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19 Agosto 2004.
Sono 20 giorni esatti che un essere umano e' morto,
ammazzato. E nessuno se lo ricorda gia' piu'.
Non e' piu' la chiacchiera del giorno sotto
l'ombrellone, anzi, e' ormai di cattivo gusto
parlarne.. Come chi si veste con gli abiti dell'anno
scorso, chi ascolta gli hits della stagione passata�
Ciuhahua o come cazzo si scrive, invece di fuck it,
che come si scrive lo sanno tutti e pure cosa
significa, e quasi solo per questo vende�
Talmente "out of vogue" che non val neppura la pena di
dirlo, sarebbe troppo fashionable�.
Che la vita di una persona abbia valore o meno a
seconda di chi si tratti, e' cosa nota, perfino
banale. Non c'e profusione di originalita',
intelligenza o pietas cristiana nel ricordare che dei
clandestini che annegano mentre arrivano in Italia
sulle cosiddette carrette non gliene frega nessuno, e
nessuno sa neppure i loro nomi, e grottescamente
peggio ancora, il loro numero, mentre ad un certo
Quattrocchi, di professione mercenario, che per quello
che NON sappiamo avrebbe anche potuto aver ucciso
altri esseri umani in Iraq o in altre parti del mondo,
o essere comunque preparato a farlo, vengo tributati
tutti gli onori e lo status di Eroe Nazionale.
Sappiamo tutti tutto, sappiamo quanto serviva a
Berlusconi, etc, e chi non sa o finge di non sapere
non vale la pena che lo/la si informi di qualcosa che
comunque non vuol sapere.
Il punto piuttosto e' un altro. Luciano Liboni.
Il Lupo.
O meglio, anzi peggio, il killer, l'assassino,
l'incubo, da cui un provvido carabiniere ci ha
liberati.
Diciamola subito, e chiara. Cosa aveva fatto Liboni?
Aveva ucciso una persona, un carabiniere. E come e'
finito, Liboni? Morto ammazzato. Da un altro
carabiniere. Un colpo ravvicinato, sparato alla nuca,
da dietro.
Ora, l'assassino di Liboni, perche' altro non e',
viene considerato un eroe. Ha ricevuto le
congratulazioni di Veltroni, Berlusconi e tantissimi
altri, e ricevera' una promozione. Insomma, un altro
eroe. Che si e' macchiato dello stesso reato di
Luciano Liboni. Uccidere un altro essere umano.
Quindi dei due l'una.
Se Luciano Liboni e' un assassino, un killer, allora
lo e' pure il carabiniere che lo ha ammazzato. Ripeto,
ammazzato. Non catturato. Non immobilizzato. Gli e'
scivolato alle spalle. Gli ha appoggiato la pistola
alla nuca e ha premuto il grilletto.
Questo e' un omicidio a sangue freddo, non un gesto di
eroismo.
Certo, scopriamo ora che il carabiniere Palmas,
l'"eroe", dichiara ai quattro venti che non avrebbe
voluto ucciderlo. Forse pure Liboni non avrebbe voluto
uccidere l'altro caribiniere. Ma e' successo, in
entrambi i casi.
Pero' una morte crea indignazione, l'altra "sollievo".
Sollievo da parte della popolazione di "brava gente"
che ha partecipato in massa a questa caccia non alla
volpe, non al Lupo, ma a un essere umano.
Ma davvero siamo convinti che Liboni fosse un pericolo
pubblico per tutti noi? Che la vita di qualunque
passante sarebbe stata minacciata? Liboni era un
disperato. E, certo, i disperati a volte diventano
pericolosi. Certo, ha preso in ostaggio una persona.
Ma quando sai che la tua vita e' persa, che comunque
ti ammazzeranno, perche', e Liboni lo sapeva, "ti
vogliono morto e non in galera", forse chiunque
sviluppa una rabbia disperata di sopravvivere ancora
alcuni frammenti di minuti, costi quel che costi, in
cui nulla e nessuno ha piu' senso ne valore.
Ma chi e' responsabile di tutto cio'? La sua "astuta
violenza da lupo" oppure il modo in cui i carabinieri
stessi, I media, la gente comune, hanno scaricato su
di lui tutti i propri sensi di colpa, le proprie
paure, la propria inadeguatezza e soprattutto la
propria ipocrita incapacita' di opporsi a ben altre
violenze?
