[Forumlucca] Articolo di Scalfari sulla proposta di cambiame…

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Autore: Roberto Guidi
Data:  
Oggetto: [Forumlucca] Articolo di Scalfari sulla proposta di cambiamento della Costituzione
Da: La Repubblica del 17/10/2004;
http://www.repubblica.it/2004/j/sezioni/politica/riformeist2/comm/comm.html

Roberto

Sulle riforme giocano a palla con lo stato repubblicano
di EUGENIO SCALFARI

Di fronte a questo disegno di legge che riscrive 43 articoli della nostra
Costituzione e che è stato approvato in prima lettura venerdì 15 ottobre
dalla Camera dei Deputati, non si sa se aggregarsi ai brindisi di gioia
della Lega e di tutto il Polo (Follini e Udc compresi, con la sola eccezione
del roccioso Tabacci che si è astenuto) oppure condividere la definizione di
Piero Fassino e di Ciriaco De Mita ("indigeribile pastrocchione") e le
parole di Francesco Rutelli ("un venerdì nero per la Repubblica"). Non si sa
se vederlo come una tragedia o come una farsa costituzionale.

Personalmente sarei incline più alla farsa che alla tragedia, ma mi rendo
ben conto che una farsa costituzionale è al tempo stesso una tragedia: non
si può infatti scherzare impunemente con la Carta che sancisce il patto
fondamentale tra i cittadini e le istituzioni definendo i diritti, i doveri,
lo statuto di cittadinanza, le forme della rappresentanza, l'equilibrio dei
poteri, le modalità del controllo sul loro operato, gli istituti di
garanzia.

Con questo complesso di problemi la maggioranza ha arruffato soluzioni
improbabili con una leggerezza che rasenta l'irresponsabilità. Di qui il
dilemma tra farsa o tragedia, che a ben guardare sono le due facce d'uno
stesso spettacolo messo in scena da Berlusconi Bossi e Fini sotto gli occhi
rassegnati e conniventi di Follini sulla pelle della democrazia
repubblicana.

Trattandosi d'un disegno di legge di riforma costituzionale, per di più
sottoposto a referendum poiché manca la maggioranza qualificata prevista
dalla Costituzione, il Capo dello Stato non ha in questo caso alcun potere
di interdizione. Non resta dunque che l'appello referendario al popolo
sovrano che però non potrà essere indetto che a conclusione delle quattro
votazioni previste dall'articolo 138 della vigente Costituzione.


Credo e spero che la votazione popolare cancellerà questo pastrocchione,
dico meglio questo obbrobrio che, allo stato dei fatti, lascia dietro di sé
una veduta di rovine. Il testo approvato l'altro ieri dalla maggioranza
plaudente ha infatti abbattuto in un colpo solo i poteri del Parlamento,
quelli del presidente della Repubblica, l'unità nazionale. Per di più ha
messo in moto un meccanismo del quale si ignora il costo ma non l'ampiezza
della sua oscillazione che va da zero a 100 miliardi di euro.

Sull'ipotesi di costo zero non scommetterebbe nessuna persona dotata di
normale buonsenso: essa infatti si può verificare soltanto nel caso in cui
le Regioni italiane, per gestire i nuovi poteri che otterranno dalla
devoluzione, possano utilizzare i pubblici impiegati già in forza nelle
attuali strutture amministrative dello Stato.

L'ipotesi più probabile si colloca invece in prossimità del tratto di
oscillazione massimo, tra gli 80 e i 100 miliardi di euro, con possibilità
di superare perfino quella cifra-limite. Il che significa che l'intero
impianto della devoluzione può portare lo Stato federale alla bancarotta
finanziaria.

Ma questo lo sapremo soltanto quando si dovranno emettere le leggi attuative
del nuovo dettato costituzionale. A quel punto il faccione grottesco e
comico della farsa tornerà a far capolino dietro le cupe nuvole della
tragedia, ma allora sarà troppo tardi per riderne.

Andrea Manzella ha già individuato ieri su questo giornale con chiarezza e
dottrina gli aspetti sostanziali e sostanzialmente incongrui di questa
legge.
Ero tentato di chiamarla legge di controriforma, ma mi sono poi reso conto
che il termine non sarebbe appropriato. La controriforma è una cosa molto
seria con la quale si può dissentire o consentire, ma che è comunque animata
da una sua coerenza, da una sua cultura, da una sua dignità intellettuale.
La Controriforma con la quale la Chiesa si oppose, tra la fine del XVI e
l'inizio del XVII secolo, allo scisma luterano fu una profonda scossa
riformatrice che alimentò per almeno cent'anni un rinnovamento profondo del
clero, della catechesi, delle opere missionarie; ebbe una sua coerenza non
esclusivamente oscurantistica; produsse la cultura del barocco in
architettura, nella "maniera" pittorica, nella musica.

Applicare il termine di controriforma all'obbrobrio farsesco che sta sotto i
nostri occhi sarebbe quindi blasfemo. Qui c'è soltanto una furbizia di
avvocaticchi che hanno cercato di accontentare i disomogenei partiti della
coalizione preparando una sorta di "fricandò" messo in cottura a fuoco
lentissimo; talmente lento che quasi nessuno degli attuali protagonisti sarà
in grado di assaporarne il gusto.
Provo ad elencare i vari elementi che lo compongono aggiungendovi poche note
di chiarimento e di osservazione.

