[Cerchio] Ammazzarsi di fatica, morire di lavoro

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Auteur: clochard
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Sujet: [Cerchio] Ammazzarsi di fatica, morire di lavoro
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      Ammazzarsi di fatica, morire di lavoro
      di  benzina
      06 Oct 2004
       Nell'800 e nella prima metà del secolo scorso si moriva di lavoro, e
quelle morti avevano chi le cantava: "El mesté de la filanda/ l'è el mesté
degli assassini/ poverette quelle figlie/che son dentro a lavorar." "Nella
miniera è tutto un baglior di fiamme/ piangono bimbi, spose, sorelle e
mamme/./ Va l'emigrante ognor con la sua chimera/ lascia la vecchia mamma e
il suo casolar/ e spesso la sua vita nella miniera". Poi ci sono stati i
BeeGees con "New York Mining Disaster", poi Jannacci con "Vincenzina e la
fabbrica" (già più mal di vivere che mal di lavorare). Poi non si è più
cantato. Ma si continua a morire. Cronaca di un giorno qualsiasi, di una
settimana qualsiasi di questa estate 2004: "Infortunio mortale sul lavoro:
un operaio di 36 anni, sposato e padre di un figlio in tenera età, è morto
tra gli ingranaggi di una pressa".


      "Grave incidente sul lavoro, ieri mattina: un muratore kosovaro di 28
anni, V.H., dipendente in regola della xy, è precipitato dal tetto di un
capannone in costruzione. L'uomo stava lavorando sul tetto del
prefabbricato, quando ha perso l' equilibrio ed è precipitato da un'altezza
di undici metri"


      "L'operaio stava manovrando l'escavatore, all'interno del cantiere,
quando il terreno ha iniziato a cedere. La ruspa si è ribaltata precipitando
in un piccolo dirupo. Sotto si trovava V. S., che non è riuscito a scansare
il mezzo. Travolto, l'uomo è morto sul colpo".


      Sui giornali le solite poche righe, le morti sul lavoro guadagnano la
prima pagina solo quando fanno veramente "il botto", come per l'esplosione
della fabbrica di fuochi artificiali nel napoletano di un paio di settimane
fa (fabbrica oltretutto "in regola"), o l'incidente mortale di Genova, nel
novembre scorso, al cantiere per il Museo del Mare.


      In media ci sono quattro morti sul lavoro al giorno in Italia. Secondo
i dati Inail le cose starebbero migliorando. Nel 2003 gli infortuni sul
lavoro, nel nostro Paese, sono diminuiti dell'1,8 per cento e anche quelli
mortali sono risultati in calo di circa 100 unità. Complessivamente i morti,
l'anno scorso, sono stati 1.311 (1.418 nel 2002), mentre gli infortuni sono
scesi a 951.834 rispetto ai 968.853 dell'anno precedente. Il calo degli
infortuni raggiunge il -2,8% tenendo conto dell'impatto occupazionale
cresciuto di 225.000 unità (1%). Gli infortuni sul lavoro risultano in calo
di circa 17.000 unità (-1,6% nell'industria e -4% nell'agricoltura).


      Rimane stabile (ovvero raccapricciante) il dato nel settore dell'
edilizia. L'Inail ammette che il calo è in parte dovuto all'introduzione
della patente a punti. Non è una battuta: la diminuzione degli incidenti
stradali (che però, almeno in questi mesi estivi, hanno ripreso a crescere)
incide sulle statistiche Inail da quando vengono considerati e calcolati
anche gli incidenti in itinere, cioè quelli nel tragitto da casa al lavoro e
viceversa.


      Quello che l'Inail non può dire è che il calo riguarda gli infortuni
"denunciati".


       Abbiamo letto, nelle cronache da Melfi, di come l'operaio sia
vivamente pregato di non denunciare l'infortunio ma di mettersi in malattia;
i lavoratori in nero non esistono per le statistiche, salvo quando muoiono,
e non si riesce a eliminare efficacemente il cadavere (31 luglio, Milano:
"titolare simula incidente per coprire morte di un suo operaio.Un operaio
clandestino che lavorava nella sua impresa muore in un incidente sul lavoro
e lui per nascondere il fatto simula un incidente stradale" .


      4 agosto, Assisi: "Cade da impalcatura, lo credono morto, il padrone
lo abbandona in un campo" Sfortuna ha voluto che Mohammed B. si era solo
rotto un po' di ossa, e ha potuto raccontare).


      Gli incidenti vengono taciuti, nessuno sa niente, nemmeno l'Inail con
le sue percentuali. Quando proprio non è possibile evitare la denuncia
allora si procede all'assunzione. Sono numerosi gli incidenti che capitano
il primo giorno di lavoro, ma non si tratta di inesperienza o sfortuna
cieca, il dato è drogato dalla corsa alla regolarizzazione. Pare accertato
che il contratto di lavoro del lavoratore albanese morto costruendo per
Genova Capitale Mondiale della Cultura sia stato depositato due giorni dopo
la sua morte.


      Quello che l'Inail non calcola sono le morti lente e silenziose e
lunghe di chi ha lavorato a Porto Marghera, alla Breda di Sesto San
Giovanni, a Priolo, in mille posti maledetti di cui si "sapeva", ma la
scelta era fra la fame subito e la morte dopo. Quello che l'Inail non
calcola, perché nemmeno lo Stato sembra orientato a riconoscerle come "causa
di servizio" sono le morti dei militari tornati dalla Somalia e dal Kosovo.


      Le morti per le quali nemmeno i Tribunali (mi viene difficile usare la
parola "giustizia") riescono a trovare un colpevole, un risarcimento, una
spiegazione. Nel 1994 è stato approvato il Decreto Legislativo 626 sulla
sicurezza sui luoghi di lavoro, entrato a regime nel 1996 (applicato a
tutti, tranne che alla Pubblica Amministrazione, per mancanza di fondi, così
che si è assistito, al Tribunale di Milano, alla "situazione disperata ma
non seria" dell'incendio per mancato adeguamento alle norme dell'ufficio del
magistrato incaricato di sanzionare e perseguire i datori di lavoro
inadempienti in materia di sicurezza).


      Normativa largamente disattesa e inapplicata, soprattutto nei settori
più a rischio, perché costosa, perché la polverizzazione delle imprese sul
territorio e le poche risorse destinate agli organi di controllo rende quasi
impossibile scoprire e sanzionare le inadempienze. Fa notizia il pretore
Guariniello di Torino che ha rinviato a giudizio cinque dirigenti RAI
"colpevoli" della sindrome del dito a scatto di una violoncellista
dell'orchestra sinfonica della RAI, fa meno notizia il piede stritolato di
chi non avuto in dotazione le scarpe antinfortunio, in un qualsiasi cantiere
di lavori subappaltati più volte.


      Dieci anni dopo il 626/94, e i suoi infiniti decreti attuativi e le
sue infinite riscritture (dopo i richiami della UE per non corretto
recepimento della normativa comunitaria), è in attesa dell'emanazione del
Testo Unico, affidato per delega al Governo: di proroga in proroga pare si
arriverà al 13 marzo 2005 (se Senato e Camera dei Deputati si saranno
ricordati di votare la proroga entro il 27 luglio).


      Nell'aria l'ipotesi di depenalizzazione e/o di trasformazione delle
attuali norme in norme di buona prassi tecnica, magari in regime di
autocertificazione. Non sembra una buona idea, in un Paese che ha un tasso
di mortalità sul lavoro superiore del 15% alla media europea (prima dell'
allargamento a Est, naturalmente).