"...Una minaccia emergente meglio caratterizzata come populismo radicale, in
cui è minacciato il processo democratico, quando si riducono -invece di
aumentarli- i diritti individuali" (generale James Hill - Comandante US
Southern Command)
.
L'anatema del "populismo radicale" lanciato dal Pentagono contro la fronda
sudamericana, contiene significanze negative che evocano fenomenologie
politiche del passato, senza offrire nessun riferimento fondato a quel che
ora sta avvenendo. Nulla di concreto che aiuti ad inquadrare correttamente
gli accadimenti inVenezuela, Brasile ed Argentina degli ultimi tre anni.
Mettiamo da parte, quindi, queste stigmatizzazioni indispensabili alle
campagne di propaganda con alto contenuto di manicheismo, direttamente
ispirate dai manuali della guerra psicologica.
Che cosa hanno in comune Chavez, Lula, Kirchner, Tabarè Vàzquez in Uruguay,
i boliviani Evo Morales e Felipe Quispe, la CONAIE dell'Ecuador, il
sub-comandante Marcos e Lopez Obrador? E che hanno a che vedere tutti
costoro con il "populismo"?
Secondo Laclau il populismo è un fenomeno ideologico che fa appello
direttamente al popolo -e non a una classe specifica- in un contesto di
profonda crisi delle istituzioni e dei valori, di scetticismo o rifiuto
radicato dello status quo, partiti privi di credibilità o in caduta libera.
Acuta spoliticizzazione, soprattutto tra i giovani, gruppi dirigenti
delegittimati o apertamente ripudiati, difficoltà per identificare chiare
differenze apprezzabili tra opposizione e governo.
In questo contesto, sorsero leaders di tipo carismatico che -muovendo l'anti-politica
e l'anti-partitismo- fecero uso del termine "popolo" in contrapposizione al
blocco egemonico detentore del potere che -in questa latitudine- sono le
oligarchie con cui Washington ha un "feeling" di tipo telepatico.
Non si tratta di vuote esercitazioni di retorica demagogica -che non
richiamerebbero l'attenzione del Comando sud degli Stati Uniti- ma della
"...interpellazione popolar-democratica come formula sintetica antagonista
rispetto all'ideologia dominante" (Laclau).
Il "populismo" latino-americano reale, concretamente furono quei movimenti
popolari e nazionalisti posteriori alla seconda guerra mondiale: Peròn in
Argentina, l'MNR in Bolivia, la Guatemala di Arbenz, forse il governo di
Goulart in Brasile (1). Nessuna di queste esperienze perì di morte naturale,
ma grazie ad invasioni e a colpi di Stato che si ripeterono e perdurarono
fino agli anni 80.
Indistintamente, la comune ragione ideologica del post-"populismo"era il
libero mercato. Liquidarono le proprietà statali nel settore dei minerali,
energetici, agro-alimentari, comunicazioni, così come ogni vestigio di
previdenza sociale.
Dopo la lunga notte, il ritorno alla "democrazia" fu la continuazione della
stessa terapia senza dittatori, e coincise con la culminazione dell'impatto
distruttivo del neoliberismo: narco-economia, 70% dei salariati lavorano in
nero, precari, espulsione di massa dalla scolarità, lavoro infantile, senza
tetto, senza terra, profughi, emigranti, ambulanti, raccogli-cartone e
lattine ecc.
Sorprende che in un sondaggio oltre il 65% dei latinoamericani dicano che
non stravedono per la democrazia?
Il "populismo" utile
Nello schema interpretativo di Laclau rientrano anche gli episodi di Menem
in Argentina e di Fujimori in Perù. Nel primo caso, il caricaturale
personaggio non ebbe nessuno scrupolo a mettere da parte il Parlamento e
trasferire il processo decisionale a una direzione tecnocratica nell'ombra.
