[Lecce-sf] Fw: Documento su situazione Iraq

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Autor: Gaetano Bucci
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Assunto: [Lecce-sf] Fw: Documento su situazione Iraq

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[BSF] Desaparecidos & terrorismo di Stato

Desaparecidos & terrorismo di Stato

NOI ACCUSIAMO



Il sequestro dei volontari del "Ponte per" aggiunge un
ulteriore drammatico tassello all'escalation della
sporca guerra in Iraq. Il Ponte è una delle
organizzazioni non governative presenti in Iraq da più
tempo. Si sempre adoperata contro l'embargo che ha
decimato per più di un decennio la popolazione
irachena, ha in campo da anni progetti di solidarietà,
si è sempre schierata apertamente contro la guerra ed
è stata il motore di numerosi convogli di aiuti
umanitari diretti alle città irachene bombardate e
assediate dalle truppe statunitensi e del governo
fantoccio iracheno. Quest'ultimo ruolo sembra essere
quello che ha portato prima il giornalista italiano
Baldoni e poi le due Simone e i cooperanti iracheni
del "Ponte per" nel mirino degli squadroni della
morte.



Chi ha voluto colpire i testimoni scomodi
dell'occupazione in Iraq?

Chi, dunque, ha guidato ed organizzato il commando che
è penetrato direttamente e non casualmente nella sede
del Ponte a Bagdad e ne ha sequestrato gli attivisti?
Questo sequestro, come quelli appena precedenti del
giornalista pacifista Baldoni - barbaramente ucciso
insieme al suo interprete palestinese ma di cui ancora
non è stato trovato né si sta cercando il cadavere -
insieme a quello di due giornalisti francesi - cioè di
un paese apertamente non belligerante in Iraq -sono
sequestri diversi da quelli precedenti. Lo sono negli
obiettivi e nella pratica.

Il modello operativo dei sequestri appare infatti più
simile al modello degli squadroni della morte
latinoamericani che conducono la guerra sporca al
fianco di quella convenzionale condotta dagli
eserciti. Il loro obiettivo è di fare la terra
bruciata intorno alle ragioni della resistenza
colpendo giornalisti, attivisti umanitari, schierati
contro la guerra e testimoni scomodi. Queste cose non
le insegnano nelle moschee ma nelle scuole
antiguerriglia negli Stati Uniti. L'ambasciatore
statunitense in Iraq, John Negroponte, è un'esperto
della materia essendo stato il plenipotenziario
statunitense in Centro-America negli anni ottanta,
quelli dei desaparecidos, degli squadroni della morte,
del genocidio in Guatemala, della repressione più
feroce in Salvador e Honduras e del terrorismo di
stato americano in Nicaragua. Lo stesso "premier"
iracheno Allawi, è uno del mestiere essendo stato
addestrato dalla CIA. In una intervista a Le Monde e
al TG3, il capo degli ulema, Al Kubaysi, ha parlato
esplicitamente di servizi segreti di un paese
straniero come responsabili del sequestro dei
volontari del "Ponte per".



Perché hanno colpito i testimoni e i volontari
italiani?

Una ricostruzione attenta del sequestro e della
"morte" del giornalista Enzo Baldoni aiuta meglio a
comprendere il perché siano stati colpiti i volontari
del "Ponte per". Baldoni e il suo collaboratore, il
palestinese Ghareeb, erano stati tra gli organizzatori
di quei convogli umanitari che in questi mesi hanno
forzato gli assedi di Falluja e Najaf, portando acqua,
viveri, medicine alle popolazioni assediate. Questi
convogli sono nati spessi nella sede del "Ponte per" a
Bagdad, diventata un punto di riferimento per tanti
giornalisti, volontari, attivisti che cercano di
documentare la vita quotidiana nell'Iraq occupato
militarmente ma non certo normalizzato. Spesso devono
forzare l'inattività della Croce Rossa Italiana che il
commissario governativo Scelli sta privando della sua
neutralità e credibilità facendone uno strumento
collaterale e non indipendente delle forze militari di
occupazione. Ma questi convogli umanitari alle città
assediate non sono più tollerati dai comandi militari
statunitensi. Il settimanale "Diario" del 9 settembre,
basandosi sulle corrispondenze di Baldoni, riferisce
la frase di un ufficiale americano "Noi vogliamo
prenderli per fame e voi andate a portargli i
viveri?". Il collaboratore di Baldoni, il palestinese
Ghareeb, era un organizzatore infaticabile di questi
convogli e conosceva e collaborava con i volontari del
"Ponte per" a Bagdad.

