[NuovoLaboratorio] G. Casarino: BM e FMI, due sessantenni "s…

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Szerző: Luisa Conte
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Tárgy: [NuovoLaboratorio] G. Casarino: BM e FMI, due sessantenni "scoppiati"
Pensando di far cosa gradita a chi non l'avesse letto sul Manifesto di ieri, vi copio/incollo questo articolo di Antonio Tricarico, del Comitato (???) per la riforma della Banca Mondiale.
Ahinoi!, esso contiene uno svarione (ripetuto), anzi un falso storico, che un'"errata corrige" di quest'oggi si incarica di smentire: l'essere cioè stato J. M. Keynes ministro del Tesoro nel governo di Sua Maestà britannica.
A parte questo elemento "di disturbo", che non inficia gli altri dati di fatto e l'asse del ragionamento, il contributo di Tricarico può essere stimolo e pretesto per riprendere un terreno di discussione/formazione collettiva che abbiamo da tempo perduto di vista.

                                                            Giacomo Casarino 


22 LUGLIO 1944 A Bretton Woods si delineava il nuovo ordine economico mondiale
L'infanzia del dominio americano
Il nuovo assetto del mondo post-bellico, stabile finanziariamente, ma strettamente legato all'economia statunitense. Sessant'anni dopo le figlie di quel patto, Banca mondiale e Fondo monetario internazionale, sembrano essere esse stesse vittime della globalizzazione iniqua che hanno creato
ANTONIO TRICARICO
Il primo luglio 1944, con largo anticipo sulla fine della seconda guerra mondiale, i rappresentanti di 45 governi si riunirono a Bretton Woods, nel New Hampshire, per discutere dei possibili assetti economici mondiali post-bellici. La conferenza si concluse il 22 luglio, con la nascita della Banca mondiale, che doveva occuparsi dello sviluppo mondiale, e del Fondo monetario internazionale, che doveva invece garantire un sistema di liquidità internazionale e un regime di cambi stabili - un sistema che si realizzò solo nel 1945, ma senza l'adesione dell'Urss. Fu la prima volta in cui si formalizzò un accordo a livello mondiale che fissava regole di funzionamento per il Sistema Monetario Internazionale, stabilendo la parità fissa dollaro-oro. Forse nessuna fra le alte personalità governative presenti a Bretton Woods avrebbe immaginato che dopo sessant'anni il mondo si sarebbe trovato di fronte a una guerra globale permanente e a problemi finanziari simili a quelli che avevano condotto alla crisi del 1929. Né avrebbero ipotizzato di doversi interrogare nuovamente se e di quali istituzioni globali ci fosse bisogno per evitare nuovamente il peggio. Da un punto di vista economico, finanziario e commerciale, il mondo è senza dubbio profondamente cambiato da quando Usa e Regno Unito, allora guidato dall'autorevole ministro del tesoro John Maynard Keynes, si confrontarono sicuri della vittoria della guerra nella conferenza internazionale. Ma è allora, proprio con la sconfitta di numerose delle proposte di Keynes, che a tutt'oggi mantengono un carattere innovativo, che iniziò il dominio americano che ha marchiato la seconda metà del novecento, fino ad arrivare ai nostro giorni. A Bretton Woods si optò per un mondo stabile finanziariamente, ma strettamente legato all'economia americana. Non deve quindi stupire che, allorché nel 1971 Nixon decise di rompere la parità dollaro-oro e conseguentemente sconvolgere l'intero sistema monetario, nessuno poté obiettare. Con quel passaggio si gettarono le basi per la globalizzazione iniqua e irrazionale che viviamo oggi, fonte soprattutto di sciagure e promesse mancate di sviluppo invece che di una redistribuzione delle ricchezze su scala globale nei limiti che ci impone il pianeta.

Il dogma del libero commercio

Ma la stessa globalizzazione è andata avanti più velocemente di quello che si pensava, fino a spingere agli inizi degli anni `90 gli Usa di Bill Clinton a puntare sul dogma del libero commercio, con la creazione nel 1994 del Wto. Proprio quel «terzo pilastro» che anche Keynes avrebbe voluto nel 1944. Per la verità un'organizzazione che si occupasse di commercio era vista da Keynes come prioritaria, ma all'epoca gli americani posero un veto. Certo il ministro del tesoro inglese pensava a qualcosa di diverso da un'istituzione globale basata sul verbo della liberalizzazione dei commerci globali ad ogni costo. La sua visione era un'istituzione che prevedesse l'obbligo per ogni paese alla fine dell'anno di avere una bilancia commerciale e dei pagamenti in pareggio, pena una multa internazionale con cui finanziarie lo sviluppo dei più poveri. Sicuramente il corso della storia del pianeta sarebbe stato diverso se l'avesse spuntata Keynes.