Menem governò e privatizzò a colpi di decreti di urgenza, "..ben 309 volte
in 4 anni; mise la museruola alla giustizia, si scagliò contro giudici,
pubblici ministeri ed altri funzionari che non gli erano congeniali, e
relegò il potere legislativo a un livello secondario, utilizzò persino il
potere di veto dei bilanci .."(M. Novaro).
A Washington nessuno si scandalizzò, venne coniato l'eufemismo caritatevole
di "democrazia delegata", giustificando in tal modo la sconfinata
concentrazione di potere in una sola persona, che asseriva di incarnare la
sovranità. E' ovvio che ai loro occhi Menem, campione mondiale della
privatizzazione integrale, suscitava grandi entusiasmi. Il resto erano
peccatucci veniali.
Sarà che esiste un "populismo" buono, liberista e tecnocratico ed un altro
che è negativo e radicale?
Nel 1995, Fujimori si assicura la Presidenza peruviana, impegnandosi a
sconfiggere la guerriglia di "Sendero luminoso" e risolvere la crisi
economica che esplose a causa del blocco finanziario, sanzionato dopo la
moratoria del debito estero di Alan Garcia. Fujimori governo' con mano dura,
contraddicendo le promesse elettorali, ignorando le altre istituzioni a lui
scomode (parlamento, magistratura, mezzi di comunicazione), e violò i
diritti umani con il pretesto di garantire la "governabilità". In questo
modo riuscì ad offrire su di un vassoio d'argento il Perù al FMI, che fu il
vero governo di quel paese, mentre Fujimori si dedicava alla repressione, ad
arricchirsi e al nepotismo.
Anche questa fu tollerata come una "democrazia delegata" ( o "protetta"),
fino a quando l'incauto governante ebbe l'ardire di trafficare una partita
di armi per la guerriglia colombiana. Gli costò il posto e l'esilio,
liberando lo spazio per un ex funzionario della Banca Mondiale.
A costui è servito ben poco il dottorato a Stradford: privatizzazione dell'elettricità
rinviata ad altra data, a causa delle estese proteste popolari.
Forse esiste un "populismo" di destra e uno di sinistra? Uno che è immorale
perchè propizia l'intervento dello Stato nell'economia per far fronte alla
domanda sociale. E un "populismo" etico, nobile, che applaude il
protagonismo statale quando lancia salvagente ai banchieri dopo le
bancarotte, quando sovvenziona l'industria privata o quella bellica.
Il "populismo" ritrovato
La "minaccia emergente meglio caratterizzata come populismo radicale"
(generale Hill), evidentemente non è imputabile a un manipolo di leader
irresponsabili, ma è il risultato dell'effetto cumulativo delle ferite
inferte dal neoliberismo a quelle società cui è stato imposto integralmente.
Nessuno ha dimenticato che l'Argentina, fino agli anni 60 del secolo scorso,
era la sesta economia del mondo e per tutti era il "granaio del mondo". Che
strano, coincide con l'epoca dorata del "populismo". Ancora in piena
dittatura militare esportarono grano all'Unione Sovietica in cambio di oro.
L'Argentina del 2002, quando la collera popolare scacciò in rapida
successione vari Presidenti, è la stessa alunna prediletta che il FMI
indicava come modello da imitare su scala continentale. La fantascienza
della parità con il dollaro e una privatizzazione che risparmiò solo la
Patagonia, lasciò un paese in cui i bisogni sociali primari (pane, mattoni,
scuole) furono soddisfatti con l'azione diretta e l'autorganizzazione dal
basso, riportando alla superficie pratiche mutualiste degli albori del
movimento socialista.
Il disastro incombente diede luogo all'occupazione di fabbriche e a forme di
autogestione coperativa tuttora vigenti, come pure ad estese reti del
baratto e scambi regolati da monete alternative. Si trovarono risposte
pratiche alle necessità primarie quando lo Stato e le industrie avevano
collassato.