Dunque non era più tollerabile che giornalisti e
attivisti italiani, il cui governo sostiene la guerra
ed ha inviato migliaia di soldati ad occupare il sud
dell'Iraq, potessero continuare a mettersi in mezzo
con iniziative umanitarie che ridicolizzavano anche la
Croce Rossa Italiana del commissario Scelli resa ormai
collaterale alla politica del governo Berlusconi.
Costoro avevano bisogno di una lezione, così come gli
attivisti umanitari, i giornalisti ficcanaso o i
religiosi troppo impegnati in Salvador, Guatemala,
Nicaragua, Honduras. In realtà gli Stati Uniti stanno
perdendo la loro guerra in Iraq e sono consapevoli che
dovranno farne un vero e proprio mattatoio, per questo
non vogliono testimoni.



Un sequestro anomalo e l'ombra del terrorismo di Stato

"Se volessero colpire noi, verrebbero a prenderci
direttamente, tutti sanno che siamo qui". Queste sono
le parole, amaramente profetiche, che Simona Torretta
aveva riferito ad un noto fotoreporter pochi giorni
prima del sequestro e dopo che una bomba di mortaio
aveva danneggiato la sede del "Ponte per" a Bagdad il
due settembre scorso (riportato ne "Il Manifesto", 8
settembre). Lo stesso fotoreporter riferisce di gente
strana, occidentali, nepalesi, iracheni che si
precipitano sul posto dopo l'esplosione. Il capo del
consiglio degli Ulema, Al Kubaysi testimonia che
Simona e Simona il giorno prima del sequestro erano
andate da lui in cerca di protezione perché si
sentivano minacciate. Da chi? Cinque giorni dopo, il 7
settembre, Simona Pari, Simona Torretta e due
cooperanti iracheni Ra'ad Alì Abdul Aziz e Manhaz
Bassam, venivano sequestrati e sparivano nell'inferno
iracheno.

Il commando che attua il sequestro è diverso da tutti
gli altri che hanno operato gli altri sequestri in
mesi. Il sequestro è mirato. Hanno i nomi di chi
devono portare via. Hanno divise ed armi in dotazione
ai "contractors" (vedi la corrispondenza dell'inviato
de"Il Messaggero" del 12 settembre), hanno grandi
fuoristrada e colpiscono in una zona "protetta" dai
militari americani a Bagdad dove hanno sede due
ministeri, l'OMS e diverse organizzazioni umanitarie.
Non si tratta dunque di un gruppo "islamico" di
sequestratori arrangiato o improvvisato che ferma le
macchine lungo le strade dell'Iraq e ne rapisce i
passeggeri sperando di ottenere un riscatto. Si tratta
invece di professionisti dell'antiguerriglia che hanno
agito con sicurezza ostentata per terrorizzare
giornalisti e volontari e mandare via tutti i
testimoni scomodi. L'esodo delle ONG dall'Iraq, ne è
la conferma.