Quando si arriva a sessanta anni si dovrebbe andare in pensione. Soprattutto si dovrebbe tirare un bilancio della propria esistenza, magari ascoltando critiche esterne, per poi avviarsi a una vecchiaia di saggezza, all'occorrenza facendosi da parte per far strada al nuovo. Al contrario, Banca e Fondo a fare tutto ciò non ci pensano neanche. Sebbene vivano da tempo una profonda crisi di legittimità, ironicamente aggravata negli ultimi anni dai loro stessi ideatori, ossia i nuovi regnanti della Casa Bianca e del Congresso americano, che, sempre più allergici alle istituzioni globali e sempre più vulnerabili agli effetti destabilizzanti della globalizzazione economica, richiedono una restrizione del mandato e dei finanziamenti delle due istituzioni. Adesso, infatti, con la dilagante disintegrazione della loro dottrina neo-liberalistale (il «Consenso di Washington»), le istituzioni di Bretton Woods sembrano essere esse stesse vittime della globalizzazione che hanno creato.

Il premio Nobel per l'economia Joseph Stiglitz, rinnegato capo-economista della Banca mondiale, ci ha mirabilmente descritto e spiegato le crisi finanziarie del Sud-Est asiatico, che hanno poi coinvolto Russia e Brasile nel `97-'98. L'opera di Stiglitz ha messo sul banco degli imputati senza possibilità di appello il Fondo monetario, reo di aver creduto fino al compimento della sciagura che la liberalizzazione totale dei capitali a livello internazionale era l'unica via da seguire. Poco contavano le speculazioni finanziarie e i profitti di breve termine a man bassa degli investitori globali liberi di entrare e uscire da un paese quando volevano. Speculatori che avevano le spalle coperte, visto che erano sicuri che nell'eventualità di una crisi ci sarebbe stato il buon vecchio Fondo a salvare tutti, tranne la popolazione dei paesi in crisi. Di recente il Fondo ha poi vissuto l'«affronto» senza precedenti dell'Argentina. Ovvero uno stato in grave crisi economica che ha dimostrato come oggi i grandi paesi emergenti del Sud possano dire di no al Fondo monetario e non pagare il proprio debito.

A differenza del Fondo monetario, a partire dalla fine degli anni `80 la Banca mondiale è finita nell'occhio del ciclone principalmente grazie alle critiche e alle lotte nazionali e globali della società civile. A dare la spinta iniziale a tali rivendicazioni sono state le azioni non-violente degli attivisti della valle del Narmada in India, segnata dalle disastrose dighe finanziate dalla Banca mondiale. Come reazione, negli ultimi quindici anni la Banca ha cercato continuamente di cambiare, espandendo il proprio campo di azione, pur di non accettare apertamente il fallimento economico e di sviluppo dei suoi interventi passati. Gli aggiustamenti strutturali del sistema di Bretton Woods, pensati per risolvere l'incapacità del Sud del mondo nel ripagare il debito finanziario spesso illegittimo verso il ricco Nord, hanno portato solo più miseria. Privatizzazioni di enti pubblici, liberalizzazioni del mercato dei capitali, tagli indiscriminati alle spese sociali perché considerate improduttive e produzioni concentrate su pochi beni destinati all'esportazione, per ottenere così moneta pregiata per ripagare il debito, non hanno permesso, specialmente ai paesi più poveri, di avere uno stato sociale e un sistema di raccolta del risparmio nazionale a sostegno dell'economia nazionale. Di fronte all'evidenza dei disastri finanziati, all'inizio degli anni `90 la Banca ha diminuito il suo sostegno a grandi progetti, accettando la necessità di dotarsi di un minimo di linee guida anche ambientali e sociali. Allo stesso tempo questo cambiamento non ha però toccato il cuore economico della Banca. Un'istituzione che negli ultimi nove anni si è nascosta dietro l'immagine di una «banca della conoscenza», che può aiutare gli altri finanziatori e i paesi del Sud a pensare come finanziare lo sviluppo. Le contraddizioni sono palesi al punto da ipotizzare una vera e propria schizofrenia istituzionale.

Debiti senza Fondo

Mentre da un lato, infatti, la Banca mondiale afferma di limitarsi a fornire assistenza tecnica per i negoziati commerciali ai paesi del Sud del mondo, al fine di renderli più attivi nel negoziato del Wto, dall'altro impone nuove condizioni in favore della liberalizzazione commerciale ai propri prestiti per i paesi in via di sviluppo. Se con l'esercizio della definizione di strategie di riduzione della povertà a livello nazionale si accetta il principio che spetta anche ai governi del Sud fissare le priorità del proprio sviluppo in consultazione con la società civile, alla stesso tempo la Banca svolge un ruolo politico tramite una nuova generazione di condizionalità sul proprio credito che ruotano sul concetto quanto mai soggettivo di «buon governo». In sostanza la Banca elabora una valutazione di un singolo paese sulla base di parametri da considerarsi sempre più politici. Infine, la Banca mondiale chiede più risorse ai paesi donatori per raggiungere gli obiettivi di sviluppo del millennio, specialmente in Africa, affermando di andare a investire lì dove il privato non va, però poi mira sempre più a facilitare investimenti esteri privati, ipotizzando nella sua nuova strategia per il settore privato la possibilità di sostenere con prestiti e donazioni le imprese nei loro investimenti nei paesi più poveri. In questo modo le imprese ricevono una copertura politica contro i rischi sugli investimenti, spesso anche in aree di conflitto.

