[NuovoLaboratorio] LA PENSIONE AL LOTTO/WEEK END DA PRECARI

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Autore: Carlo Ghione
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Oggetto: [NuovoLaboratorio] LA PENSIONE AL LOTTO/WEEK END DA PRECARI
CONTROCORRENTE
La pensione al lotto
ALESSANDRO ROBECCHI

Guardo e rimiro le tabelle sul nuovo sistema delle pensioni con lo stesso spensierato ottimismo con cui guardo la schedina dell'enalotto (prima di giocarla, ovvio). Apprendo cose divertenti e un pochettino inquietanti. Tipo questa: ammesso che un lavoratore interinale, a progetto, a chiamata, insomma uno sfigato precario a vita - soggetto ormai maggioritario nell'universo del lavoro - riesca a collezionare 35 anni di contributi, prenderà alla fine una pensione pari al 29 per cento dell'ultimo stipendio. Il testo integrale della riforma delle pensioni non dice se il pensionato avrà diritto anche a un calcio nel culo e due dita negli occhi, ma credo che le circolari esplicative non dimenticheranno questi importanti dettagli. Nel frattempo, conviene sperare nei progressi della scienza: per collezionare 35 anni di contributi uno che di mestiere fa i panini da McDonald, o lavora in un call center, o aspetta la chiamata del padrone per andare in fabbrica, ha bisogno di circa 120-130 anni di vita in buona forma fisica. Nel frattempo dovrebbe comprarsi una casa, munirsi astutamente di un'assicurazione privata, fare dei figli nella speranza che il Paese non si spopoli e che ci sia qualcuno, in futuro, che paghi i contributi per lui, in modo da vederlo veramente, quel 29 per cento, e risparmiare un po', per far fronte agli innumerevoli imprevisti della vita. Nello stesso tempo, però, risparmiare è antipatriottico, dato che come tutti ci spiegano è consumando che si spinge l'economia nazionale. Dunque il nostro lavoratore ex-precario ed ex-co.co.co, oggi riassorbito dalla legislazione, dovrebbe essere milionario da piccolo e via via dilapidare le sue sostanze per pagarsi il lusso di un lavoro di merda.A garantire il funzionamento di questo perverso meccanismo è oggi il signor ministro Bobo Maroni, uno che da quando ha capito che nella Lega conta meno di Giorgetti si è incattivito come un puma delle montagne e ha deciso di vendicarsi sul resto del mondo, in primis sui lavoratori

Questo genio devoluto, frutto di secoli di cristallina ignoranza prealpina, si accorge ora di un'altra suprema minaccia all'economia del Paese: gli agricoltori e gli albergatori hanno bisogno di mano d'opera alla spina. Non in bottiglia, non in lattina, ma quella comoda forza-lavoro che ne tiri giù quanta te ne serve, a piacere. C'è la vendemmia, per esempio. E ci sono i tavolini affollati sulle spiagge, urgono mani e braccia. Ma siccome le quote per gli stranieri non verranno toccate per l'anno in corso, ecco l'ineffabile Maroni arringare gli imprenditori e indicare come toccasana il «contratto week end», che significa andare a lavorare il sabato e la domenica e poi chi si è visto si è visto. Anche questo - e ci mancherebbe - previsto dalle legge Biagi, insieme a decine e decine di tipologie di lavori stagionali, precari, ballerini, a intermittenza, improbabili e - va da sé - micidialmente insicuri. Con un rapido calcolo, si può dire che il fortunato lavoratore stagionale con «contratto a week end» potrà vantare i suoi 35 anni di contributi indicativamente intorno ai 470 anni di età, sempre che l'artrite non lo fermi prima nel bel mezzo della vendemmia. In compenso aumenteranno le occasioni di lavoro. Quando (non manca molto) la riforma delle pensioni si mostrerà in tutta la sua efficacia, avremo un esercito di pensionati sotto la soglia della povertà, accattoni e poveri in canna che non sapranno dove andare a dormire, a curarsi, a mangiare. Serviranno allora moltissimi nuovi call-center per aiutarli a trovare il cartone migliore, l'angolo più confortevole di marciapiede, l'atrio di stazione meglio riscaldato. Si assumeranno così molti nuovi lavoratori, naturalmente con contratti previsti dalla legge Biagi e magnificati dal ministro Maroni. Tipo il raccoglitore part-time di sfollati dalle zone residenziali o il dietologo del nulla da mangiare. Il cerchio si chiude, dunque: i giovani precari e i vecchi poveri. Cosicché nelle famiglie in cui ancora esiste un contratto di lavoro vero, stabile, fisso, e magari garantito dall'articolo 18, tutti - dal nonno al nipote - si aggrappano a quello come si faceva sui tram negli anni Cinquanta: un piede fuori a penzoloni, una mano per reggersi e l'altra a controllare il portafoglio, in attesa delle prossime uscite del ministro Maroni. Uno che conta addirittura meno di Giorgetti.