Nessuna delle rivendicazioni arrivate è stata ritenuta
credibile. In altri casi, vedi quello del giornalista
statunitense Micah Garen, il sequestro era stato
rivendicato e gestito pubblicamente dal movimento di
Al Sadr (vedi "La Repubblica" del 23 agosto)

E' un altro stile, un altro modello operativo ed ha un
altro obiettivo: fare terra bruciata degli attivisti e
dei testimoni scomodi sulla barbarie dell'occupazione
militare statunitense, inglese e italiana dell'Iraq.
Prende corpo un'altra ipotesi, prima sussurrata o
denunciata da pochi ma che oggi sta venendo fuori con
drammatica limpidezza anche nelle parole di Noam
Chomski: il terrorismo di Stato. Saremmo dunque in
presenza di quel modello di squadroni della morte già
utilizzato il Centro-America e di cui l'ambasciatore
USA a Bagdad, John Negroponte è un esperto.

E' un po' come fu la strage di Piazza Fontana in
Italia: la versione di comodo (il terrorismo islamico)
che perde pezzi mentre prende corpo la pista più
credibile (il terrorismo di Stato da parte dei governi
occupanti in Iraq e del governo fantoccio iracheno).



Il governo Berlusconi deve essere inchiodato alle sue
responsabilità

Il governo Berlusconi porta già il fardello orribile
di aver trascinato l'Italia nella guerra in Iraq. Lo
ha fatto schierandosi prima con l'ingiustificata
aggressione anglo-statunitense e poi inviando tremila
soldati a partecipare all'occupazione militare del
paese. Le denunce che continuano ad arrivare sulle
malefatte del contingente militare italiano a Nassyria
(le uccisioni di decine di civili nella battaglia dei
ponti, le rivelazioni dei bersaglieri pubblicate da
"Il Manifesto", le ambulanze colpite come documentato
dal giornalista americano Micah Garen) stanno
togliendo qualsiasi alone di "missione di pace" a
quella che è chiaramente una operazione di guerra.
Questa condizione dell'Italia come "Stato belligerante
ed occupante" in Iraq, espone il paese ai contraccolpi
e alle conseguenze della guerra. Lo espone in Iraq
dove ci sono i soldati (già ne sono morti più di venti
e decine sono rimasti feriti) ma anche volontari o
giornalisti italiani e lo espone qui in Italia alle
ritorsioni che potrebbero assumere il carattere di
attentati terroristici come avvenuto in Spagna.

Il governo Berlusconi si è già reso responsabile di
una sospetta latitanza nel sequestro del giornalista
Enzo Baldoni (per il quale poco o nulla sta facendo
per recuperarne il cadavere, come denunciato
dall'inviato del Corriere della Sera) ed ora lo è
ancora di più per il sequestro di Simona Torretta e
Simona Pari.

Il tentativo del governo Berlusconi di nascondersi
dietro l'unità nazionale in nome alla lotta contro il
terrorismo, è un orribile inganno che deve essere
sventato, smantellato e rovesciato.

E' decisamente ridicolo richiamarsi al "modello
francese", in cui tutto il paese si è stretto e
mobilitato per chiedere il rilascio dei due
giornalisti sequestrati. Lo è per due semplici motivi:

1)      Il governo francese si è schierato contro la
guerra e non ha inviato militari ad occupare l'Iraq,
ha avviato colloqui con tutto il mondo arabo e non ha
esitato a far sentire la sua voce critica anche verso
gli Stati Uniti che hanno incentivato i bombardamenti
a tappeto sulle città irachene;


2)      Il governo francese, si è rifiutato di
incontrare il "presidente" iracheno Gazi Al Jawar
perché le ritiene responsabile dell'incolumità dei due
giornalisti sequestrati. Al contrario Berlusconi e
Ciampi hanno confermato la visita in Italia, hanno
stretto la mano al presidente iracheno, hanno ribadito
che non intendono ritirare le truppe dall'Iraq e
continuano ad essere subalterni e omertosi verso gli
Stati Uniti.




La sera stessa del sequestro dei volontari del "Ponte
per", il governo emanava un comunicato in cui forniva
la versione di comodo: gli autori erano un imprecisato
"gruppo islamico". Eppure non c'era stata alcuna
rivendicazione e le uniche indiscrezioni dicevano che
il commando di sequestratori affermava di essere agli
ordini del governo iracheno.

