[NuovoLaboratorio] il secolo xix 23-10-04

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Author: carlo
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Subject: [NuovoLaboratorio] il secolo xix 23-10-04


Il terrore via web partiva dalla Liguria
Berlusconi il bersaglio principale. Un magrebino traduceva in arabo i
messaggi che poi venivano lanciati in internet con foto e video
Informativa riservata dell'intelligence al ministero degli Esteri «Cellula
anarchica minacciava il governo con falsi comunicati»
Tutto è stato concepito in Liguria. Da una cellula anarchica divenuta
motore propulsivo di un episodio clamoroso di guerra informatica: per
alimentare timore nella popolazione e per «screditare il governo agli
occhi dell'opinione pubblica».
Lo sostiene un'informativa riservatissima inviata nei giorni scorsi dai
servizi segreti al ministero degli Esteri. Ricostruisce, l'intelligence, i
passi di un progetto mediatico articolato e complesso. Una vicenda che
intreccia falsi comunicati di minaccia alla notizia (che si è poi rivelata
falsa) dell'esecuzione delle due Simona; l'attività di un gruppo anarco-
insurrezionalista alla chiusura, da parte dell'Fbi, dei server del sito
antagonista Indymedia.
Che cosa spiega il documento? Il progetto ruota intorno alle figure di due
giovani anarchici. Attenzione: gli 007 italiani sono convinti che non
siano né terroristi, né fiancheggiatori delle forze che in Iraq si
oppongono all'intervento della Coalizione. Differenti le loro finalità:
utilizzare internet per creare, in Italia, un sentimento diffuso di
inquietudine e di paura. Una strategia mirata, un bersaglio preciso: il
governo Berlusconi.
E' la riprova di quanto il ministero ha sostenuto a più riprese. Gran
parte dei proclami comparsi sui siti arabi partivano in realtà
dall'Italia. Troppo precisi, dettagliati, in alcuni casi, i riferimenti
alla situazione politica nel nostro Paese.
Il caso eclatante il 22 settembre scorso. Un gruppo islamico afferma di
aver ucciso Simona Torretta e Simona Pari, le due volontarie italiane
sequestrate due settimane prima in Iraq. L'annuncio è firmato
dall'Organizzazione della Jihad; annuncia la morte per decapitazione delle
due ragazze rapite dalla sede dell'organizzazione non governativa "Un
ponte per...". Ancora il premier nel mirino: «Il governo italiano
capeggiato dal vile Berlusconi non ha dato ascolto alla nostra unica
condizione, il ritiro delle truppe». La rivendicazione di un omicidio mai
commesso compare poco dopo la mezzanotte sul sito Yaislah.org. Sono ore di
ansia, di disperazione. Poi il comunicato della Farnesina: «Il messaggio
non è attendibile».
Nel frattempo gli 007 indagano. Trovano riscontri e conferme. E
individuano nella galassia anarchica gli ideatori del progetto di guerra
informatica. Non c'è un solo episodio. Come sempre, il mondo sommerso
dell'insurrezionalismo si muove su piani distinti, separati. Anche se la
situazione irachena permette di modificare i piani iniziali: non più solo
ordigni, non più solo esplosioni, ma il tentativo di condizionare con
l'arma del web l'informazione e l'opinione pubblica. Il caso ligure è il
più eclatante. Perché non prevede solo la realizzazione di comunicati
minacciosi. Il falso, in questo caso, è un video.
Gli insurrezionalisti (spiegano ancora gli uomini dei servizi) si trovano
però alle prese con due problemi. Il primo: i messaggi devono apparire
attendibili. Devono resistere al vaglio degli esperti, almeno per qualche
giorno. Secondo: devono comparire su siti arabi, in maniera da
accreditarne la veridicità. Senza lasciar traccia.
Poi il contatto. I due anarchici incontrano un magrebino, abita anche lui
in Liguria. Accetta di collaborare e la strategia si arricchisce di un
nuovo tassello. Non più solo testi. Ma anche la realizzazione di un
filmato. Il testo viene stilato e in questa stessa pagina ne riportiamo la
versione integrale. Il magrebino lo legge. Ma si rifiuta di comparire nel
video: è un volto noto, tra i cittadini islamici che abitano nella sua
città.
Secondo le informazioni dei servizi segreti il secondo contatto è con due
tecnici di Indymedia, il sito della realtà antagonista che ha un'ampia
sottosezione italiana. A Indymedia i due anarchici chiedono una consulenza
telematica. Ed espongono la loro esigenza: far apparire immagini, audio e
minacce scritte sui siti che, apertamente, sostengono le frange più
violente dell'estremismo islamico.
Qui s'innesta l'episodio, ancora per molti versi misterioso, del sequestro
del server principale di Indymedia da parte dell'Fbi. Sono le sei del
pomeriggio del 7 ottobre scorso. I federali si presentano alla porta della
sede americana di Rackspace; nella filiale europea, in Inghilterra,
risiedono i server che ospitano le edizioni locali del sito antagonista,
tra cui italy.indymedia.org. Per due macchine scattano i sigilli; gli hard
disk vengono sequestrati.
L'informativa dell'intelligence italiana fa specifico riferimento a queste
circostanze. Dopo alcuni giorni in cui è fittissimo il mistero su tutta la
vicenda, si scopre che la richiesta di sequestro era partita dalla procura
della Repubblica di Bologna.
L'inchiesta? Quella sulla lunga serie di attentati dinamitardi firmati
dalla Fai, la Federazione Anarchica Informale. Un cartello che comprende
anche la Brigata Venti Luglio di Genova: ha rivendicato gli ordigni contro
la questura e la caserma della polizia di Sturla. Lo stesso ambiente in
cui, secondo gli 007, sono stati ideati i falsi messaggi sulla rete.
Marco Menduni


PROTESTE DOPO LA CHIUSURA Indymedia, quel server nel mirino dell'Fbi
BolognaPolemiche, appelli per la libertà d'espressione, accuse di
totalitarismo. Il sequestro dei server di Indymedia, avvenuto nel
pomeriggio dello scorso 7 ottobre, ha scatenato un'ondata di proteste. La
chiusura del server europeo, in Inghilterra, ha bloccato le pagine
internet delle edizioni nazionali, tra cui quella italiana, costretta ad
attrezzare in fretta e furia un nuovo sito d'emergenza ridotto all'osso.
L'Fbi, dalla ricostruzione dei responsabili del sito no-global, ha agito
sulle direttive della procura di Bologna, impegnata nelle indagini sugli
anarco-insurrezionalisti. Il pm cercava di individuare gli autori di
alcuni messaggi apparsi sul sito. Indymedia, infatti, ospita qualcunque
comunicazione giunga al suo indirizzo internet. La mancata convalida del
sequestro (giudicato eccessivo rispetto alle richieste del magistrato) ha
portato alla restituzione degli hard disk. Indymedia ha spiegato che
comunque, per precisa scelta editoriale, è impossibile individuare gli
autori dei messaggi.
23/10/2004


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