In un contesto simile, dove non esiste la piena occupazione, la
disoccupazione è dilagante, è evidente che il territorio passa ad essere il
terreno di lotta principale. Questa è l'esperienza dei piqueteros: con i
blocchi stradali riescono ad essere incisivi quanto o più degli impossibili
scioperi.
Il teatro di operazione della popolazione rurale brasiliana del Movimento
dei Senza Terra è il territorio, e la lotta verte sull'uso produttivo da
assegnare al suolo: latifondi per le monocolture transgeniche delle
multinazionali o piccola e media proprietà coperativa destinata alla
produzione per il mercato interno. Dipendenza o sovranità alimentare,
continuare -o annullare- le importazioni dalla sovvenzionata
tecno-agricoltura del nord.
Per soddisfare bisogni sociali che sono maggioritari, l'interlocutore
fondamentale diventa lo Stato, e lo strumento organizzativo sono movimenti
specifici e reti orizzontali che stanno rimpiazzando definitivamente gli
screditati partiti fondati sulla delega e la rappresentatività totale.
Non si sottovaluta la questione del potere politico e legislativo, ma optano
per organizzazioni comunitarie, territoriali, specifiche, non totali.
In Ecuador, le organizzazioni indigeno-contadine e gli alleati dei movimenti
popolari urbani, si sono ritirati dalla coalizione governativa, dopo aver
visto che era semplice prosecuzione della politica fondomonetarista dei
governi anteriori.
In Brasile, nonostante la lentezza quasi statica del governo nel metter mano
ad una politica nuova, i senza-terra hanno aumentato la pressione della
base. La riforma agraria non è all'orizzonte, ma il MST preme per ottenere
una quantità crecente di assegnazioni e legalizzazioni di terre. Per ora non
vanno oltre, nè rompono con Lula, perchè sono consapevoli della differenza
che esiste tra essere governo (peraltro senza maggioranza parlamentare) e
detenere il potere economico. Lula ha le mani legate dagli impegni firmati
dal suo predecessore con l'FMI, una settimana prima del suo addio: una
bazzeccola di 30 miliardi di dollari.
Non si tratta di un patto tattico ma confluenza attorno a pochi obiettivi
strategici, che determina un peculiare intreccio tra i movimenti sociali e i
governi del "populismo radicale". Soprattutto quando c'è da ridurre lo
spazio di intromisione alla pirateria dell'autorità economica internazionale
(FMI e OMC).
Ciò è stato lampante a Cancun, dove dal seno dell' OMC è scaturito uno
schieramento significativo di paesi (G22) che ha bloccato tutto, sine die,
fino a quando l'Unione Europea e Stati Uniti smetteranno di sovvenzionare le
loro industrie agricole.
Secondo alcuni, si tratta di ottenere quanti più cambiamenti radicali
possibili con il minimo dei costi, cioè evitando la violenza fascista della
restaurazione, ma senza indietreggiare.
La globalizzazione ha delegittimato i partiti -(il PT di Lula in che misura
riesce a rappresentare anche il 60% di manodopera informale?)- ha spazzato
via molte forme che assumeva l'antagonismo sociale (le guerriglie, salvo nel
non-Stato colombiano), ma non è riuscito a disarticolarlo e annichilirlo,
tant'è che si è riproposto con vigore contro le residuali istituzionalità
nazionali.
Il "populismo" funzionale
Quel che è in gioco sono questioni fondamentali come l'uso che si deve fare
del petrolio, del gas, dell'acqua e della terra. In Bolivia c'è stata la
"guerra dell'acqua" e del gas, dove sono stati rimessi in discussione
contratti già firmati con le multinazionali e lo status giuridico dei
giacimenti. Si sono messe in moto forze che fanno traballare l'assetto del
potere interno e influiscono sulla dinamica geo-politica regionale.