Liberazione puntualizza di come una simile caccia
all'uomo non sia mai stata messa in atto nei confronti
di Bernardo Provenzano ne di tutti i capi mafia,
camorra, ndrangheta etc, responsabili di un numero ben
maggiore di omicidi. Molti, moltissimi, non
abbastanza, fanno notare di come ci sia qualcuno
responsabile, in meno di tre anni, di oltre 20.000
esseri umani, e che invece di essere processato viene
accolto con tutti gli onori.
Per non parlare delle decine di migliaia di morti in
pochi mesi ai confini del Sudan, quando anche Radio
Maria denuncia pubblicamente di chi sia la
responsabilita' di tutto cio'.
E sia.
Fa molta piu' presa il killer solitario con la pistola
in mano, per scaricare le proprie tensioni, piuttosto
che prendersela con la politica internazionale.
Quindi chissenefrega se un assassino e' stato
ammazzato da una brava persona, che porta la pistola
per lavoro, che sa che gli potrebbero sparare, perche'
fa parte degli incerti del mestiere, come cadere dalle
impalcature per un muratore rumeno clandestino (salvo
che a quest'ultimo nessuno fara' neppure un funerale),
e che invece che catturarlo, dopo avergli pure detto
"guarda che non ti vogliamo uccidere" e ancora "stai
tranquillo, stai calmo, non ti vogliamo fare del
male", invece che bloccargli le mani dietro la
schiena, gli punta la pistola alla nuca, da dietro, e
preme il grilletto. Per spaventarlo soltanto, forse?
Sangue per sangue, delitto per delitto, col gruppo di
Alleanza Nazionale che si congratula con gli "eroi per
la cattura". E Luciana Lena, l'avvistatrice, che forse
dormira' sempre sogni tranquilli senza che la sfiori
il pensiero che ha contribuito all'assassinio di un
uomo, anche se aveva una "brutta faccia".
Ma forse il fatto e' un'altro. Con quel sangue versato
laviamo la nostra coscienza sempinternamente sporca.
Perche' ancor piu' squallido di chiunque altro, pur
nella sua misera pochezza (chi uccide, comunque,
chiunque uccida, e' sempre peggio�. Provate a
sostenere il contrario e poi avere il coraggio di
dirvi PACIFISTI), e' proprio il gallo che ha fatto
l'uovo. Cioe' chi denuncia "lo squallore" delle
scritte apparse a favore di Liboni.
Che non sono segno di "cinico e malsano malessere" ma
piuttosto del bisogno di costruirci una storia nostra,
un mito nostro, che non sia quello dell'avvento e
della caduta di Berlusconi.
Come il piercing non e' la tanto spaparanzata da chi
non ce l'ha, "una moda", ma piuttosto un momento di
deterritorializzazione, o meglio un segnare il
territorio, decorarlo come pare a noi, dell'unico
spazio libero che ancora ci e' riasto, non colonizzato
dai brand names e dalle societa' che girano intorno al
bizniz dei telefonini, che cio' che non ti vendono
sponsorizzano.
Perche' come dice Andre Torrez "la nostra storia ormai
e' fatta di blockbuster summer movies diretti da
Michael Bay con le stars X, Y e Z co-promosse con un
nuovo tipo di Pepsi. Io invece amo la parte
dell'America che si nasconde nelle ombre"�. E lo
dice a proposito di Stagger Lee, un altro killer, un
Luciano Liboni se vogliamo, che nel lontanissimo 1895
ammazzo' in un saloon un tipo che gli aveva
semplicemente preso il cappello.
Pero' ora Stagger Lee fa parte della mitologia del
"Sogno Americano" che non ha funzionato, e che tiene I
contatti con la realta' quotidiana della gente comune,
quella senza assicurazione sulla salute magari, quella
che basta poco per ridurla homeless sulla strada, e
pero' va avanti, sopravvive, e magari ama pure il suo
paese, tutto malgrado, senza appoggiarne comunque la
politica governativa.
E cosi' il mito di Stagger lee, un tizio qualunque che
ammazza una persona, cosa che succede 70 volte almeno
nel classico wester spaghetti ma non nella realta'
storica dell'epoca, diventa il il "toughest of the
baddest", il peggiore dei cattivi, e la sua storia
viene costantemente riscritta, sempre piu'
leggendaria, sempre piu' grandiosa. Basta vederne la
splendida, non politicamente ma neppur sessualmente
corretta, versione di Nick Cave, che di blues vive,
perche' gli scorre nelle vene.
E Stagger Lee diventa appunto, non per rimozione, non
per inversione prospettica, ma per necessita' di un
mito, l'eroe del riscatto di cui tutti abbiamo
bisogno. Il ribelle senza causa, cattivo oltre
l'immaginario, ma umano, simbolo della sopravvivenza
in una situazione allo sbando, che predica bene e
razzola male. Stagger Lee non predica bene, come I
politici di ogni colore poco prima delle elezioni.