(robecchi robecchi)
http://www.ilmanifesto.it/oggi/art7.html
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Un week end da precari
Maroni alle aziende: assumete per il fine settimana. E riparte l'attacco all'articolo 18
Mercato flessibile Con la riforma degli ammortizzatori sociali si chiude il patto per l'Italia. Il passo successivo: la modifica del licenziamento per ingiusta causa
FEDERICO SALLUSTI
ROMA

Uno che mantiene le promesse, Maroni. Il ministro del welfare si presenta in sala stampa e parla di pensioni, mercato del lavoro, legge Bossi-Fini e quant'altro direttamente o indirettamente riguardi il dicastero che presiede. Protesta perché, in vista della vendemmia, non può accontentare le aziende agricole, che gli hanno chiesto di aumentare le quote di extracomunitari, braccia per l'agricoltura. Il ministro dell'interno (l'azzurro Pisanu) non porta il decreto sulla Bossi-Fini in consiglio dei ministri. «Da almeno quattro mesi sollecitiamo - dice tra il serio e il faceto - non si capisce in che cassetto sia finito». Già esauriti i posti, si rischia di bloccare la stagionalità del precariato immigrato. Annuncia che nel Dpef è contenuto l'ultimo tassello che completa il mosaico del patto per l'Italia. La riforma degli ammortizzatori sociali chiude il cerchio attorno all'accordo che, rimarca, «solo la Cgil non ha firmato». Poi via alla modifica dell'articolo 18, con buona pace degli ingiustamente licenziati: i sussidi nuovi di zecca e la modifica allo Statuto dei lavoratori vedranno luce «entro il 31 dicembre 2004». «L'impegno assunto nel Dpef - dice - è solenne». Dunque, per fine anno verrà approvata la legge 484bis, impantanata da qualche parte nella fitta agenda del parlamento. «La finanziaria - aggiunge - prevederà ulteriori risorse: 710 milioni di euro per gli ammortizzatori sociali». Intanto, però, arrivano i 310 milioni per un piano di sostegno ai dipendenti delle piccole imprese tessili della provincia di Bergamo. Nulla in contrario, se non che oltre all'«amato» bargamasco ci sarebbe anche qualche altra zona d'Italia piuttosto affamata, anche dalle ultime scelte di politica economica del governo.

Gli ammortizzatori sociali, rinnovati in ossequio alla riforma del mercato del lavoro, apriranno in Italia una strada sempre troppo poco battuta, ma dall'altra parte saranno preludio all'attacco alla diligenza dei diritti. L'articolo 18, baluardo contro le ingiustizie e risultato di lotte decennali dei lavoratori, sarà sacrificato sull'altare del nuovo mercato del lavoro, che esige flessibilità e licenziamento facile.

Altro argomento caro al ministro è, ovviamente, la progressiva introduzione delle forme contrattuali contenute nella riforma «Biagi». Con uno stillicidio di circolari applicative, Maroni sta raggiungendo lo scopo di istituzionalizzare varie figure di precariato. E' il caso di dirlo, per tutte le stagioni. «Evidentemente il ministro è preoccupato perché i rinnovi contrattuali non recepiscono il `lavoro a chiamata'» dice in una nota Fulvio Fammoni, segretario confederale Cgil. L'estate fa esplodere le richieste sul settore del turismo. Ebbene, Maroni ha consigliato agli operatori turistici il «lavoro a week end». Non casuale questa uscita del ministro. Questa forma contrattuale rientra nella categoria più ampia del «lavoro a chiamata». Il job on call può essere sempre applicato in via sperimentale per i giovani fra i 18 e i 25 anni e per i lavoratori over 45 espulsi dal mercato del lavoro. Per le altre categorie, questo tipo di rapporto si può applicare solo per le causali espressamente previste dai contratti collettivi nazionali. «Il lavoro `a week end' prevede però indennità fortemente inferiori a quelle del lavoro a chiamata ordinario - spiega Alessandro Genovesi della Cgil - visto che viene corrisposta solo per i giorni lavorati e non per quelli in cui si rimane in attesa di essere chiamati al lavoro».

Oltretutto, proprio al riguardo, è in corso una polemica fra i sindacati e il ministro sull'interpretazione della stessa legge «Biagi». Secondo Maroni non si applicherebbero le restrizioni previste per il lavoro a chiamata sulla variante «week end», mentre per i sindacati non sarebbe così. Il sottosegretario Sacconi avrebbe confermato la posizione dei sindacati, rispondendo a un quesito al proposito postogli dalla Fipe.

Ma Maroni, a quanto pare, tira dritto per la propria strada. Nel tentativo di far recepire il più in fretta possibile i dettami della legge 30, con buona pace persino delle linee guida iniziali. Tutto perfettamente in stile.
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