I partiti dell'opposizione (Centro-sinistra e PRC)
hanno commesso scientemente un gravissimo errore
accettando il tavolo dell'unità nazionale contro il
terrorismo con il governo e abbassando il tiro sulla
richiesta del ritiro immediato delle truppe dall'Iraq,
cosa che invece non hanno fatto Verdi e PdCI pur
presenti all'incontro con il governo. La copertura
della lotta al terrorismo è anch'essa un orribile
inganno che porta fuori strada le iniziative da
prendere per ottenere la liberazione degli ostaggi e
la fine della complicità dell'Italia con la guerra in
Iraq. Se le dichiarazioni di Bertinotti sulle priorità
dell'oggi hanno provocato discussione, polemiche e
prese di distanza sacrosante nella sinistra e nel
movimento contro la guerra, ben più gravi sono state
le dichiarazioni di Violante al Corriere della Sera
secondo cui "chiedere oggi il ritiro delle truppe
sarebbe affiancare i terroristi". La trappola c'è ed è
ben evidente e ci porta direttamente ad arruolarci
dentro la logica della guerra di civiltà. Non siamo
affatto sicuri che i sostenitori di questa posizione
avventurista non ne siano pienamente consapevoli, al
contrario ci pare che si prestino ad un gioco ambiguo
che attiene alle garanzie della governabilità di un
prossimo governo di centro-sinistra. Le forze
dell'opposizione, al contrario, potrebbero e
dovrebbero incalzare il governo, inchiodarlo alle sue
responsabilità ma non affidargli deleghe in bianco
sulle trattative, chiedergli conto dei suoi alleati (e
padroni) nella guerra in Iraq, avrebbero potuto
chiedere l'annullamento della visita del presidente
iracheno Al Jawar in Italia come ha fatto il governo
francese o insistere sul ritiro delle truppe come ha
fatto il governo spagnolo..ma non lo hanno fatto. Se
la vicenda dei desaparecidos italiani in Iraq si
concluderà felicemente come auspichiamo tutti.il
merito sarà del governo che ha "coniugato la fermezza
con l'unità nazionale". Se si concluderà
drammaticamente le responsabilità saranno tutte del
"terrorismo islamico e dei movimenti pacifisti". Se
non è una trappola questa, che cosa lo è?



Guerra, terrorismo, resistenza: non facciamo
confusione

Respingendo subito al mittente le improprie
dichiarazioni di Casini ("Non voglio più sentir
parlare di resistenza in Iraq"), è anche vero che nel
movimento contro la guerra, si è affacciato in questi
mesi un dibattito non concluso né arrivato a sintesi
sulla resistenza. A renderlo pertinente ci hanno
pensato proprio gli iracheni, prima ancora erano stati
i palestinesi, ma il discorso si potrebbe e si
dovrebbe allargare all'America Latina o all'Asia. La
resistenza degli iracheni all'occupazione
anglo-americana-italiana, è arrivata inaspettatamente,
quando in molti avevano già arrotolato le bandiere
ritenendo che la presa di Bagdad e la demolizione
delle statue di Saddam Hussein avessero posto fine
alla guerra. Questa svista è stata resa possibile
anche dalla cancellazione della lotta di liberazione
in Palestina dall'agenda politica di buona parte della
sinistra italiana. Non è casuale il nesso tra il
congelamento dell'iniziativa in solidarietà con la
Palestina e la riflessione sulla "spirale
guerra-terrorismo" e sulla nonviolenza avviata nel PRC
ma anche nei movimenti.

Quella riflessione infatti non è partita tanto dal
dibattito e dalle lacerazioni sulle Foibe ma dalla
"Battaglia d'Algeri", il noto e splendido film di
Gillo Pontecorvo sulla lotta di liberazione in
Algeria. L'attuale fase della resistenza palestinese
infatti somiglia sempre più alla Battaglia d'Algeri e
sempre meno alla prima Intifada (l'Intifada delle
pietre). La stessa situazione in Israele si va
configurando come possibile conflitto tra i coloni (i
pied noirs francesi in Algeria) insieme ai partiti
oltranzisti contro un governo che vorrebbe in qualche
modo sganciarsi dalla costosa gestione del sistema
coloniale (come fece De Grulle).