Questi conflitti sociali perseguono obiettivi tesi ad accrescere i diritti
individuali -altro che diminuirli!- con elementi di gran novità rispetto al
passato. Sono una mistura di rivendicazioni etniche, nazionaliste,
anti-liberiste, anti-imperialiste ed ecologiste. E non manca affatto la
componente della lotta di classe: le elites interne sono acerrime nemiche e
strette alleate del nuovo egemonsimo imperiale (2).
I diritti sociali dei boliviani potranno raffozzarsi solo quando le risorse
naturali beneficeranno la maggioranza, cioè quando ci saranno i mezzi per
soddisfarli. In altre parole, quando avranno la precedenza sugli interessi
delle multinazionali. Altrimenti sarà impossibile persino sradicare l'analfabetismo.
Nella neo-lingua giornalistica, il termine "populismo" viene usato come una
formula che sintetizza paternalismo, demagogia ed autoritarismo. In realtà,
diventa "populismo radicale" quello che intacca -o rimette in discussione-
lo schema di redistribuzione del reddito nazionale, o quando tenta di
ribellarsi al "consenso di Washington".
Non vi è dubbio che le condizioni di vita non potranno migliorare fino a
quando qualsiasi governo latino-americano è condannato a
sborsare -mediamente- la metà della ricchezza prodotta al G7, via FMI. I
"sottosviluppati" sono in realtà esportatori netti di capitali, escono più
soldi di quelli che si ricevono: i denutriti alimentano gli obesi.
Il debito estero è il nodo nevralgico in cui i movimenti sociali
confluiscono con i governi del "populismo radicale" e, nello stesso tempo, è
anche un punto critico di deflagrazione. Tradurre in politica di Stato il no
al fondomonetarimo, significa impedire che interferisca in temi cruciali
come i tassi di interessi, il sistema fiscale, pensionistico, sanitario ed
educativo.
Brasile ed Argentina posseggono l'arma di 500 miliardi di dollari del debito
estero, sono grandi agro-esportatori, produttori di manufatti tecnologici di
media complessità e -nel caso brasiliano- anche armamenti, tra cui aerei
militari. Non sono facilmente vulnerabili a embarghi o blocchi commerciali.
L'integrità del sistema finanziario internazionale è nelle loro mani. Il
debito è tale che nessun tipo di crescita dell'economia comporta un riflesso
positivo sul livello di vita, garantendo solo il pagamento puntuale al FMI.
In altre parole, è impagabile, e devono esserci negoziati, il punto critico
è vicino.
"Quando una certa quantità di uranio arricchito, si congiunge con un'altra
massa equivalente di uranio arricchito della stessa qualità, si produce la
massa critica. Il punto in cui scatta la reazione a catena. Se due nazioni
si comportano alla stesso modo, è la fine dell'FMI. Altri si comporteranno
allo stesso modo" (Fidel Castro).
E' in Venezuela dove sono maturate le condizioni ottimali, in cui è più
visibile l'ordito e la trama della coalizione tra estese e diversificate
reti sociali, tra queste e un governo che può agire basandosi su regole del
gioco nuove. Tale è la Costituzione bolivariana approvata con un referendum.
Nessun altro paese dell'area può contare con il flusso finanziario
comparabile a quello generato dal suo petrolio e materie prime, che ha
consentito da 5 anni al Venezuela di tenere alla porta il FMI. Quindi di
elaborare con autonomia la politica economica, fiscale, monetaria e
agricola. Cionondimeno destina il 25% del bilancio al servizio del debito
estero.
"Qui prendono a pretesto cose come il patriottismo e la sovranità. E' ora di
finirla, basta! Bisogna adeguarsi alla realtà del mondo d'oggi", diceva
sdegnato Luis Giusti, boss del petrolio venezuelano. Era il 1998, poi lui e
tutti quelli che pensano a quel modo, soffrirono una cocente sconfitta. I
più non si "adeguarono", loro dovettero uscire di scena, segnando il
tramonto di una classe dirigente e di un modello economico neocoloniale.