Con l'avvento dell'amministrazione Bush negli Usa, la Banca sta vivendo una vera e propria involuzione. Per rispondere alle esigenze delle grandi industrie del Nord e anche per pure esigenze bancarie di mantenimento di un elevato ritorno sugli investimenti per i paesi azionisti, la Banca mondiale sta riconsiderando il suo intervento nel settore delle grandi infrastrutture tramite grandi progetti. C'è il rischio che si ritorni a finanziare dighe, come quelle nella valle del Narmada, o grandi oleodotti in Africa o nell'Asia centrale. Di qui il bisogno di far arretrare tutte le regolamentazioni ambientali e sociali che la Banca si era data, dal momento che sarebbero un impedimento a questi nuovi progetti. Questo proprio quando nei mesi scorsi l'ennesima revisione esterna di esperti (l'Extractive Industries Review) ha raccomandato alla Banca mondiale di uscire dal business dei combustibili fossili, perché incapace di portare sviluppo con questi progetti. Una provocazione per la Banca, che sembra decisa a rigettare tali raccomandazioni nonostante le pressioni della società civile, e che, più che preoccuparsi dei cambiamenti climatici o dei diritti dei popoli indigeni, vuole competere perché minacciata nella sua stessa sopravvivenza con il settore privato. Sembra un déjà-vu, visto quanto accaduto nel 2000 con la revisione dell'autorevole Commissione mondiale sulle dighe, le cui raccomandazioni non sono state mai adottate dalla Banca. Ma non si può comprendere a pieno il ruolo di Banca e Fondo nell'attuale processo di globalizzazione senza far riferimento alla questione più generale degli attuali flussi finanziari Nord-Sud.

Secondo i dati delle Nazioni Unite, dal 1996 in poi il flusso globale finanziario è andato dal Sud verso il Nord del mondo. Tutto ciò nonostante l'aiuto allo sviluppo, i crescenti investimenti privati nei paesi in via di sviluppo e le rimesse sempre più sostanziose degli immigrati. A pesare in maniera schiacciante è il debito, che rimane la catena che blocca la crescita e lo sviluppo autonomo del paesi in via di sviluppo. Il problema strutturale del debito del Sud del mondo, per la cui soluzione erano stati applicati i fallimentari aggiustamenti strutturali, risulta ancora irrisolta. Banca e Fondo controllano una fetta sostanziosa dei 2,5 trilioni di dollari circa che il Sud deve al Nord, ma allo stesso tempo godono di uno status di creditori privilegiati, ossia tra i primi a cui bisogna ripagare vi sono loro. L'iniziativa Hipc del 1996 per la cancellazione del debito dei 42 paesi più poveri e indebitati al mondo si avvia alla sua conclusione con un risultato quanto mai discutibile: debito cancellato alla fine per 8 paesi finora e per altri 19 paesi in prospettiva per un totale di 31 miliardi di dollari su 103 miliardi dollari previsti inizialmente. Banca e Fondo si sono sempre rifiutati di far ricorso alle proprie riserve per una tale cancellazione.

Egemonia Usa

A sessanta anni dalla chiusura della conferenza economica e monetaria di Bretton Woods c'è dunque ben poco da festeggiare. I problemi chiave per assicurare uno sviluppo sostenibile e duraturo basato sulla redistribuzione globale delle ricchezze e su una stabilità finanziaria, bene pubblico globale che riguarda tutti, sono ancora lì. In più abbiamo due istituzioni che nonostante predichino buon governo un po' a tutti, sono in realtà le meno democratiche. Il sistema di governo interno di Banca e Fondo rimane sostanzialmente quello di un dollaro un voto, con gli Stati Uniti che, oscillando tra il 15 e il 20 per cento delle quote, hanno un vero e proprio diritto di veto sulle questioni cruciali. Il raccordo con il sistema delle Nazioni Unite, nonostante Banca e Fondo siano due agenzie specializzate legate all'Onu, rimane virtuale a causa dell'enorme squilibrio di budget tra i due sistemi. I presidenti di Banca e Fondo continuano a essere per tradizione rispettivamente americano ed europeo. Ma dopo anni di pressioni, soprattutto da parte del Congresso americano che da diversi anni chiede il restringimento del mandato delle due istituzioni di Bretton Woods, le «figlie» di quel luglio 1944 sono ormai a un bivio: diventare l'una una vera agenzia di sviluppo globale con un innovativo e democratico meccanismo di finanziamento e di governo e l'altro ritornare a un mandato originario di stabilità finanziaria accettando innovative soluzioni per la cancellazione del debito, permettendo ai paesi di proteggere il proprio mercato dei capitali e del risparmio nazionale; oppure accelerare un inesorabile declino.

Quando si arriva a sessanta anni si dovrebbe essere saggi da ascoltare chi da più parti, strade, università, parlamenti e alcune capitali chiede un vero rinnovamento, altrimenti non sarà neanche necessario tra poco organizzare una nuova conferenza di Bretton Woods, magari in Cina, per ridisegnare un nuovo ordine economico mondiale con la nuova super-potenza d'oriente.



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