dal manifesto
Lo spirito dei wobblies
E nella Russia dei Soviet la «Grande Quercia» scrive la sua autobiografia,
ora proposta dalla casa editrice manifestolibri con il titolo «Big Bill». Un
avvincente affresco su una delle esperienze più radicali di sindacalismo
industriale. Anticipamo la prefazione al volume scritta da Bruno Cartosio
L'arrivo nella città dei Mormoni, l'incontro con i nativi delle praterie, il
lavoro nelle miniere. La vita di William «Big Bill» Haywood, uno dei
fondatori degli «Industrial Workers of The World». I lunghi scioperi e la
repressione costellata da omicidi mirati, linciaggi e arresti in massa.
Infine la sua fuga a Mosca
BRUNO CARTOSIO
Le grandi figure delle lotte e dell'organizzazione operaia negli Stati Uniti
sono stati quasi sempre operai loro stessi. Molti di loro hanno pubblicato
autobiografie, più che scritti teorici: da Terence Powderly, dei «Knights of
Labor», a Samuel Gompers, padre padrone dell'American Federation of Labor, a
William «Big Bill» Haywood, Elizabeth Gurley Flynn, Ralph Chaplin e «Mother»
Jones, rappresentanti dell'Industrial Workers of the World per buona parte
della loro vita. Di alcuni - uno dei più grandi, Eugene Debs, e uno dei più
dottrinari, Daniel De Leon - sono stati raccolti scritti sulla natura,
teoria e strategia dell'organizzazione politica e sindacale operaia, nessuno
dei quali è paragonabile agli scritti teorici degli intellettuali marxisti e
anarchici europei loro contemporanei (o a quelli, bisogna dire, degli operai
fondatori del movimento operaio negli stessi Stati uniti del primo
Ottocento, la cui cultura politica aveva radici profonde). La difficile
saldatura tra teoria e prassi politico-sindacale non è facilmente
sintetizzabile. Tuttavia, possono essere almeno ricordati alcuni degli
elementi di difficoltà. I tempi accelerati dell'evoluzione sociale,
produttiva e politica che sovvertiva continuamente l'ordine delle cose. La
schiavitù, il nativismo xenofobo e il razzismo che escludevano gli
afroamericani e presiedevano all'emarginazione iniziale dei gruppi immigrati
poveri e non protestanti. Le diversità di lingua, cultura, religione e
composizione sociale d'origine che frazionavano il mosaico dei milioni di
immigrati operai ed erano sia l'ostacolo interno alla loro unione, sia il
vantaggio di partenza su cui i padroni potevano contare per comandare
tenendo divisi i lavoratori.
Infine, l'elemento su cui mette l'accento la parte finale dell'autobiografia
di Big Bill Haywood: la repressione, brutale e diretta, attuata con ogni
mezzo, dei movimenti sociali e politici di opposizione prima che la loro
esperienza potesse sedimentare la cultura politica necessaria a
un'elaborazione teorica non occasionale o di breve respiro. Con la
repressione furono fatti fuori i «Knights of Labor» dopo il 1886 - dopo gli
scioperi per le otto ore e i «fatti di Haymarket» che hanno dato il Primo
Maggio al mondo - e con attacchi ancora più brutali furono distrutti tra il
1917 e il 1922 Iww, socialisti, comunisti, anarchici e dissenzienti di varia
natura. Senza l'eliminazione degli altri, forse l'Afl non sarebbe rimasta
l'unico filo di continuità nella storia del movimento sindacale negli Stati
Uniti.
La storia di una vita come quella di «Big Bill» Haywood, nato nel 1869,
raccoglie e racchiude gli elementi appena sintetizzati. Le parole di un
minatore irlandese e l'esperienza in miniera insegnano all'adolescente Bill
i rudimenti della lotta di classe e lo portano a entrare nei «Knights of
Labor», la prima organizzazione di massa dei lavoratori negli Stati Uniti.
Nel 1896, dopo che la repressione aveva pressoché spazzato via i Knights of
Labor, entra nella Western Federation of Miners (Wfm), il combattivo
sindacato dei minatori metalliferi dell'Ovest, nato tre anni prima.
Nella Wfm, Haywood viene eletto segretario-tesoriere nel 1901. Ne diventa
anche la figura più popolare: grande e grosso, generoso, pieno di energia,
spirito combattivo e oratore trascinante, Haywood si conquista la fiducia
dei minatori in lotte di grande violenza. Diventa figura di portata
nazionale: nel 1905, sotto la sua presidenza, si apre a Chicago il
«Congresso continentale della classe operaia», l'atto fondativo dell'Iww,
cui la Wfm contribuisce il contingente più numeroso.
