[Cm-roma] dal manifesto di domenica 29

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Critical Mass contro Bush. Aria di scontri
Attesi oggi a New York 250.000 manifestanti che invaderanno la città per protestare contro la Convention repubblicana. Ieri un corteo di ciclisti ha bloccato il traffico. Raffica di arresti
MARCO D'ERAMO
INVIATO A NEW YORK
Hanno fatto di tutto per ammantare d'inquietudine la grande manifestazione di protesta di oggi contro la Convention repubblicana: «Il mondo dice No al programma di Bush». Già da un mese, l'Fbi aveva cominciato a interrogare, e a fermare, in tutto il paese gli attivisti politici già schedati per intimidire gli incerti e i meno eroici. Ma giovedì sono cominciati gli arresti qui a Manhattan: quel pomeriggio militanti nudi di Act Up hanno bloccato il traffico davanti al Madison Square Garden (dove si terrà la Convention da domani fino al 2 settembre) per protestare contro la politica di Bush sull'Aids. 11 sono stati arrestati. Altri cinque membri di No Police State Coalition s arrestati a Union Square perché suonavano un corno. Prima, erano stati arrestati quattro militanti del gruppo Operation Sibyl che si erano calati a corda doppia lungo la facciata del Pennsylvania Hotel (che fronteggia il Madison Square Garden) per dispiegarvi una bandiera gigante anti-Bush. Insomma, quattro giorni
prima che iniziasse la Convention repubblicana, erano stati arrestati almeno 21 dimostranti, più di tutti quelli arrestati a fine luglio durante la Convention democratica di Boston. Ma la misura più chiara di quanto le autorità vogliano indurire lo scontro con i contestatori l'ho avuta venerdì sera, appena sbarcato a New York: alle sette di sera mi trovavo vicino Union Square. Da lì ho visto partire una grande manifestazione di Critical Mass (il movimento ciclistico che in tutte le grandi città del mondo sfila per le strade ogni ultimo venerdì del mese). Anche qui i Critical Mass hanno usato la loro tattica di sempre per far imbestialire gli automobilisti: allungare al massimo possibile la loro sfilata per bloccare il traffico il più a lungo possibile, mettendo alcuni di loro fermi a formare barriere per impedire l'afflusso dalle vie trasversali.

La differenza è che di solito non compiono queste «occupazioni di carreggiata» nelle arterie più trafficate della città. Qui invece, dopo 20 minuti, continuavano a sfilare lungo Broadway davanti al marciapiede del largo Astoria su cui mi trovavo: secondo la polizia erano 5.000, ma secondo molti osservatori, erano almeno il doppio, a voler essere prudenti. Molti passanti li applaudivano, molti tassisti li smadonnavano. Loro inneggiavano, scampanellavano, altri si rizzavano su una ruota sola come i centauri, altri ancora pedalavano su velocipedi dall'enorme ruota anteriore.

Tre quarti d'ora dopo sulla Settima, appena a nord del Greenwich Village, assistevo ai primi tafferugli con gli automobilisti e ai primi interventi della polizia. Alla fine della serata gli arrestati erano più di 100, secondo il New York Times. Invece, per il tabloid Daily News erano più di 250 e, secondo Indymedia, erano 264, cifra confermatami dal centro stampa della Lega nazionale avvocati: un'enormità per una manifestazione pacifica di 10.000 ciclisti.

È come se le autorità - e i repubblicani - volessero lo scontro per poter additare al pubblico ludibrio questi sobillatori «venuti da fuori». Perché gli agitatori sono sempre stranieri, infiltrati, quinte colonne. Già nel 1968 era stata approvata una legge dall'ironico nome Civil Rights Act che puniva agitatori esterni (outside agitators) ritenuti responsabili di disordini razziali. Come aveva detto un repubblicano del Mississippi: «Qui ce la vediamo con uno Stokely Carmichael o con un Rap Brown che vediamo viaggiare di stato in stato, di città in città, e al loro seguito arriva sempre conflagrazione, spargimento di sangue, uno scippo generalizzato, e perdita di vite e di proprietà».

Alla Convenzione di Chicago di quell'anno (che finì con una repressione inaudita dei contestatori), il sindaco della città Richard Daley non esitò a usare l'argomento del complotto a caldo, quando, di fronte alle proteste dei mass-media, spiegò a Walter Cronkite della Cbs: «La tv non aveva le informazioni che avevo io. C'erano rapporti sul mio tavolo che certe persone progettavano di uccidere i tre contendenti per la presidenza; che pianificavano di uccidere molti leaders incluso me stesso. Così ho preso le mie precauzioni».

Come a confermare la monotona ripetitività della «retorica della reazione» (così la chiamava Albert Hirschman) ieri mattina il tabloid New York Post titolava in caratteri cubitali «Scoperto complotto per mettere bombe nella metro». L'inquietudine è tale da gettare l'ombra di un interrogativo sul reale numero dei manifestanti che parteciperanno alla marcia di oggi: gli organizzatori speravano in 250.000, visto che la protesta è stata organizzata da United for Peace and Justice insieme a 360 altri gruppi, tra cui Iraq Veterans Against the War (Veterani dell'Iraq contro la guerra), Military Families Speak Out (Le famiglie dei soldati parlano chiaro). Ma con l'intimidazione esercitata finora non è chiaro quanti decideranno di restare a casa: e naturalmente, come avviene in tutte le manifestazioni al mondo, meno è massiccia la componente pacifica, più ha possibilità di esprimersi l'ala dura (ora sono i black blocks, ma c'erano già nel `68: si chiamavano i katanga).

I dimostranti si muoveranno oggi da Union Square a mezzogiorno (alle 18 ora italiana) per arrivare di fronte al Madison Square Garden davanti alla sede della Convention, e poi girare verso est, ripiegare verso sud su Broadway e tornare quindi a Union Square. Quest'itinerario è stato deciso dopo che un giudice e poi la corte suprema hanno negato ai dimostranti la possibilità di tenere il loro raduno a Central Park, con la (fiacca) scusa che avrebbero rovinato il manto erboso che era costato 18 milioni di dollari nel 1997. Su questa sentenza hanno ironizzato tutti i giornali, non solo i liberals: il Globe and Mail ha intitolato l'editoriale: «Erba 1, popolo 0». Ma se impedisce ai dimostranti di costruire un palco per gli oratori nel parco, la decisione non può però costituzionalmente impedire loro di entrare nel parco e di marciarvi portando cartelloni o bandiere politiche: basta che non siano più grandi di 62x93 centimetri (pignolerie costituzionali!). Gli organizzatori hanno quindi
suggerito («lasciando libero ognuno di decidere per sé») che, sciolto il corteo, i manifestanti si riuniscano di nuovo alla spicciolata nel Parco.

Né è l'unica della giornata manifestazione di oggi. Già stamane c'è «Riprendiamoci il parco» («un appello per riunioni, cortei mangerecci ed eventi creativi attraverso tutto Central Park»); alle 10 la Marcia per la Pace delle Donne, poi concerti, balli, nuovi raduni ciclistici. Si sbriglia a fantasia contestatrice. Ieri è giunta a Manhattan la Marcia della Pietra con cui il gruppo «Pacifici domani» ha portato da Boston un macigno di 700 kg dedicato al «Civile Ignoto caduto in guerra».

Ma il massimo dello sfregio verso i pacifisti lo ha espresso il sindaco repubblicano di New York, Michael Bloomberg, quando ha promesso loro - se staranno buoni - sconti per il museo del sesso e per alberghi da 150 dollari a notte. Non molti dimostranti l'hanno trovata divertente.







        
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