[Cerchio] Un pugno di ferro sull'informazione

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Autor: clochard
Data:  
Assumpte: [Cerchio] Un pugno di ferro sull'informazione
. Mario Morcellini

      Un pugno di ferro sull'informazione


      da Europa quotidiano


      La strage degli innocenti a Beslan segna una sconfitta della Russia,
sia sullo scenario della politica estera che nel processo di consolidamento
della democrazia. La sensazione, dopo azioni analoghe all'ospedale di
Budennovsk nel 1995, e al teatro moscovita Dubrovka nel 2002, è quella di
assistere al sequel di un film già visto: un sequestro di massa finito
ancora una volta in un bagno di sangue dopo l'assalto delle truppe d'élite.
      C'è la sensazione che i media non abbiano saputo né potuto raccontarci
la verità, o almeno qualcosa che potesse assomigliarle. Da quanto si
apprende dalle versioni ufficiali la verità sembra essere destinata ancora
una volta a rimanere nascosta, in questa brutta pagina di storia che - anche
attraverso i media - si sta scrivendo davanti a noi.
      Diciamolo subito: il modo in cui si è tentato di gestire la crisi
attraverso la comunicazione istituzionale è stato catastrofico, al di là di
certe immagini falsamente rassicuranti, come quella degli "spetsnaz" - le
temutissime forze speciali - che tengono in braccio alcuni bambini
rilasciati dai sequestratori, o della sconcertante pantomima del terrorista
catturato che, davanti alle telecamere, recita a soggetto per indicare i
mandanti in Bassaiev e Mashkadov, capi dell'indipendentismo ceceno e rivali
da sempre.
       L'incomprensibile contraddittorietà dei comunicati ufficiali, le voci
sulla nazionalità araba di alcuni membri del commando, lo scivolone sulle
spese per i funerali interpretato come un affronto dai parenti delle vittime
e l'indignata risposta del governo russo alla richiesta di spiegazioni da
parte della UE alimentano altrettanti motivi di perplessità. Vi è un'
ossessione di controllo che, in una tragedia come questa, appare del tutto
fuori luogo. Quasi che con questa pretesa di gestire i media si potesse
risolvere la crisi, semplicemente nascondendola o minimizzandola. E' mancato
uno dei requisiti fondamentali della gestione mediale delle emergenze, cioè
la consapevolezza da parte dell'opinione pubblica - non solo di quella
russa - di poter contare su notizie minimamente affidabili e credibili,
mentre le ricostruzioni di Mosca continuano ad oscillare tra l'improbabile e
il paradossale.
      E così, di fronte ad un evidente insuccesso politico e comunicativo,
Putin se la prende con i giornalisti: le ultime notizie sul fronte della
libertà di stampa sono inquietanti. Un ferreo "cordone sanitario" è stato
imposto per impedire ai giornalisti di parlare con i superstiti del blitz,
nascosti negli ospedali osseti ed ingusci; diversi giornalisti, tra i quali
il capo della tv Al Arabiya a Mosca sono stati pretestuosamente arrestati;
il direttore dell'Izvestia si è dovuto dimettere per aver raccontato la
vicenda degli ostaggi in modo troppo "radicale e negativo" rispetto agli
altri media russi.
      Ciò che abbiamo visto in televisione e letto sui giornali non riesce a
dissipare i dubbi circa le reali priorità del governo russo in questa crisi.
Le numerose contraddizioni di questa vicenda danno credito all'ipotesi che
gli eccessi di Beslan servissero più a dimostrare il pugno di ferro di Putin
che non a salvare le vite dei bambini, un'idea rafforzata dal rifiuto del
capo del Cremlino di rendere pubblici i risultati dell'inchiesta
parlamentare, liquidata come un "controproducente show politico". Il
pesantissimo bilancio di questa vicenda - almeno la metà degli ostaggi
usciti dalla scuola feriti o morti - rende infatti poco plausibile la
consistenza di un piano per portare al sicuro i prigionieri. Troppa
approssimazione, troppa fretta, troppi morti e troppa arroganza con i media.
      Siamo di fronte ad un crollo di nervi, in grado di far saltare quella
patina di riformismo che doveva dar lustro al passaggio dal socialismo reale
alla maturità politica della Russia. Entro un'ottica eurocentrica, la
difficoltà nel rapporto con l'informazione dimostra che i tanti anni passati
dalla fine dell'Unione Sovietica non sono ancora bastati per una vera
cultura della democrazia.


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