[RSF] Fwd:RUTA PACIFICA A BOGOTA

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Colombia, il paese dell*eccesso
Droga e privatizzazione della guerra civile
Guido Piccoli

Collana: Serie Bianca
Pagine: 208
Prezzo: Euro 12

In breve
La sperimentazione americana della ³guerra sporca² svelata, spiegata e raccontata, con una documentazione ineccepibile e con ritmo da thriller.


Una delle necessità del neoliberismo è di trovare metodi efficaci di contenimento dell*antagonismo che inevitabilmente genera. Uno di questi metodi è il cosiddetto "sistema del passero", sperimentato con sanguinoso ma straordinario successo in Colombia e suggellato con la recente elezione a presidente di Alvaro Uribe Vélez.
I primi paramilitari degli anni quaranta, epoca d*inizio dell*inesauribile guerra civile colombiana, venivano infatti chiamati pajaros per la loro capacità di agire e scomparire rapidamente, senza lasciare traccia. Da allora, nel ricco e bellissimo paese latinoamericano, si sono accumulate centinaia di migliaia di cadaveri di politici, sindacalisti e, soprattutto, povera gente massacrati con sistematicità, mai casualmente, e nell*impunità più scandalosa. "Il sistema del passero" rivela l*agghiacciante evoluzione del paramilitarismo, dalle sue origini nella teoria statunitense delle "guerre a bassa intensità" fino all*abbraccio con i signori della droga e con l*oligarchia nazionale e, buon ultimo, con i guerrieri della "Enduring freedom" che, come ricorda Bush dopo l*11 settembre, deve essere "necessariamente sporca".
Ma il libro pone in risalto anche come la tendenza alla "privatizzazione dell*uso della forza" vada ben al di là della Colombia e sia evidente in tutti i moderni conflitti di ogni tipo: dall*utilizzo delle bande clandestine parastatali, fino all*uso, ormai consueto in continenti come quello africano, delle Military Private Company.    


La recensione
"il manifesto" , 17/07/2003
Maurizio Matteuzzi , La Colombia delle tenebre


