Autore: francesca Data: Oggetto: [Incontrotempo] Incontrotempo dal manfo
Lavori a termine? C'è un santo per te
3 mila «fedeli» di San Precario si incontrano a Roma. In piazza il 6 novembre
ROBERTO CICCARELLI
ROMA
Nella sua tuta da operaio il clown Chaplin avvitava la sua vita alla catena
di montaggio. Mangiava, dormiva e amava allo stesso ritmo di un bullone al
secondo. Oggi quel clown ha smesso la tuta e indossa la divisa di una
catena commerciale, ha il volto glabro, il folto ciuffo nero e l'estasi di
San Precario che rivolge la sua preghiera al dio nascosto del plusvalore
assoluto del capitale. In uno dei suoi templi preferiti, il «laboratorio
metropolitano del precariato» Acrobax a Roma, l'ex cinodromo, tremila
fedeli di questo nuovo santo hanno onorato una delle sue numerose
festività, quella della seconda edizione di «Incontrotempo», quattro giorni
dedicati al tema del lavoro precario. I seguaci del culto sono per la
maggior parte lavoratori interinali e cognitivi. Nella domenica dedicata
alla festività di Nostro Signore Precario, questi dipendenti delle catene
commerciali, angeli dei call center, bounty-killers delle partite Iva,
volontari legati alla catena produttiva del lavoro umanitario, precari
della ricerca scientifica senza protettori in paradiso, hanno convocato per
il prossimo 6 novembre a Roma una manifestazione-street parade aperta a
tutte le componenti del movimento italiano per riaprire la battaglia sul
reddito di cittadinanza in Italia (e in Europa) per quel soggetto
molteplice, trasversale e ormai maggioritario che è diventato il
precariato. Per chi è abituato a pensare che il lavoro dei fedeli del santo
sia solo quello che si svolge ordinatamente in fabbrica, o negli uffici
pubblici, consigliamo di leggere meglio la preghiera stampata sul retro del
santino: l'aureola del santo protegge tutti quelli che si aggirano senza
più welfare negli antri delle nostre città. La vera alternativa politica
oggi è di individuare le nuove forme di conflitto all'altezza della
composizione materiale del lavoro precario.
L'idea è quella di progettare uno «sciopero metropolitano» che permetta di
coniugare la formula del corteo con strumenti che aiutino la disseminazione
del conflitto all'interno degli snodi produttivi della metropoli: «Lo
sciopero tradizionale - sostiene Andrea Fumagalli, docente di Economia
politica all'Università di Pavia - aveva come obiettivo quello di provocare
un danno per le imprese attraverso il blocco della loro attività
produttiva. In una realtà produttiva postfordista diffusa a rete sul
territorio come la nostra questo sciopero non ha alcun impatto politico».
Non si tratta dunque di immaginare i classici picchetti davanti alla
fabbriche, ma è necessario invece «chiudere ad esempio i caselli delle
autostrade, bombardare elettronicamente i call center e i server degli
uffici», bloccando temporaneamente la produzione immateriale senza far
pagare le conseguenze dello sciopero alla busta paga dei lavoratori.
Uno scenario da fantascienza politica? «Non credo - risponde la
mediattivista Francesca Bria, una delle autrici di Precarity, un dvd che
raccoglie una serie di docu-video sulle lotte antiprecarietà da Barcellona
a Seul - quando gli autoferrotranvieri di Dublino hanno dichiarato
autonomamente una giornata di trasporto gratuito, oppure quando i
giornalisti di Rainews24 hanno autogestito il palinsesto per protestare
contro dieci licenziamenti, non hanno fatto altro che socializzare la
propria precarietà attraverso una nuova forma di lotta». Il movimento si
pone anche il problema della comunicazione delle lotte: «Attiveremo un
bollettino su mailing list - dice Rafael di Acrobax, una tesi in filosofia
politica in corso e lavori part-time nella distribuzione di volantini - per
mettere in contatto quelle lotte che partiranno con l'apertura degli
"sportelli" contro il lavoro precario il prossimo 26 ottobre». Dopo
l'Euromayday che ha mobilitato lo scorso primo maggio 100 mila persone a
Milano, il movimento sembra essersi allargato: «Dall'operaio della Siemens
ai precari del Piccolo, sono stati in molti a creare dei legami con noi»,
dice Frank di Chainworkers. Quello utilizzato è un linguaggio allo stesso
tempo generico e universale, capace di includere le lotte dei disoccupati
di Acerra con quelle dei precari di Padova, Bologna, Bari e Palermo. E già
si annuncia un lungo congresso di neo-santi: da San Gennaro a San Pietrino,
il precario non sarà mai solo, anche se rimarrà ancora a lungo senza
dignità, reddito e pensione.