[NuovoLaboratorio] Fw: G. Casarino: politica e fumisterie

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Author: Luisa Conte
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Subject: [NuovoLaboratorio] Fw: G. Casarino: politica e fumisterie

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From: Luisa Conte
To: forumsociale-ponge@???
Sent: Thursday, September 30, 2004 12:20 PM
Subject: G. Casarino. politica e fumisterie


Ieri sera mi è capitato di assistere sulla 7 ad un dibattito televisivo sulle prospettive che, dal mio punto di vista di "dinosauro" politico (non è un'auto-definizione!), aveva un non so che di surreale: i miei rilievi critici si appuntano sugli interventi di Massimo Cacciari e di Michele Salvati.

Sembra di capire:

1) che in una società come la nostra (complessa, sviluppata, occidentale ecc. ecc.) non siano possibile, neppure rispetto a politiche di una destra extra-costituzionale (che si sono concretate in devastazioni culturali e disastri sociali ad ogni livello) politiche alternative che non siano più che meramente correttive (insomma, è la globalizzazione, bellezza!: i due hanno fatto rilevare come il ministro Siniscalco abbia a suo tempo contribuito al programma dell'Ulivo (e Biagi = legge 30, forse che no??);

2) che la pregiudiziale unica per poter esprimere (imporre???) qualche ideuzza al riguardo (che intellettuali illuminati come loro pur avrebbero) sia la formazione del famoso contenitore - il "partito democratico" -, ciò che, pare di capire, miracolosamente farebbe scaturire dall'attuale deserto fiori preziosi di idee e di progetti;

3) che solo questo processo (escamotage?) sarebbe in grado di garantire (a priori, stabilmente e comunque) la "messa in riga" dei riottosi ("alternativi" utili a portar voti, ma evidentemente non polo dialettico di una possibili sintesi). Come non vedere in tutto ciò, al di là della spocchiosità dei personaggi, una forzatura maggioritaria trasferita all'interno della coalizione? Forzatura e "cornice" che a quel punto prendono il posto della "battaglia delle idee" ed occupano tutto lo spazio politico all'insegna, neanche tanto nascosta, del fatto che il potere è tutto ed il programma è nulla?

Su un'altra lunghezza d'onda si muove l'articolo seguente che mi permetto di girarvi, un approccio non politologico ma che mi pare fotografi"acutamente lo "stato dell'arte". L'editoriale compare dul Manifesto di oggi.

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ROSSANA ROSSANDA

Neanche il sequestro delle due Simone ci ha privato della perpetua rissosità nell'opposizione. Della quale un solo punto è chiaro, che il «come battere» il cavaliere importa meno del «che cosa fare dopo» il cavaliere. Da che Follini ha rinverdito la speranza di una centralità democristiana, una parte della Margherita e dei Ds, oltre che lo Sdi, sono tentati da un governo che tagli le ali: a sinistra - Rifondazione, il correntone, il Pdci e forse altri -, a destra - la Lega, forse An, ma solo parte di Forza Italia. Sembra un sogno, ma è così. Non basta, la tregua concessa al governo per riscattare i quattro di «Un ponte per» diventerebbe volentieri per molti un metodo costante e assai dialogico di accordi e separazioni su singoli punti fra maggioranza e opposizione, destinato a mischiar le carte per il governo successivo quale che sia. Sarà per questo che l'opposizione strilla contro la Casa delle libertà, ma su quel che farebbe una volta al governo resta sibillina? Ds e Rutelli hanno laconicamente detto che «non tutto va cambiato», si sono astenuti sul primo articolo della devolution, Fassino è svolazzato alla convention di Kerry come da giovane svolazzava a Mosca. Non si rendono conto quanta credibilità hanno perduto dal 13 maggio a oggi. E discutono sulla pelle di un orso che ogni giorno di più rischiano di non catturare affatto.

Questa reticenza è stupefacente. Anche la diatriba su chi dovrebbe decidere il programma - Bertinotti insiste che non siano soltanto i partiti - finisce col suonare come un rinvio, perché intanto nessuno si espone. Lo ha fatto soltanto la Fiom che, essendo un sindacato, elenca le urgenze dei lavoratori: finirla con la precarietà, tener fermo il contratto nazionale, basta con la legge 30. Questione bruciante non solo perché va contro l'ondata liberista che ci sta scrosciando addosso, ma perché precarietà, flessibilità, competitività sono state la grande scoperta del primo governo di centrosinistra e costituiscono il cuore della Carta europea. Non che non potrebbero essere discusse, perché oggi si vede che non sono soltanto i lavoratori a essere penalizzati ma che la priorità data al mercato globale ha reso l'economia ingovernabile, introducendo il massimo dell'incertezza e del disordine in tutte le nazioni. La libera circolazione dei capitali e delle merci terremota ogni previsione di crescita, mentre la circolazione delle persone è resa più urgente dalla miserie di posizione e più repressa dalla parte del mondo verso la quale gli infelici convergono. Come invertire queste tendenze? Viene il dubbio che i moderati dell'Ulivo non ci pensano neanche, mentre metà della sinistra sta ancora pentendosi di aver difeso il lavoro e lo chiama statalismo e rigidità. Se ne preoccupano di più le confindustrie, visto che l'allargamento - fortemente voluto dagli Usa - dell'Europa all'Est sta dando luogo a un colossale sistema di dumping. Mettere un freno a questi processi, come ha proposto Zapatero, implica che i governi rivedano i parametri dei trattati europei e che i sindacati cessino di credere che in un'economia globale il lavoro possa essere organizzato nazionalmente. E che dice la nostra opposizione sulle tasse? Si propone di redistribuire il reddito colpendo le ormai enormi rendite per alleviare le fasce più deboli e garantire i servizi collettivi invece che affidarli al mercato e se li compri chi può?

E poi. La Casa della libertà ha fatto dell'Italia il miglior amico di Bush. Romano Prodi ripete che l'Europa deve parlare con una sola voce. Quale, prego? Germania, Francia e Spagna dicono no a Bush e chiedono il ritiro americano dall'Iraq, il Regno Unito, l'Italia, l'Est e altri restano avvinghiati al Pentagono. La stessa divisione entra fin nella Margherita e nei Ds. La sola voce europea che direbbe? E, attenzione, nessuna delle due scelte è indolore e asettica, come non è semplice né asettico invertire l'ondata liberista. Proprio per questo evitar di parlarne rende l'opposizione poco credibile.

Sono solo due esempi di questioni decisive, che la destra cavalca ma senza che chi chiede il voto contro Berlusconi dica quale progetto ha, sempre che l'abbia. Viene il dubbio che chi non si sforza di convincere ha già smesso di puntare a vincere.


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