAFTA: l'ingresso massiccio nel mercato interno messicano delle merci
statunitensi e al tempo stesso un supersfruttamento della forza lavoro
locale - uomini, donne e bambini - all'interno delle cosiddette
maquiladoras, cioè quelle imprese che eseguono le funzioni più basse del
ciclo produttivo guidato dall'interno degli Stati Uniti. L'ALCA vuole
ottenere lo stesso risultato ma in tutta l'America Centrale e del Sud.
Nelle privatizzazioni massicce degli anni '90 in Brasile molte imprese
europee - spagnole, italiane, tedesche, francesi, inglesi - si sono
appropriate del 25% del PIL del paese, passato in poco tempo dallo stato
alle multinazionali straniere. Il Mercosur è una finzione perché è un
progetto che non ha nessuna possibilità di resistere all'ALCA soprattutto
perché manca una decisione politica forte. L'unico governo che insieme a
quello di Cuba si oppone nettamente all'ALCA perché sa che esso porterà
semplicemente ad una annessione non è quello brasiliano ma quello di Chavez
in Venezuela, che proprio per questo subisce una aggressione violenta da
parte dell'imperialismo nordamericano.

D - Per molti anni l'Europa ha appoggiato il Mercosur, che negli ultimi anni
sembrava facesse dei passi in avanti, almeno formalmente, con la decisione
di creare una moneta unica e un parlamento comune. Il fallimento del
Mercosur segna anche un fallimento della strategia europea di penetrazione
in America Latina?
Antunes - L'Europa come blocco sa che l'ALCA rappresenterà un'enorme risorsa
a disposizione degli USA nella loro competizione contro l'UE, e quindi
tenterà di giocare ogni carta per ridurre la forza dell'ALCA ma non credo
che l'UE abbia molte chance. La via attraverso la quale l'Europa mette
radici in America Latina è ancora quella dell'appropriazione di risorse
messe a disposizione dalla privatizzazione di ulteriori settori di economia
pubblica. Se 10 anni fa in Brasile il sistema bancario era controllato per
il 7% dagli stranieri e per il restante 93 dal capitale nazionale, oggi è
controllato per più del 50% da inglesi, spagnoli ecc.

D - Petras, come è cambiata la composizione di classe nella maggior parte
dei paesi dell'America Latina negli ultimi anni?
Nel tuo intervento al Seminario Internazionale della Rete dei Comunisti a
Roma parlavi del ruolo centrale delle classi contadine che invece per
qualcuno sarebbero scomparse dalla scena. I contadini si sono ridotti di
numero ma, con o senza terra, sono stati i protagonisti di tutte le rivolte
sociali degli ultimi anni in Brasile e in Bolivia. Che fine ha fatto la
classe operaia di fabbrica e ha un ruolo attivo?
Petras - Continua ad esserci una mobilitazione nelle fabbriche soprattutto
in relazione alle vertenze concrete: la lotta per l'aumento dei salari e
alcune lotte per impedire la privatizzazione delle imprese. Però la
mobilitazione operaia non va spesso al di là di queste specifiche vertenze.
Per questo se analizziamo le grandi mobilitazioni di massa degli ultimi
anni, in Argentina i grandi assenti erano proprio i sindacati metallurgici.
Ciò non vuol dire che non ci fossero i militanti delle fabbriche, ma le
organizzazioni sindacali in quanto tali mancavano nelle proteste di massa.
Durante le grandi mobilitazioni dei Sem Terra, durante l'occupazione delle
terre, di fronte ai massacri di contadini ad opera dell'esercito e dei
latifondisti, la CUT brasiliana non è in grado di mobilitare più di qualche
migliaia di quadri e funzionari. Quando furono massacrati 18 braccianti
giornalieri ci furono grandi proteste da parte dei sindacati ma non ci fu
nessuno sciopero generale o il blocco delle fabbriche. Ci fu solo una marcia
dei funzionari sindacali, anche se con tante bandiere. Questo succede anche
in Venezuela.
Buona parte dei lavoratori dell'industria petrolifera statale non hanno
partecipato al processo guidato da Chavez, anzi vi si oppone anche se adesso
si sta andando a un processo di ricomposizione di un quadro sindacale
conflittuale. L'unica eccezione è rappresentata dalla Bolivia perché qui,
quando negli anni scorsi furono chiuse le numerose miniere, migliaia di
lavoratori con una tradizione di lotta e di organizzazione sindacale
andarono a lavorare in altri settori come la coltivazione della coca o nelle
fabbriche.
Gli operai di Cochabamba o La Paz hanno partecipato alle lotte pur guidate
da altri settori. In Uruguay c'è un movimento sindacale importante che lotta
contro un 20% di disoccupazione ma è molto diviso tra un settore
concertativo e un altro combattivo che ha indetto degli scioperi generali ma
potendo contare su uno scarso appoggio del Frente Amplio, una coalizione di
partiti di sinistra che ultimamente sta virando verso il centro.
Il condizionamento del centrosinistra sui sindacati uruguayani paralizza la
loro capacità di intervenire sulla macroeconomia e li costringe a scioperi
generali quasi simbolici. In tutta l'America Latina il settore più
combattivo della classe lavoratrice non è rappresentato dagli operai di
fabbrica ma dagli impiegati pubblici: medici, maestri ecc.
In Ecuador il sindacato più combattivo era quello dei petrolieri che avevano
una grande capacità di mobilitazione ma poi appoggiarono il governo di
Gutierrez che ad un certo punto li ha emarginati dall'amministrazione; essi
hanno risposto con uno sciopero generale ma Gutierrez ha scatenato la
repressione e ha imprigionato tutta la direzione del sindacato sostituendo i
dirigenti dell'impresa petrolifera statale con i militari. Il risultato è
che il sindacato è molto indebolito perché ha commesso l'errore della
maggior parte dei movimenti sociali smettendo di perseguire una politica
indipendente di azione diretta per affidarsi alle politiche di coalizione
gestite da partiti istituzionali. Al di là che questi partiti siano di
natura borghese o progressista tutte le esperienze terminano con una
sconfitta dei movimenti popolari, senza eccezione.