Da quel momento e fino al 1920, la storia personale di «Big Bill» Haywood è
indissolubile da quella dell'Iww. E' una storia a tratti esaltante, in
occasione di grandi vittorie come quelle dei minatori di McKees Rocks o di
Spokane del 1909 o dei tessili di Lawrence del 1912; e a tratti deprimente,
come nel caso della straordinaria lotta dei setaioli di Paterson del 1913
finita con la sconfitta. Spesso Haywood finisce sul banco degli imputati,
come quando nel 1906 viene letteralmente, illegalmente deportato dal
Colorado all'Idaho perché una montatura di padroni minerari, autorità
politiche, polizia e agenti Pinkerton gli attribuisce l'accusa di avere
fatto assassinare il governatore dell'Idaho. In altri casi le cose non sono
così potenzialmente disastrose, ma l'antisindacalismo padronale con cui
tribunali e politica sono largamente conniventi - non del tutto, per
fortuna, come racconta lo stesso Haywood - rendono assai dura la vita a lui
e ai suoi compagni.
Allo scoppio della prima guerra mondiale, gli Iww e i socialisti
statunitensi (incluse le diverse componenti «nazionali» che del Partito
socialista facevano parte) si dichiararono contro la guerra. E nel 1917,
dopo l'entrata in guerra degli Stati Uniti (e dopo la vittoria della
Rivoluzione in Russia), un'ondata di paura e di sciovinismo patriottico
scatenò contro di loro e contro gli anarchici una repressione isterica. Gli
wobblies furono destinatari di una violenza senza precedenti: sedi razziate
e distrutte dalla polizia; militanti linciati, picchiati, incarcerati a
centinaia. Più in generale, grazie alle leggi di emergenza varate ad hoc,
migliaia di oppositori furono processati e finirono in carcere, centinaia
furono deportati nei paesi da cui erano venuti; la stampa di sinistra fu
sequestrata e distrutta, soppressa, censurata o esclusa dalla circolazione.
Archivi, corrispondenza, carte, registri delle organizzazioni - dell'Iww in
particolare - furono sequestrati o distrutti. «L'Iww era paralizzata -
ammise Haywood nel 1920 -. Il ministero della giustizia aveva sbatacchiato
l'organizzazione come un bulldog sbatacchia un sacchetto vuoto».
Lui stesso, a quel punto, era stato in carcere per quasi due anni. Uscito su
cauzione, e ormai malato di diabete, ulcera allo stomaco e stanco, organizzò
l'Ufficio di difesa legale dell'Iww. Era anche tornato a bere. Dopo
un'iniziale fase positiva cominciò a perdere colpi e i compagni che lo
aiutavano, privi dell'esperienza di quelli in carcere, non erano in grado di
ovviare alle sue trascuratezze e sviste, ai suoi errori e alla sua
stanchezza. Inoltre, le tensioni interne erano acutizzate dalle difficoltà
economiche, legali e organizzative. Della sostituzione di cui fu oggetto,
con ritegno, scrive solo che «segretario del Comitato generale di difesa
venne eletto John Martin». Mentre faceva giri di conferenze per raccogliere
fondi e tenere viva una qualche opposizione, giunse a conclusione il
percorso legale che lo riguardava. La condanna a vent'anni di galera avrebbe
messo fine alla sua libertà su cauzione.
Invitato dai bolscevichi a espatriare nella Russia sovietica e a partecipare
al varo dell'Internazionale sindacale rossa, Haywood - che aveva partecipato
alla fondazione del Partito comunista negli Stati Uniti nel 1919 e si era
iscritto al partito - decise di lasciare il paese. Il 31 marzo 1921 si
imbarcava con un passaporto falso a Hoboken, sulla sponda del New Jersey di
fronte a Manhattan, sulla Oscar II diretta a Riga, in Lettonia. Uscito sul
ponte proprio mentre la nave passava davanti alla statua della Libertà,
scrive: «Salutando la vecchia megera con la sua fiaccola levata, pensai:
`Addio, per troppo tempo mi hai voltato le spalle. Me ne vado nel paese
della libertà'». Il racconto autobiografico di Big Bill Haywood finisce qui.
Le ultime poche righe sono dedicate al primo incontro con Lenin, avvenuto
qualche giorno dopo l'arrivo a Mosca: «Avevo chiesto al compagno Lenin `se
le industrie della Repubblica dei Soviet sono dirette e amministrate dagli
operai'. La sua risposta fu: `Sì, compagno Haywood, è questo il comunismo'».
Col senno di poi, pochi gli avrebbero perdonato quella fiducia, che pure
tanti altri allora condivisero.