Cominciamo dalla fine: un bellissimo libro. Uno dei pochissimi sull'America latina capaci di andare oltre gli effettacci, il folclore, i luoghi comuni, gli stereotipi per scavare a fondo nella storia e nella cronaca di un paese di cui molto si parla ma poco di sa. Guido Piccoli, l'autore, che la Colombia l'ha vissuta, ci è riuscito. Il suo libro - Colombia, il paese dell'eccesso -, forse andrebbe catalogato come un saggio ma non ha nulla della pedanteria e pesantezza del saggio e si legge, quindi è, a tutti gli effetti, un romanzo. Un romanzo angoscioso, appassionato, coinvolgente. Chissà che non sia il sintomo di una ripresa di interesse - da parte della Feltrinelli che lo edita ma anche di altre editrici - per l'America latina. Una regione che, falliti i sogni delle rivoluzioni armate e finite le dittature militari sanguinose, torna con una certa prepotenza sulla ribalta mondiale, specie dopo l'avvento di Lula in Brasile, per le crisi indotte e ampliate dal neo-liberismo e per i tentativi di aprirsi una strada che i disastri sociali ed economici del neo-liberismo superi.
La Colombia è forse rimasto l'unico paese latino-americano ad andare in controtendenza. Mentre, pur con tutti i distinguo del caso, l'America latina - diciamo schematicamente - vira a sinistra (o al centro-sinistra), la Colombia di Alvaro Uribe gira decisamente a destra. Mentre alcuni altri paesi cercano di liberarsi dalla morsa degli Stati uniti e del Fondo monetario, la Colombia si lega mani e piedi agli Stati uniti in politica e alle ricette fondomonetariste in economia.
Ma la Colombia è anche il paese della guerriglia più antica, più forte e più radicata del sub-continente. E se le Farc, il movimento di ispirazione comunista di Tirofijo Marulanda, e l'Eln, l'altro gruppo principale di conio "guevarista" (che non è più ben chiaro cosa significhi) che fu del prete spagnolo Manuel Perez e del prete colombiano Camilo Torres, sono ormai etichettate, dopo il vortice seguito agli attacchi dell'11 settembre, come "organizzazioni terroriste" - anzi, "narco-terroriste", secondo la definizione inventata da un ambasciatore Usa a Bogotà e stupidamente accettata ormai anche da una Unione europea sempre più succube -, appare del tutto aleatoria la pretesa di risolvere la guerra civile più lunga e feroce dell'America latina per la via militare. Che è quella imposta dagli americani con il Plan Colombia e che ha trovato in Uribe il suo interprete più zelante. Perché è vero quel che - come ricordano le parole del sociologo colombiano Alfredo Molano riportate nel libro - "quando un movimento tende ad assomigliare al nemico nel modo di agire e di combattere, cominciano a svanire le ragioni della sua lotta" e che Farc ed Eln non sono riuscite ad evitare di cadere nell'imbarbarimento della guerra civile (la tassa sul traffico di coca, i sequestri, le esecuzioni sommarie, gli "errori" come quello, tristemente famoso, dell'assassinio di tre indigenisti statunitensi nel `99). Ma, come scrive Piccoli quasi a mo' di conclusione (pg. 185), "Nonostante le risorse profuse, la Casa bianca e il suo protettorato di palacio Nariño", che è la residenza presidenziale di Bogotà, "non sembrano avere grandi possibilità di vincere neppure la prima battaglia della guerra andina, cioè di pacificare il paese, sconfiggendo la guerriglia o indebolendola a tal punto da costringerla a una resa simile a quella firmata negli anni novata dai gruppi ribelli nel Salvador e in Guatemala. Le previsioni ottimiste dei governi statunitensi e colombiani derivano in buona parte da analisi sbagliate o meglio dall'abitudine di credere alle bugie che raccontano. Per esempio quando esagerano la dipendenza della guerriglia dal narcotraffico, dimenticano l'origine delle Farc - e anche dell'Eln - di molto anteriore alla bonanza della cocaina".
Piccoli non esalta le Farc e non nasconde gli errori e gli orrori (anche) della guerriglia, ma attraverso un efficace stile che va dal generale al particolare e dal particolare al generale dimostra - inoppugnabilmente, per chiunque voglia capire la realtà - come la violenza colombiana non venga dalle Farc e dall'Eln ma da prima, da più lontano e da più in alto. Dall'oligarchia che ha sempre dominato - con ferocia selvaggia anche se mascherata da finta democrazia "bipartitica" - dominato la vita del paese andino fin dai tempi dell'indipendenza, nel secolo scorso. Dalle forze armate, che hanno sempre imposto la soluzione militare ai problemi sociali di un paese scandalosamente diviso fra le élites economico-sociali che vanno a svernare a Miami o a Parigi e Roma, e le masse lasciate a scannarsi per il classico dollaro al giorno. Non a caso il racconto di Piccoli prende inizio dalla "violencia", la grande mattanza fra conservatori e liberali colombiani - i due fantini che si contendono lo stesso cavallo, secondo la metafora usata da Chomsky per definire conservatori e democratici degli Stati uniti - seguita all'assassinio, il 9 aprile del 48, di Jorge Eliecer Gaitan, non a caso l'unico leader che (forse) sarebbe stato capace di imprimere una svolta. Di lì, nel `64, nacquero anche i primi fuochi di resistenza armata contadina di Manuel Marulanda, detto Tirofijo, ma vennero anche i primi tentativi di quella che sarebbe stata poi la scelta - e il vero cancro - del sistema politico colombiano: i gruppi paramilitari che ancora oggi - addestrati e armati dagli americani , dagli inglesi e dagli israeliani, sguinzagliati dall'oligarchia, dalle forze armate e dallo Stato - sono i responsabili principali degli orrori della "guerra sucia" e della barbarie del conflitto. Non a caso il sottotitolo del libro di Piccoli recita:"Droga e privatizzazione della guerra civile".
Perché la guerra civile colombiana - di guerra civile si tratta e non si sovversione comunista né tantomeno di terrorismo, che non sia quello di Stato: chi ha impunemente sterminato, al di là dei sicari, i 3200 fra candidati presidenziali, deputati, sindaci, sindacalisti, militanti, avvocati della Union Patriotica, il partito di una sinistra che aveva provato a lasciare le armi per la politica? - ha attraversato diverse fasi e si è rivestita di diversi nomi. Guerra fredda, guerra di bassa intensità, guerra alla droga - l'invenzione americana degli anni `80 quando gli Usa cercarono, riuscendoci, di esportare il loro problema con la droga facendone un nuovo strumento di controllo dell'America latina - e ora guerra al terrorismo. Ma in fin dei conti si è sempre trattato di una guerra di classe, e il libro lo dimostra benissimo con il ritmo serrato dei successivi capitoli. Anche quelli che trattano dei grandi signori della coca degli anni `80 e `90, l'ascesa e la caduta dei Rodriguez Gacha e dei Pablo Escobar, del Cartello di Medellin e di quello di Cali. Attori della barbarie ma spesso, in fondo, "capri espiatori" di un disegno tracciato da altri, più puliti, più civilizzati, più democratici.
Un libro, quello di Guido Piccoli, che si legge d'un fiato. E da leggere. Perché la Colombia potrebbe essere il prossimo Iraq. O il prossimo Vietnam.