[Cm-roma] L'imperialismo dell'auto (libro di Hosea Jaffe)

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Autore: vaahan
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Oggetto: [Cm-roma] L'imperialismo dell'auto (libro di Hosea Jaffe)
Mi potreste cancellare dalla mailing list, per cortesia? Vado al paese, internet non sanno neanche cos'è, non vorrei intasarmi la casella di posta, grazie ciao.
                                                                                                                                                                                                                            Andrea
  ----- Original Message ----- 
  From: Stefano Guidi 
  To: cm-roma@??? 
  Sent: Thursday, July 22, 2004 4:48 PM
  Subject: [Cm-roma] L'imperialismo dell'auto (libro di Hosea Jaffe)



Un libro di Hosea Jaffe evidenzia i gravi danni provocati dal mezzo di trasporto più popolareL'imperialismo dell'autoSenza ombra di dubbio il secolo appena trascorso può essere definito l'era dell'automobile. L'invenzione di questo strumento ha drasticamente cambiato lo stile di vita di milioni di persone, nel ricco Occidente ma anche nei paesi più poveri. Da qualche decennio a questa parte però questo mezzo che ha consentito una capacità di spostamento prima sconosciuta è sul banco degli imputati: inquinamento, morti causati dagli incidenti, lentezza in città ma anche nelle autostrade, soprattutto nei periodi di esodo, hanno trasformato un comodo mezzo di trasporto in una palla al piede, senza considerare che per il carburante che alimenta queste scatole a quattro ruote vengono scatenate guerre, guerre e solo guerre.
Tutti questi problemi sono ben affrontati dal libro del sudafricano Hosea Jaffe "L'imperialismo dell'auto" (Jaca Book, pp. 105, euro 12), che nell'edizione italiana si avvale dell'introduzione del professor Giorgio Nebbia, uno dei nomi di spicco dell'ambientalismo italiano. Nel suo scritto Nebbia stronca senza mezzi termini il mezzo di trasporto privato per antonomasia: «(...) la mobilità è un diritto, anzi una forma di libertà e democrazia, ma può essere ottenuta a condizione che non generi congestione, che non sia pagata con la perdita di salute per avvelenamento dell'aria, che non comporti sprechi di energia, che il mezzo di trasporto, alla fine della sua vita utile, non sia un insopportabile e ingombrante rifiuto. Per soddisfare queste condizioni l'automobile privata è la merce sbagliata.»
Dal canto suo Jaffe - che ha al suo attivo l'insegnamento in università europee, indiane ed africane - sottolinea con dovizia di dati e particolari le ricadute negative dell'industria automobilistica sotto molteplici punti di vista. In primo luogo la dipendenza dal petrolio e lo sfruttamento del Sud del mondo: «Significativamente - scrive lo studioso - l'industria dell'automobile trae il suo principale plusvalore e molte delle materie prime dal Terzo Mondo. La Corea del Sud, il Brasile, l'Argentina, il Sudafrica, l'India e molti altri paesi del Terzo Mondo producono e/o assemblano automobili per l'italiana Fiat, per le società Austin-Rover-Leyland un tempo inglesi e ora in mani tedesche, le americane General Motors e Ford, la tedesca Volkswagen, la giapponese Toyota e altre (....). Per riassumere: le due basi, di ugual importanza, su cui si regge l'industria automobilistica sono il petrolio e il Terzo Mondo.»
Ne consegue che l'automobile, come prima industria capitalistica mondiale, è un vero e proprio strumento di morte. E non soltanto perché, come mezzo di trasporto, è responsabile di milioni di vittime - «nel 1990 - scrive Jaffe - all'automobile sono state attribuite 17 milioni di vittime nel corso del secolo (...), il doppio di quelle dei campi di sterminio nazisti, 18 volte quelle dell'invasione della Corea da parte della Nato-Onu, 17 volte quelle della guerra del Vietnam e più di quelle della Guerra dei Cent'anni» - ma anche perché le modalità di produzione del mezzo stesso e la necessità quotidiana di avere sufficiente carburante a disposizione sono state e sono di per sé causa di morte e distruzione. «Per quanto spaventose siano le statistiche riguardanti l'automobile come macchina della morte - scrive lo studioso - i più di venti milioni di morti del XX secolo non sono ancora il cuore della potenza distruttiva dell'auto. Il vero nucleo di essa è costituito dal ruolo assunto, con
il petrolio, in ciò che viene chiamato "globalizzazione".»
Nel capitolo "L'asse macchina petrolio e le guerre della globalizzazione" Jaffe prende in esame tutte le guerre del secolo scorso e quelle attuali, sottolineando come ognuno di questi conflitti - dalla Prima guerra mondiale all'attuale in Iraq - sia stato causato dalle smanie delle grandi potenze di controllare l'oro nero.
Nell'ultima parte del testo l'autore di numerose opere sulla storia africana e sul sistema economico mondiale analizza il ruolo che l'automobile ha assunto nel ricco Occidente e le battaglie per sconfiggere questa pericolosa dipendenza: «La passione per la macchina - scrive - è una malattia di cui soffre, secondo le statistiche formulate sui proprietari di automobili, il 75% del miliardo di abitanti del Primo Mondo». Una malattia che ha «ritardato, se non addirittura devastato, lo sviluppo dei tre veicoli "alternativi", quelli che potremmo chiamare le tre "t": il treno di superficie, il tram e il treno sotterraneo o metropolitana.» Proprio questi mezzi costituiscono per l'autore del libro l'alternativa all'auto. Jaffe dipinge un mondo ideale dove anche l'aereo che «produce in media un inquinamento atmosferico equivalente a quello di duecento auto» può essere sostituto da treni a motore elettromagnetico o dalle navi, senza considerare che la moderna tecnologia permette spesso di
arrivare al proprio obiettivo senza spostarsi. Un quadro utopico ma, come si sa, senza l'utopia ogni speranza di cambiamento è preclusa.
Vittorio Bonanni



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