[Incontrotempo] London-Is it cause I'm cool?

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Autor: francesco raparelli
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Is it cause I’m cool?

per una discussione delle reti autonome di movimento sull’Esf di Londra e sulla sfida N/Europea



Quella che segue è una ricognizione, un bilancio (anche se ci interessano più i desideri che i calcoli), una lettera aperta rivolta alle reti europee di movimento sulle contraddittorie giornate londinesi. Si tratta di un contributo parziale, una presa di parola in cerca di confronto, magari una frase in una composizione discorsiva più ampia, da condividere con tutti i gruppi, le singolarità, i “corpi” collettivi con cui abbiamo attraversato l’Esf dello scorso fine settimana.

Non ci interessa assumere un tono vittimistico e per questo, senza omettere nulla di quanto accaduto domenica (fermi preventivi, violenze subite da parte della polizia, arresti protetti e garantiti dal servizio d’ordine dell’Esf nei pressi del palco), preferiamo guardare gli elementi affermativi, le discontinuità, la tendenza di ricerca politica che da Londra in poi i movimenti si trovano irreversibilmente di fronte.

Rompicapo per i “movimenti”, appunto, e non per chi ritiene di dover consolidare la costituzione, tutta interna alle categorie dell’autonomia del politico, di “spazi chiusi” di opinione pubblica compatibile, di società civile ad uso delle nuove socialdemocrazie europee! Per chi ritiene, infatti, di poter leggere in termini trionfalistici i 7.000-8.000 manifestanti “reali” di Trafalgar Square - mentre la polizia arrestava, metteva in un angolo la samba band e il cosiddetto carneval block (a cui è stato impedito dalla polizia di entrare nella piazza), mentre i fermi preventivi della mattinata di King’s Cross mettevano fuori gioco chi la sera prima aveva preso parola durante la contestazione praticata dalle reti autonome nei confronti del Forum ufficiale (Andrea, Vittorio, un compagno greco) - le “cose” di movimento parlano una lingua ormai estranea, marginale.

Quanto è accaduto a Londra conferma materialmente quanto da più parti abbiamo definito come l’esaurimento di un ciclo di movimento e l’apertura di una nuova fase. Una fase che si apre - anche se in termini non-lineari e per nulla meccanicistici, ma caotici, complessi - dentro l’orizzonte nuovo della guerra globale. Quel passaggio velocissimo che dall’11 settembre, dalla guerra preventiva di Bush e dei neocons, ci ha portato verso la crisi del “golpe statunitense nell’Impero”. Passaggio che in tutta la sua contraddittorietà ha visto emergere forme diverse di resistenza e che sta, per altri versi, rimettendo al centro una possibile risoluzione multilaterale del “pantano” irakeno. Si tratta di dinamiche caotiche, appunto, che segnano il campo di movimento nella necessità di una ricerca nuova, laddove l’opinione pubblica no-war (la cosiddetta seconda superpotenza), in molti casi, si appresta a definirsi come forza di sostegno al “tribunato” imperiale, a versioni riviste dell’intervento
umanitario. L’Esf londinese e il suo flop (nonostante i finanziamenti e la concentrazione di forze partitiche al proprio interno è estremamente significativo l’isolamento scontato: quasi nessuna delle grandi testate giornalistiche europee - s’intende testate giornalistiche e non giornali di partito o di correnti di partito – ne ha parlato!) è dato interno alla nuova dinamica imperiale ed europea, meglio, ha svolto il compito marginale che più gli competeva. La buona testimonianza, ordinata e in aria di governo, in un minestrone di sovranismo antieuropeista e pieno di slogan ideologici, con la tipica attitudine della tifoseria marxista-leninista, sulla resistenza palestinese o su tutte le resistenze mondiali (quelle lontane, chiaramente, dalla concretezza delle metropoli europee come Londra dove i fermi di polizia sono più frequenti della pioggia e dove ci sono circa 300.000 telecamere di video-sorveglianza)!

