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Il ministro Scajola scrive al Secolo XIX
«Ecco la verità sul G8 che avrei voluto dire alla Festa dell'Unità»
Caro direttore
A conclusione della "Festa dell'Unità" di Genova, non posso rinunciare
ad esporre, come avrei fatto alla Festa, la posizione del governo
sull'immigrazione,
senza esimermi dal chiarire, una volta per tutte, le mie "vere"
responsabilità
politiche nella gestione del G8 di Genova. A me - lo confesso - è
dispiaciuto
non poter partecipare. Anche perché chi mi conosce sa che non ho
l'abitudine
di abbandonare il fronte, di rinunciare al confronto democratico con gli
avversari politici, specie se duro, e, infine, di lasciare senza risposte
le domande
che mi vengono poste, anche se in forma poco corretta. Nella mia lettera
agli organizzatori della Festa, con la quale ho rinunciato ad un reiterato
invito,
avevo già fatto cenno a questa malattia ereditaria della sinistra,
alimentata
da un mai dismesso pregiudizio ideologico, da una indegna intolleranza
verso
gli avversari politici e dal vizio, mai sradicato, di matrice staliniana,
a falsificare
storia e a manipolare le responsabilità, per fini strumentali e di parte.
Con
passare dei giorni, mi sono sempre più convinto che la polemica, innescata,
autorevolmente e provocatoriamente, da Antonio Padellaro sull'Unità verso
gli organizzatori della Festa, a causa dell'invito esteso ad alcuni tra i
"peggiori"
esponenti del potere berlusconiano, e, poi, stigmatizzata, in un crescendo
rossiniano, da tutte le opposizioni, interne ed esterne, ai Ds, abbia
ubbidito,
come in un replay storico, a due perverse logiche del passato comunista.
Logiche che, ancora oggi, a quindici anni dal 1989, rappresentano la
dannosa eredità ideologica del post-comunismo italiano.
La prima consiste nel prendere in ostaggio un avversario politico per
lanciare, in forma indiretta, un avvertimento, in attesa di un regolamento
interno dei conti, tra la direzione del quotidiano e l'attuale vertice dei
Ds, oppure tra la minoranza e la maggioranza del partito.
La seconda, meno contingente e più allarmante, si identifica con quella
che Ferdinando Adornato, commentando la recente intervista di Giuliano
Amato sul "pensiero grigio" della sinistra italiana, ha definito la
sindrome del pensiero innocente: la presunzione della sinistra, qualsiasi
posizione assuma, di stare sempre e comunque, dalla parte del Bene, del
Giusto e dell'Innocenza; al posto dei propri avversari politici, giudicati
sempre come esponenti del Male, naturalmente malevoli e colpevoli,
incapaci, per definizione, di esprimere qualsiasi anelito ideale o parte
della Verità. Vittime storiche di questa sindrome sono stati, tra i tanti,
Alcide De Gasperi e ministri dell'Interno del calibro di Mario Scelba e di
Paolo Emilio Taviani. La vittima più recente rimane Silvio Berlusconi.
***
Sul tema della partecipazione alla vita politica degli immigrati, avrei
ribadito una posizione già espressa. Riconosco che quelli che da noi
vengono, lavorano e si comportano nel rispetto della nostra storia, delle
nostre leggi e della nostra identità nazionale, abbiano giustamente il
diritto di partecipare, in qualche forma, alla vita politica e sociale,
arrivando, a conclusione di un percorso, oltre che ad osservare doveri, ad
esprimere un diritto di voto. Il problema non è il principio, che è
condivisibile, ma come questo principio possa essere applicato, senza
scorciatoie provocatorie che creino rotture nel sistema ordinamentale.
Personalmente, preferirei la strada maestra di modifica della legge sulla
cittadinanza per ampliare ed accelerare i termini per la concessione della
stessa. Verificando, nel tempo, il comportamento sociale dell'immigrato
lavoratore, lo si trasforma, così, in un cittadino pieno, in grado di
esercitare tutti i diritti costituzionalmente garantiti, di elettorato
attivo e passivo. Senza creare soggetti di serie A e soggetti di serie B.
Ecco perché ho giudicato come un'autentica provocazione politica, più che
una coerente proposta giuridica, la modifica introdotta allo Statuto del
Comune di Genova, che il Governo, come era suo preciso dovere, è stato
costretto ad impugnare, ritenendola costituzionalmente illegittima. Né
confonderei, come fa l'amico Pericu, la questione del diritto di voto agli
immigrati con il federalismo e l'autonomia degli Enti Locali.
Né esiste contraddizione tra la posizione del Governo e quella proposta da
Fini. La proposta di legge di An non contempla, infatti, forzature agli
Statuti comunali, bensì una corretta modifica dell'art. 48 della
Costituzione. Infatti, il diritto di voto attivo e passivo, secondo la
proposta Fini, dovrebbe essere attribuita agli stranieri non comunitari,
residenti stabilmente e regolarmente in Italia da almeno sei anni, con
permesso di soggiorno rinnovabile, con reddito sufficiente per sé e per i
propri familiari e che non abbiano commesso alcun reato grave. Non nego
che la proposta Fini di concessione del voto amministrativo agli
immigrati, a particolari condizioni, abbia aperto un dibattito, anche
vivace e non ancora concluso, all'interno della maggioranza di Governo. E
so anche bene che gli Italiani sono aperti sul tema dell'estensione dei
diritti di partecipazione dei cittadini extracomunitari alla vita
politica, ma - lo ripeto - non sono possibili scorciatoie.