1. Il Parlamento, come rappresentanza del popolo dotata del potere di fare
leggi, controllare l'operato del potere esecutivo, dargli e togliergli la
fiducia, non esiste più. Il governo assume in proprio anche il potere
legislativo poiché decide quali provvedimenti ritiene indispensabili alla
propria azione e su di essi chiede la fiducia. Ove mai non l'ottenesse
scioglie la Camera. Essa, la Camera, può in teoria votare la sfiducia al
governo a patto però di aver già individuato - rigorosamente nell'ambito
della maggioranza parlamentare - un nuovo premier in grado di ereditare il
consenso della maggioranza stessa senza che vi sia alcun apporto da parte
dell'opposizione.

2. Il "premier" è eletto direttamente dal popolo in collegamento con i
deputati candidati nei collegi. Il Capo dello Stato gli deve affidare
automaticamente la formazione del governo. Il premier presenta al Parlamento
il ministero senza bisogno di chiedere alla Camera il voto di fiducia. Dello
scioglimento della legislatura abbiamo già detto: rientra nei poteri del
premier.

Osservo che non esiste in nessun Paese europeo l'elezione diretta del primo
ministro né esiste la sfiducia costruttiva limitata all'ambito della
maggioranza parlamentare.

3. Il Capo dello Stato è semplicemente un notaio. Serve a certificare come
autentici gli atti che il "premier" sottopone alla sua firma. Ogni controllo
di legalità e di costituzionalità di tali atti gli è precluso. La sua firma
di certificazione è un atto dovuto. Sta scritto nella legge che egli è il
garante dell'unità federale dello Stato. Ma i modi e i poteri attraverso i
quali possa esercitare quella garanzia non sono previsti. Il solo modo
possibile che ha è di dimettersi dalla carica che ricopre. Chi sta al
Quirinale avrà dunque soltanto diritto al picchetto d'onore e poteri di
tagliar nastri, portare corone d'alloro al Milite ignoto e inviare
telegrammi d'auguri o di condoglianze a seconda dei casi.

4. Il Senato federale non si sa che cosa sia e non lo sanno, credo, nemmeno
coloro che ne hanno proposto l'istituzione. Esamina solo le leggi regionali
e quelle che interessino le regioni. Qualora vi sia conflitto di competenza
tra Senato e Camera, la decisione viene presa da una Commissione paritetica
che configura una sorta di terza Camera.

5. Sulla devoluzione di poteri alle Regioni non mi diffonderò, è materia già
spiegata fino alla noia. Il fatto che, ciò nonostante, nessuno ci capisca
niente vuol dire semplicemente che si tratta di materia non comprensibile.

Esempio: l'organizzazione delle istituzioni sanitarie è di esclusiva
competenza regionale ma la tutela della salute è di competenza dello Stato.

Così per la scuola e per i suoi programmi. Lo Stato comunque ha il potere di
avocare a sé in qualunque momento poteri devoluti qualora la situazione lo
richieda. Si tratta insomma d'una devoluzione-fisarmonica che si allarga o
si restringe a capriccio e secondo gli umori.

6. I Comuni sono in coda alla gerarchia amministrativa, fiscale e politica.
Sopra di loro non c'è più soltanto il bieco Stato centralista, ma anche
l'amorevole regione neo-centralista. E le province? Nebbia e mistero.

7. Le regioni possono accorparsi fondendosi tra loro. Ma possono anche
cambiare confini. Se i piacentini volessero uscire dall'Emilia e aggregarsi
alla Lombardia o al Piemonte potrebbero farlo senza che l'Emilia abbia
potere di opporsi. E viceversa se il lodigiano volesse trasmigrare in
Emilia. Anche qui fisarmonica, che si porta dietro ospedali, imprese,
gettito tributario, risorse bancarie e professionali.

Tralascio il resto. Sembra un "puzzle" costruito da un pazzo.

8. Il "puzzle del pazzo" (scusate la cacofonia) andrà in vigore nel 2011 nel
caso migliore, oppure nel 2016. Il motivo di questa lunghissima dilazione è
il seguente: la legge prevede di andare in vigore nella legislatura
successiva a quella nella quale avviene l'approvazione. Se il referendum
confermativo avverrà entro il 2006 la legge di cui qui si discute entrerà a
regime nella legislatura che inizia nel 2011; ma se il referendum avverrà
dopo il 2006 (e sempre che approvi il "puzzle del pazzo") la legge sarà a
regime nel 2016.

Non esiste nel mondo intero un solo caso d'una nuova Costituzione (perché di
questo si tratta) che entri in vigore sei o undici anni dopo la sua prima
approvazione. Motivo? Forse segretamente sperano che qualcuno negli anni a
venire butti per aria il "puzzle del pazzo".

9. C'è un'altra possibilità. Che la Corte costituzionale, messa in moto da
un magistrato ordinario o da un ricorso di Regioni, stabilisca che la
procedura adottata modificando con un'unica legge 43 articoli della
Costituzione violi quanto previsto dall'articolo 138, che esclude riforme "a
sacco". In tal caso la legge in parola sarebbe cassata. Questo però potrebbe
avvenire solo dopo la sua approvazione finale.

Ci sarebbe ancora molto da scrivere e da spigolare ma ne faccio grazia. Alla
mia età ne ho già viste tante e tante ne ho lette o sentite raccontare. Una
storia come questa però supera l'immaginazione. Perciò sono anche contento
d'averla vissuta in presa diretta. Ungaretti parlava di allegria di naufragi
e Montale di come si cammina sul ciglio d'un muro dove sono infissi i vetri
acuminati d'una bottiglia rotta. Qui è diverso. Qui un gruppo di buontemponi
giocano a palletta con lo Stato e si battono le mani da soli sperando che
gli spettatori facciano altrettanto.

Non era mai accaduto un fatto simile. Speriamo che non accada mai più.


(17 ottobre 2004)
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