Agli anni di «Big Bill» in Urss fino alla morte nel 1928, agli effetti
negativi della sua «diserzione» - come la chiamarono una parte dei suoi
compagni - sull'Iww, e alla scrittura dell'autobiografia sono state dedicate
molte pagine. Alcune, per esempio quelle scritte dal wobbly Ralph Chaplin
vent'anni dopo la sua morte, sono condizionate dal risentimento personale e
dall'anticomunismo; in altre, come quelle in cui Emma Goldman racconta dei
loro incontri a Mosca, risaltano insieme l'umana simpatia per l'antico
compagno di lotta e la disapprovazione per la sua assenza di critica
politica verso i bolscevichi. I biografi come Peter Carlson e gli storici,
da Melvyn Dubofsky a Philip Foner, sono stati sostanzialmente equanimi nei
suoi confronti. A Mosca, Haywood fu accolto come un eroe, scrive Carlson in
Roughneck: «I delegati al Congresso dell'Internazionale comunista lo
applaudirono alzandosi in piedi»; ma il resto dei suoi anni non furono
altrettanto esaltanti.
A lui e a un altro wobbly di origine olandese fu affidata alla fine del 1921
l'organizzazione della colonia industriale di Kuzbas, nel bacino carbonifero
di Kuztnez. Haywood prevedeva di far venire alcune migliaia di minatori e
tecnici dagli Stati Uniti, ma ne arrivarono meno di 500, con mogli e figli
al seguito. Poi, i problemi di salute costrinsero lui a lasciare la Siberia
per Mosca e la durezza della vita convinse molti ad abbandonare il progetto.
Haywood rinunciò all'incarico nel 1923. Fece conferenze in giro per il paese
e, dalle sue due camere nell'Hotel Lux, iniziò la stesura
dell'autobiografia. Tutti gli americani di passaggio a Mosca gli facevano
visita e molti giornalisti e militanti - tra cui anche l'italiano Nicola
Vecchi, dell'Unione sindacale italiana - ebbero interviste con lui.
Da una di queste, concessa al corrispondente da Mosca del New York Times,
Walter Duranty, risulta che abbia detto: «Il problema di noi vecchi wobblies
è che noi sappiamo come dargliele ai crumiri, alle guardie delle miniere e
alla polizia, o fare discorsi di battaglia a una folla di scioperanti, ma
non la sappiamo così lunga come i russi su queste cose ideologiche... Questi
russi danno un mucchio d'importanza alla teoria ideologica e, se non stanno
attenti, finiranno per fare a pugni uno di questi giorni». Stanco, malato,
vinto dalla nostalgia e forse dalla delusione, ma non cieco, il vecchio
wobbly.
Nel 1948, Ralph Chaplin ipotizzò che tutto quanto Haywood scriveva a Mosca,
dalle lettere ai compagni negli Stati Uniti all'autobiografia, fossero
controllate. «Una cosa era sicura - scrive Chaplin con un'impossibile
certezza - le lettere di Bill mi sembrava che venissero scritte con qualcuno
che gli soffiava sul collo. Mi arrivarono voci che stava segretamente
scrivendo un diario in cui raccontava la storia vera delle sue esperienze
nella `Patria dei lavoratori' e che aveva predisposto le cose in modo tale
che nel caso della sua morte mi fosse trasmesso tramite un corriere». Gli
storici sono invece molto meno propensi a credere a un controllo esterno
sulla sua mano. Del resto, la qualità stessa dell'autobiografia - gli
scompensi, una qualche disorganicità e alcuni errori, ma anche la vivezza
non burocratica di tante parti della narrazione - non sembra sostenere una
tale ipotesi; sembra piuttosto corrispondere ai modi in cui potevano
funzionare un umore e una lucidità variabili e una memoria divisa tra
selettività, reticenza e impulso a dire la verità.
Di fatto, Haywood non tornò più negli Stati Uniti da vivo. Due diversi
attacchi di paralisi schiantarono la «vecchia quercia», come lo aveva
definito affettuosamente Emma Goldman. Morì il 18 maggio 1928. Fu cremato e
mentre metà delle sue ceneri furono sepolte il giorno dopo ai piedi delle
mura del Cremlino, a fianco di quelle dell'altro americano John Reed,
l'autore dei Dieci giorni che sconvolsero il mondo, l'altra metà fu spedita
negli Stati Uniti, dove fu sotterrata nel cimitero di Waldheim, dietro il
monumento che ricorda i «martiri di Chicago» impiccati nel 1887, e fianco a
fianco con Lucy Parsons, Emma Goldman, Elizabeth Gurley Flynn, Joe Hill,
William Z. Foster e altri wobblies e militanti della sinistra negli Stati
Uniti.
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