Per quanto riguarda l'immigrazione clandestina, la legge Bossi-Fini è una
buona legge che ha prodotto effetti largamente positivi. Ed attende ancora
di essere pienamente applicata. E' ormai necessaria una politica comune di
tutti i Paesi dell'Unione europea, che non possono più tardare ad
affrontare congiuntamente una problematica che investe l'Unione. Il
Consiglio dei Ministri ha colmato alcune lacune create dalle sentenze
della Corte Costituzionale, rendendo più efficaci le procedure in materia
di espulsioni, senza rinunciare alla fermezza e al rigore, che ispirano la
politica del Governo nei confronti dell'immigrazione clandestina.
***
Il governo Berlusconi, ad un mese dal suo insediamento, si trovò impegnato
a garantire, nel luglio 2001, lo svolgimento del G8, in una città come
Genova, scelta dal Governo di centro-sinistra, oggettivamente inidonea,
per la sua conformazione urbanistica, a rendere efficace la tutela
dell'ordine pubblico e della sicurezza. Fu, per me, da ministro
dell'Interno e da principale garante politico dell'ordine pubblico e della
sicurezza, come salire su un treno in corsa, senza poter cambiare percorso
e stazioni d'arrivo. Nel rispetto della continuità istituzionale mi
adoperai, nel brevissimo tempo a disposizione, come era mio dovere, ad
apportare i correttivi opportuni e a rafforzare il dispositivo, già
preventivato. In particolare, a causa delle minacce del terrorismo
internazionale, di cui si sospettava la presenza di basi operative in
Italia, si decise, per la prima volta, la chiusura dello spazio aereo su
Genova e una difesa missilistica sul territorio. Nessuno dimentichi che,
dopo soli due mesi, quelle minacce si tradussero, negli Stati Uniti, nel
tragico attacco alle Torre Gemelle di New York e al Pentagono.
I principali obiettivi del Governo erano: assicurare il regolare
svolgimento del Summit; tutelare i diritti e l'incolumità dei genovesi;
garantire la libertà di manifestazione, purché pacifica, agendo con rigore
ed intelligenza nel contrastare le minoranze violente, senza rispondere
alle provocazioni; aprire un dialogo nei confronti del movimento
antiglobalizzazione per disinnescare tensioni e suggerire a tutti,
attraverso il confronto, una condotta prudente e ragionevole; confermare
la fiducia nei responsabili delle Forze dell'Ordine e in tutti gli
operatori preposti all'ordine pubblico e alla sicurezza.
La mia preoccupazione arrivò a chiedere un briefing con i commissari
dell'ordine pubblico, a Genova, alla presenza dei vertici delle Forze
dell'Ordine, per raccomandare a tutti, anche a voce, disponibilità a
dialogare, senza cedere alle provocazioni ed isolando i facinorosi che
minacciavano di mettere Genova "a ferro e a fuoco". Nell'occasione
ricordai che "le Forze di Polizia non sono forze repressive, ma forze
democratiche che svolgono funzioni di sicurezza anche per chi manifesta,
partendo dalla premessa che i manifestanti non sono nemici, ma cittadini
che stanno esprimendo le loro idee".
Queste furono, in sintesi, le mie direttive e queste sono le mie "vere"
responsabilità politiche. Resto convinto che le Forze dell'Ordine abbiano
operato nel rispetto di queste direttive, pur costretti a rispondere, in
alcuni casi, a pesanti attacchi, che provocarono gravi incidenti ed anche,
pur se in condizione di legittima difesa, l'evento doloroso della morte di
un manifestante. Evitarono che ci fossero più gravi conseguenze, per cui
bisogna essere grati ad esse, ancora oggi, per lo spirito di servizio e di
abnegazione che, anche in quella difficilissima situazione, dimostrarono.
Per quanto riguarda gli eventuali eccessi, diedi subito disposizione per
la massima collaborazione con la magistratura inquirente al fine di
accertare fatti penalmente rilevanti, a carico di dirigenti ed operatori
di polizia che avessero potuto tralignare dalle mie direttive, come si
ipotizzava nel caso della perquisizione della Scuola Diaz e per i fatti
della Caserma Bolzaneto. Per dichiarare qualcuno colpevole, comunque,
bisognerà attendere tutti i gradi del giudizio.
Il mio animo è tranquillo. Non ho mai coperto nessuno. Ho adottato tutti i
provvedimenti per consentire che il Summit si svolgesse nel migliore dei
modi e, poi, per accertare, in piena serenità ed imparzialità, presunte
singole responsabilità sugli eventuali abusi. Questo ho voluto ripetere, a
tre anni di distanza, per dare una risposta corretta anche alla
persistente strumentalizzazione politica, non certo alla mia coscienza e
alla Storia.
Claudio Scajola
19/09/2004
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