Razzola male, molto male, e basta. Ed e' cio' che lo
rende un antieroe, alla base del mito americano in
blues, e non solo�
Quindi non meravigliamoci se cio' succedera' anche a
Luciano Liboni, e se leggeremo sui muri o sentiremo
nelle canzoni (con qualche voluto riferimento a
Finardi) cose come "Compagno Liboni sarai vendicato".
Non e' disagio questo, ma volonta' di uscirne fuori
dal disagio. Dal disagio del vivere in una societa'
omogeneizzata, dove la vita di una persona ha valore
solo a seconda di quello che vale sul mercato
mediatico quella persona, a dispetto di tutte le false
morali pero' sempre sbandierate. Disagio del viver ein
un'era di censure, in cui cio' che si dice che esiste
esiste, e cio' che viene volutamente celato cessa di
esistere, come se non fosse mai successo�.
D'altro canto la creazione del mito e' gia' iniziata.
C'e chi lo vive come un anarchico, chi rivendica che
fosse comunusta, chi lo vede come il nuopvo
Vallanzasca, e non potendolo sposare, lo avrebbe
comunque voluto come padre, che, pensiamoci bene, e'
un'immagine incredibilmente poetica e tenera, e la
dice lunga, molto lunga, non solo sul disagio, ma sul
concetto di "poetical justice", o, se vogliamo
"terrorismo poetico", concetto sconosciuto ai media,
impegnati ad applicare questo vocabolo a tutto quello
che gli viene ordinato di etichettare in questo modo,
ma non a chi vive, pulsa, esiste, e si ribella.
Luciano Liboni si ribello'.
Era uno qualunque, poteva essere uno qualunque di noi,
a cui le cose erano finite per, appunto, finire molto
male.
Ormai se ne stava tranquillo in Ceylon, col denaro
frutto delle sue rapine. Aveva una casa, una donna che
amava e che lo amava, di che vivere.
Chiedetevi perche' e' tornato in Italia dove era
comunque ricercato, e dove quindi rischiava di
rifinire in galera.
Era perche', assurdo ma vero, per vivere una vita
normale, gli servivano altri soldi, e doveva
dimostrare al governo del posto di averli, per essere
accettato come un cittadino comune, uno qualunque.
Luciano Liboni, disperatamente, torna in Italia, con
la rabbia, e forse con la morte nel cuore, senza
sapere che un modo di dire possa letteralmente
trasformarsi in realta'. Si mette a "lavorare"
nell'unico modo che sa fare. Con la pistola in mano, a
fare rapine. Esproprio proletario, giustizia
proletaria, avremmo potuto chiamarla se fossimo negli
anni 70, o se volessimo romanticizzare il tutto.
Trova un ostacolo sulla sua strada. Un carabiniere. Lo
ammazza. Ed ecco che la vita di Luciano Liboni cambia.
Diventa il perfetto Capro Espiatorio per la fame di
notizie estive, quando non succede mai nulla di
sufficentemente interessante per riempire la prima
pagina e vendere i giornali ai lilleggianti e
vacanzieri, che tutto vogliono meno la quotidianita'
di palazzo�
Ma Luciano Liboni, il "lupo", in realta' e' un
poveruomo con una vita che tenta disperatamente di
diventare "normale", perfino ordinaria, ma qualcosa va
storto e tutto precipita per la tangente. Fino ad
arrivare a un colpo alla nuca, e il "sollievo" di
un'intera nazione. Di morti viventi�
"E' che siamo tutti morti, e non ce ne siamo manco
accorti", cantava Claudio Lolli circa trenta anni fa,
e aveva gia' ragione.
Ma luciano Liboni e' morto davvero, ammazzato.
Se qualcuno lo mitizza, e' solo perche' non vuole
morire, altrettanto, sebbene giorno per giorno, per
stillicidio, per il potere della Nullificazione delle
coscienze�.
Just another Victim��
Ma non dimenticatelo, non dimentichiamolo�.. Sarebbe
come dimenticare il valore della vita, sarebbe come
dimenticare che si vuole vivere��
E almeno questo, proprio non possiamo
permettercelo��
Helena
np:
vv aa
(ACID DAZE) compilation di psychedelic nuggets dall'UK
dei 60'es
prima era "i can hear the grass grow" dei MOVE,
ora "rainbow chaser" dei NIRVANA, che non sono quelli
di Cobain
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