L'escalation della violenza in Palestina, soprattutto
attraverso gli shaid (i "martiri" che da noi vengono
definiti impropriamente kamikaze), ha polarizzato le
posizioni anche dentro la sinistra e i movimenti in
Europa. Da un lato si è collocato chi appiattisce
questi attentati suicidi nella categoria del
terrorismo, ponendoli sullo stesso piano degli
attentati di Al Quaeda ed assumendo obiettivamente i
criteri della propaganda israeliana; dall'altro chi ha
continuato a rivendicare il diritto alla resistenza
armata dei palestinesi contro l'occupazione coloniale
e militare israeliana anche prendendo le distanze da
alcuni attentati suicidi (quelli contro i civili in
Israele). Questa seconda posizione, tra l'altro, è
quella sostenuta dalle principali organizzazioni della
sinistra palestinese (FPLP, FDLP).

L'irruzione in campo della resistenza irachena ha però
reso gracile e fuori tempo la prima riflessione. La
semplificazione ad una spirale tra guerra e terrorismo
dello scontro tra democrazia e imperialismo, tra
autodeterminazione e colonialismo e finanche agli
effetti della rinnovata competizione intercapitalista,
non ha tenuto conto dei numerosi fattori che sono
entrati in scena.

Il carattere di massa della resistenza all'occupazione
dell'Iraq è del tutto conforme a quella dei
palestinesi o di altre situazioni analoghe in Asia o
America Latina.

Anche in Iraq si sono susseguiti omicidi orribili,
attentati suicidi o autobomba che in alcuni casi si
attagliano alla categoria del terrorismo, ma in
larghissima parte ci sono state e continuano ad
esserci iniziative armate o di massa (vedi i movimenti
dei disoccupati o delle donne) dirette contro le forze
militari occupanti che rientrano nella categoria della
resistenza. Confondere soggetti e progetti diversi in
una unica categoria (il terrorismo islamico) è
ingiusto e fuorviante.

Quindi è proprio la resistenza, soprattutto lì dove
operano forze progressiste e non confessionali, il
fattore capace di spezzare la spirale
guerra-terrorismo su cui ci vorrebbe appiattire la
logica dello scontro di civiltà ormai fatta propria
dal governo Berlusconi e dall'Ulivo (che sta
producendo un'ondata islamofobica assai pericolosa) ma
anche la semplificazione diseducativa della spirale
guerra-terrorismo con cui vengono impostati l'analisi
e il dibattito dentro al movimento per la pace e nella
sinistra antagonista.

La conferma che questa semplificazione sia decisamente
fuori tempo, fuori luogo e sostanzialmente
eurocentrista è venuta dal Forum Sociale Mondiale di
Mumbay (che continua ad essere per questo rimosso dal
dibattito).

In quel Forum è emerso nettamente come questa
impostazione, vista dal Sud del mondo (da coloro che
"ogni mattina si alzano dal lato sbagliato del
capitalismo" come recitava uno striscione a Mumbay),
sia ampiamente minoritaria e ininfluente, sia cioè una
digressione totalmente eurocentrica del tutto
inadeguata per offrire chiavi di lettura ed
indicazioni utili ad un movimento globale che si sta
ponendo concretamente il problema di cambiare i
rapporti di proprietà a livello internazionale. Se per
porre fine a questa divergenza si vuole buttare a mare
la capacità di discernere tra le forze in campo o
l'intero Novecento, si è liberi da farlo ma che ciò
produca risultati positivi o innovativi nelle
prospettive dei movimenti o della sinistra in Europa è
già stato smentito dai fatti, ed i fatti, come è noto,
hanno la testa dura.



La Rete dei comunisti

Info: cpiano@???; www.contropiano.org; tel.06
4394750