[NuovoLaboratorio] portomarghera 80 milioni di risarcimento

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Autore: Andrea Agostini
Data:  
Oggetto: [NuovoLaboratorio] portomarghera 80 milioni di risarcimento
da lanuovaecologia.it
7 ottobre 2004

PETROLCHIMICO|
Il legale: «I dirigenti sapevano fin dagli anni Settanta»

Porto Marghera, risarcimento di 80 milioni

Porto Marghera, PetrolchimicoÈ la richiesta di Comune e Regione per le spese
di messa in sicurezza delle aree inquinate, per le indagini epidemiologiche
e per le ispezioni. A queste si aggiungono i danni riguardanti il prestigio
e l'immagine degli enti locali
Una richiesta di risarcimento per i danni patrimoniali e d'immagine pari a
oltre 80 milioni di euro è stata avanzata ieri dai legali di parte civile
del Comune di Venezia e della Regione Veneto, nel corso del processo
d'appello per le morti e l'inquinamento al Petrolchimico di Porto Marghera.
Gli avvocati Eugenio Vassallo e Matteo Garbisi hanno in particolare chiesto
per conto del Comune un risarcimento di 23 milioni e mezzo di euro, e per
conto della Regione oltre 57 milioni. Le cifre riguardano le spese sostenute
dalle amministrazioni per la messa in sicurezza delle aree inquinate del
polo chimico e della terraferma veneziana, per le indagini epidemiologiche e
per le ispezioni e il monitoraggio a cura del servizio sanitario regionale.
A queste si aggiungono i danni non patrimoniali, riguardanti il prestigio e
l'immagine degli enti locali di fronte all'opinione pubblica.
Si tratta di richieste che ricalcano quelle avanzate in primo grado (allora
circa 156 miliardi di lire), cui si aggiungono i costi delle iniziative di
tutela della salute compiute in questi ultimi anni. Nella sua arringa,
Vassallo si è soffermato in particolare sulla decisione delle aziende -
supportata dagli atti - di non procedere ai necessari aggiornamenti e alle
manutenzioni degli impianti, «nati già vecchi - ha sottolineato - perché si
rifacevano a tecnologie di prima degli anni Cinquanta». «Invece che della
cancerogenicità - ha aggiunto l'avvocato - ci si preoccupava della
pericolosità degli impianti, del rischio di esplosione. Invece già si sapeva
dei danni agli operai fin dagli anni Settanta». Secondo Vassallo, la
sentenza assolutoria di primo grado «ha dimenticato o ha stravolto
testimonianze importanti, che dimostrano quanto le aziende abbiano operato
in senso contrario al dovere di mantenere la sicurezza degli impianti».
Per quanto riguarda il ruolo delle amministrazioni pubbliche, il legale ha
precisato che esse non sono mai state in grado di stabilire la ricaduta
sulla salute della popolazione, se non con recenti indagini epidemiologiche,
mentre la filosofia aziendale è stata impostata secondo un modello di
industria che ha come unico valore etico il profitto, comunque conquistato,
e che considera il capitale da remunerare come unico suo fine. «I
dirigenti - ha sostenuto il legale - sapevano, e hanno convenuto che la dea
produzione e il dio profitto prevalessero sulla salute dei dipendenti e
della cittadinanza. Per questo meritano una esplicita condanna». Riguardo
alle possibili critiche riguardo al ruolo degli enti locali, Vassallo ha
infine ricordato «il ricatto occupazionale, quando alle richieste di tutela
della salute si opponevano minacce di licenziamento. Anche di recente, di
fronte alle resistenze della Regione riguardo l'aumento della produzione di
Cvm, da parte dell'impresa vi sono state minacce di cassa integrazione,
facendo aleggiare anche lo spettro della perdita di posti di lavoro».




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PETROLCHIMICO|Riapre il processo, la requisitoria di Casson

«In 128 al lavoro, malati»

Felice Casson Il pm ha mostrato in Tribunale le schede di numerosi
lavoratori, addetti in particolare alle autoclavi, cui erano state
riscontrate alterazioni epatiche fin dagli anni '70 e che continuarono a
lavorare con il Cvm

Il processo al Petrolchimico di Porto Marghera «è indiziario come quello per
l'incendio della Fenice, dove sommando i vari elementi si è arrivati a un
quadro giudiziario certo». Lo ha sostenuto il pm Felice Casson, nel corso
della seconda udienza dedicata alla requisitoria nel procedimento di secondo
grado contro i 26 ex dirigenti di Montedison ed Enichem,
Porto Marghera, Petrolchimico
accusati per le morti e l'inquinamento causate dal cloruro di vinile
monomero (Cvm). Citando una serie di sentenze della Cassazione relative al
nesso di causalità tra esposizione al Cvm e insorgenza delle malattie negli
operai - ritenuto non provato dai giudici del primo grado - Casson ha
sottolineato che «non corrisponde al nostro sistema un'impostazione teorica
che, dominata dall'incertezza, rende impossibile alcun accertamento della
verità giudiziaria». Secondo il pm, inoltre, «il principio della certezza
assoluta richiesta dal Tribunale è utopistico. Questo è il nostro sistema
giudiziario, e non dobbiamo avere un atteggiamento pilatesco». Illustrando
le diverse sentenze della Suprema Corte, Casson ha sottolineato che al
Petrolchimico «l'esposizione al Cvm ha concorso nel causare malattie, o ha
anticipato un evento previsto, come la morte. Questo i vertici delle aziende
lo sapevano da tempo, e la prevedibilità dell'evento non è estranea alla
causalità». Quanto al ruolo del cloruro di vinile nell'insorgenza delle
malattie, il rappresentante dell'accusa ha precisato di averlo considerato
«sempre come una concausa, non l'unica causa dell'insorgenza dei tumori.
Questo è evidente e dimostrato. Ma chi vuole negarlo deve dimostrarlo».
Durante l'udienza della requisitoria di Casson è emerso un dato inquietante:
sono 128 in totale i casi di operai addetti alla produzione di Cvm al
Petrolchimico di Porto Marghera rimasti a lavorare in reparto nonostante i
medici del lavoro ne chiedessero l'allontanamento per gravi motivi di
salute. Il magistrato ha proposto in aula schede mediche relative a
lavoratori, in particolare addetti alle autoclavi, cui erano state
riscontrate alterazioni epatiche fin dai primi anni '70. Gli operai
contrassero malattie come angiosarcoma, epatocarcinoma, cirrosi e morbo di
Raynaud. Fra di essi figura anche l'ultimo deceduto, Rino Faggian, cui fu
diagnosticata l'alterazione epatica nel 1977 con conseguente indicazione di
allontanamento, che non avvenne mai fino alla pensione. E Faggian morì di
angiosarcoma nel 1999. Questi casi, secondo Casson «sono l'esempio di un
comportamento omissivo, e quindi di colpa specifica, da parte delle
aziende». Criticando la sentenza di primo grado, giudicata in questo punto
contraddittoria, il magistrato ha ribadito che «le aziende devono rispondere
dei morti e dei malati perché sono state violate norme specifiche di
condotta, e sono stati messi in atto comportamenti contra legem». Sulle
responsabilità specifiche di ciascuno dei 26 imputati verrà dedicata una
delle prossime udienze della requisitoria, mentre le richieste di pena
verranno avanzate dal pm Casson verso la metà di luglio, dopo che anche il
sostituto procuratore generale Bruno Bruni avrà terminato la sua parte di
requisitoria, dedicata ai reati ambientali.