D - Qualche movimento in America Latina ha teorizzato la non conquista del
potere, la divisione tra la rivendicazione sociale e la delega del potere ad
altri. Parliamo soprattutto del Movimento Zapatista. Esiste una influenza di
queste teorie sui movimenti popolari latinoamericani?
Petras - Ci sono due ideologie nei movimenti: una afferma la politica di
negazione del potere e considera la lotta come un mezzo di pressione sul
potere. L'altra invece teorizza prima la lotta e poi un patto tra il
movimento popolare e una coalizione elettorale. Ma è ancora molto forte una
terza alternativa che considera la mobilitazione come una via per la
conquista del potere. La questione della presa del potere politico è sul
tavolo di tutti i movimenti dell'America Latina che devono approfondire
l'analisi del contenuto politico del proprio progetto e della natura dello
Stato.

Antunes - Il cambiamento del capitalismo negli ultimi 30 anni ha
profondamente interessato l'America Latina e la sua classe lavoratrice.
Quella che era una classe lavoratrice relativamente stabile, eredità del
fordismo e del taylorismo, si è trasformata in una classe lavoratrice più
flessibile e frammentata; la disoccupazione strutturale si intensifica e
diventa un flagello per tutti. Qual è il risultato? La classe lavoratrice
non è sparita.
Io ho pubblicato un libro qui in Italia col titolo: "Addio al lavoro?" in
cui dimostro che la classe lavoratrice è più frammentata, più eterogenea,
più complessa che in passato ma che ci sono anche molti esempi di resistenza
operaia e dei lavoratori.
In Brasile ci sono alcuni importanti sindacati metalmeccanici come quello di
San Josè dos Campos o di Campinas che sviluppano un'opposizione frontale
alla direzione concertativa e moderata. Ci sono, come nel caso argentino, le
ribellioni dei disoccupati, che lì chiamano "piqueteros". D'altra parte si
assiste all'esplosione delle lotte dei lavoratori rurali che emigrano nelle
città ma poi vengono espulsi e sono costretti a ritornare nelle campagne.
L'MST oggi cerca di organizzare questi lavoratori rurali ed anche urbani per
stabilizzarli. L'MST non solo occupa la terra ma contesta la proprietà
privata lottando per una proprietà della terra di tipo sociale e collettiva.
Esiste una nuova polisemia del mondo del lavoro e la sfida è come dare un
senso, un'identità complessiva alle varie sfaccettature, unificando la
classe lavoratrice divisa dal capitalismo. Un problema fondamentale è
l'abbandono da parte dei sindacati di una politica di classe causato dai
cambiamenti strutturali del capitalismo ma anche dal sempre più stretto
legame tra i sindacati latinoamericani e quelli socialdemocratici europei
che hanno diffuso le politiche della moderazione, della concertazione con i
governi e i padronati. La sfida principale dei sindacati sarà recuperare la
politica di classe e saper comprendere e rappresentare l'eterogeneità della
classe lavoratrice.
Il sindacato in Brasile rappresenta soltanto lavoratori stabili, mentre oggi
la maggior parte dei lavoratori brasiliani sono precari e instabili. La
sfida è creare un sindacato orizzontale e di classe anticoncertativo e
antistituzionale e non mantenere quel sindacato verticale che era tipico
dell'impresa taylorista e fordista dei decenni passati. L'MST in Brasile fa
azioni di solidarietà nei confronti degli operai metalmeccanici, dei
professori, per altre categorie della classe lavoratrice, mentre il
contrario spesso non avviene.

D - Esiste ancora un problema indigeno in America Latina che negli ultimi
anni si sta sommando e intersecando con le lotte dei contadini e degli
impiegati pubblici soprattutto sul versante andino e in parte anche in
Brasile. Sta cambiando il rapporto tra i movimenti indigeni e indigenisti e
le classi lavoratrici?
Petras - Quello indigeno è un fattore esplosivo e centrale in paesi come
Perù, Ecuador e Bolivia. Non si può capire nulla della lotta di classe in
questi paesi se non capiamo che gli agricoltori indigeni hanno giocato un
ruolo dinamico. Ad esempio in Ecuador il movimento indigeno non lotta
semplicemente per la terra ma è un movimento culturale, economico e sociale
che ha una visione anche legata alla conquista del potere politico.
Dentro i movimenti indigeni della Bolivia e del Perù c'è anche una
differenziazione che molti dall'esterno non colgono: c'è un settore composto
da commercianti che sfruttano mano d'opera indigena, che sono quadri
intermedi o funzionari o liberi professionisti e che in qualche modo spesso
rappresentano all'esterno il movimento, costituendone l'ala riformista. Essi
appoggiano le lotte ma mirano a ricoprire incarichi pubblici e a volte
riescono anche ad arrivare alla carica di ministro.
Se da una parte esiste una dinamica di unità etnica culturale e linguistica
tra gli indigeni vi è anche una stratificazione di classe all'interno dei
movimenti indigeni con l'emergere di un settore riformista che non riflette
l'insieme degli interessi della popolazioni.