Oggi, L. Giusti è consiliere strategico di Bush per le politiche
energetiche. Grazie ad arcaismi come il "patriottismo e la sovranità", si è
affermato un nuovo blocco sociale egemonico che -non solo finanzia con il
petrolio l'estensione del diritto all'istruzione, salute e previdenza
sociale- ma imposta anche un nuovo schema di sviluppo endogeno, rivolto all'interno,
e lo protegge. Il protezionismo non è più un monopolio del nord
industrializzato.
Due milioni di ettari di terre incolte sono state assegnate a piccoli
proprietari e coperative, riuscendo in meno di due anni a non dover più
importare riso e mais. Questo è possibile solo perchè si frenano i monopoli,
con il controllo cambiario e un sistema di autorizzazione delle
importazioni.
Mentre il Messico, per esempio, arrivato alla "modernità" di un trattato di
libero commercio con gli Stati Uniti, è l'unico paese petrolifero in cui le
maggiori entrate in divisa pregiata sono quelle generate dagli emigrati (14
miliardi di dollari), ed ha cominciato ad importare mais.
Il "populismo" strategico
Washington è passato -senza successo- alle vie di fatto contro il Venezuela,
con un golpe e una serrata-sabotaggio dell'industria petrolifera. Non
digeriscono il nuovo protagonismo dell'OPEC, nè lo slancio preso dal
Mercosur dopo l'ingresso di Caracas.
Ripugna la vendita di petrolio all'Argentina a cambio di alimenti e beni
tecnologici. Non garba questo modello di scambio (nè la diversificazione dei
patners) che potrebbe estendersi a tutti gli alleati strategici, perchè
riduce la quantità di circolante in dollari.
Non vedono certo di buon occhio che la rivoluzione bolivariana non è
disarmata: conta con forze armate fedeli alla Costituzione, incorparate nel
nuovo progetto di paese, e con un ruolo promotore che va oltre la sfera
militare. Non è una casta chiusa e ostile verso la società, bensì una sua
espressione rappresentativa che ne riflette gli aneliti.
Sono queste cose concrete, tangibili, e la somma di fenomeni sociali
convergenti che si ripetono nella geografia continentale, ad avere provocato
l'inabissarsi dell'ALCA. Questa è la ragione dell'ostilità del Pentagono
che, per contrastare l'insidiosa complessità di una forza multidimensionale,
cerca ora di fabbricare uno scudo ideologico: la dottrina del "populismo
radicale".
Questa, in effetti, ha il respiro corto e non va oltre l'equivalenza all'alibi
dei "diritti umani" utilizzato per fare la guerra contro la Yugoslavia.
A ben guardare, però, nell'ultimatum di Ramboullet che precedette i
bombardamenti su Belgrado, si parla solo del diritto alla libertà di
transito in tutto il territorio yugoslavo per le truppe della NATO, e che il
Kosovo doveva trasformarsi in una economia di mercato.
Nel momento storico in cui gli Stati Uniti tentano di estendere l'applicazione
della "dottrina Monroe" (3) dal continente americano a tutto il pianeta, in
America latina si stanno percorrendo sentieri che allontanano dal dogma
liberista e sono una critica pratica del nuovo egemonismo unipolare.
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Note.
1 - A differenza del nazionalismo europeo che fu espansionista e
colonialista, questo ha come denominatore comune l'opposizione unificante
alla interminabile catena di invasioni e colpi di Stato programmati a
Washington.
2 - "In America Latina, la resistenza al neo-liberismo coniuga la componente
culturale, con il livello sociale e nazionale... Questa costellazione
(zapatisti, piqueteros, cocaleros, bolivariani, sintierra ecc. NdR) dà al
fronte della resistenza un repertorio di tattiche, azioni ed un potenziale
strategico superiore a quello di altre parti del mondo", Perry Anderson
"Nueva hegemonìa mundial", CLACSO Libros.
3 - Priorità assoluta degli interessi nazionali USA nello spazio
continentale, concepito come "cortile" della propria dimora.