A fianco, altrove dal Forum ufficiale, a Londra si sono date appuntamento le reti autonome di movimento. Non hanno scelto un luogo, ma tanti luoghi: la Middelsex University, Candem Centre, RampaArt per citarne solo alcuni. Si è trattato di una proliferazione spesso dispersiva, caotica, ma con alcuni temi assolutamente comuni: precarietà e reddito, migrazioni, comunicazione e ricerca. Su questi temi ci sono stati eventi di incontro e di discussione formidabili e ricchi: la prima assemblea dell’europrecariato, il seminario con Michael Hardt, gli incontri promossi dalla rete no-borders, la presentazione dell’ultimo numero di Green Pepper. Momenti di convergenza tra le reti nord-europee (inglesi, danesi, tedesche, francesi, svedesi) e quelle euro-mediterranee (italiane, greche, spagnole). Momenti di solida convergenza tematica e discorsiva, di progettazione comune dentro un quadro di consapevolezza diffusa sulla fase nuova che ci attende e sulle tendenze che gradualmente si affermano sul
terreno dei conflitti sociali europei (conflitti di precari e migranti in primis). Su tutto ha prevalso poi la voglia di connessione e di produzione di un’agenda comune che, con tutti i limiti, sia in grado di muovere oltre il dispositivo ormai “chiuso” e sclerotizzato dell’Esf: un grande evento di incontro sul precariato e sui migranti da fissare nel mese di Gennaio a Berlino, 2 aprile giornata europea di conflitto sui Cpt e sulle deportazioni dei migranti, le euromayday del 2005.

Tutto questo è accaduto tra un’azione e un fermo di polizia (60 fermi in 3 giorni, singolare no?!?), tutto questo è accaduto in una dinamica di ricerca comune che non è esente da critiche e che è indubbiamente segnata da forti limiti. Il punto di differenza tra gli spazi autonomi e l’Esf e i suoi “apologeti” consiste forse nel fatto che i limiti sono stati da subito all’attenzione della discussione politica delle reti. Limiti che riguardano la capacità di allargamento, di resistenza alle sirene dell’auto-referenzialità, di costituzione di spazio pubblico. Pur essendo diffusa la consapevolezza

della crisi dello spazio pubblico del movimento no-global (forum sociali), ancora stenta a definirsi in termini pieni una via d’uscita non minoritaria. L’incontro di Berlino e la costituzione di un processo europeo che porti alle MayDay 2005 potrebbe essere, da questo punto di vista, un’occasione per nulla marginale. Va da se che le considerazioni condivise a più riprese nelle discussioni hanno trovato conferma drammatica negli “strani” fermi preventivi e chirurgici di domenica mattina o in quelli garantiti (quando diciamo garantiti, diciamo permessi e coperti fisicamente) dal cordone del forum sociale a protezione del palco in cui in tanti avevamo chiesto di intervenire per non far passare sotto silenzio le violenze subite.

Senza vittimismo diciamo: che si fottano! Il problema è come procedere in avanti, valorizzando quel patrimonio di relazioni europee che da anni ormai abbiamo costruito e consolidato, come costituire il nuovo spazio pubblico della moltitudine, come continuare ad osare e a mettere in gioco il pieno di innovazione comunicativa e di conflitto che abbiamo accumulato fin qui. Non ci sono scorciatoie e se ci sono solitamente si tratta di “tavoli truccati”, c’è piuttosto la sperimentazione come metodo e sostanza del “divenire-movimento”. A chi è convinto che a Londra domenica ci fossero 30.000 o 100.000 persone e che tutto procedesse liscio, regaliamo un paio di occhiali e rispondiamo di sì, tutto era liscio, liscio e compatibile come lo spazio che ricerca il comando imperiale, la guerra ordinativa interna o esterna che sia. Noi per attitudine resistiamo, siamo delle striature, linee di fuga, discontinuità, siamo felicemente e senza presunzione un’altra cosa!



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…after London



Se io fossi a letto sognerei
ma se avessi paura mi nasconderei
e se mai divento pazzo
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                           if

                
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