[Cm-roma] Un weekend tra bici e stelle (lungooooo)

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Autore: Marco Pierfranceschi
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Oggetto: [Cm-roma] Un weekend tra bici e stelle (lungooooo)
Premessa
Questa mail racconta il weekend da me appena trascorso, e viene inviata a
diverse mailing-lists. Ho scelto di fare un racconto unico e suddividerlo in
capitoli in modo che gli appassionati di bicicletta possano leggere, se
credono, solo la parte di escursionismo, gli appassionati di astronomia solo
quella relativa alle osservazioni, e quelli che odiano i messaggi lunghi
solo questa premessa. :-)

1) l'organizzazione
La proposta di questo weekend, organizzato per l'Associazione
Ruotalibera-Fiab, nasce dal desiderio di coniugare due mie grandi passioni,
quella per la bicicletta da montagna e quella per le osservazioni
astronomiche: l'iniziativa prende il nome di "Bici+Stelle a Campo Felice".
La concomitanza con altre proposte e l'impegno richiesto dal percorso tutto
su strade di montagna ha portato il numero dei partecipanti ad attestarsi alla
risicata cifra di dieci, con l'aggiunta di altri tre che hanno effettuato chi
solo l'itinerario del sabato, chi solo quello della domenica.
Per la cena ed il pernotto ci siamo appoggiati presso il ristorante/rifugio
Alantino, sulla piana di Campo Felice. Per il trasporto delle bici, in
assenza di treni che ci potessero portare in zona, abbiamo utilizzato le
nostre auto.

2) la pedalata del sabato
Radunato il "manipolo di coraggiosi" in quel di Rebibbia, noto molte facce
nuove o frequentatori non abituali, e pochissi "aficionados". Il tempo di
prendere un caffé e ci muoviamo, solo per fermarci subito dopo, appena prima
di imboccare l'A24, per soccorrere un motociclista incidentato.
Il ragazzo è slittato con lo scooterone e si è andato ad infilare sotto il
guard rail, la moto è distrutta e lui si dibatte in preda alle convulsioni,
io cerco di mettere in pratica le poche nozioni apprese al corso di "primo
soccorso" e lo tengo fermo controllando che non si morda la lingua e non
soffochi. Per fortuna non ci sono emorragie né fratture evidenti. Quasi
subito perde i sensi e mentre aspettiamo l'ambulanza si ferma un medico a
soccorrerlo meglio di quanto possa fare io. Dopo cinque minuti arrivano i
paramedici con l'ambulanza e possiamo ripartire.
Superata questa partenza un po' traumatica, dopo meno di un'ora siamo a
Tornimparte, lasciamo le macchine nel parcheggio sottostante il casello ed
inforchiamo le bici.
La partenza è in salita su strada asfaltata per un paio di chilometri,
ripida e non entusiasmante, Sandro accusa un po' di dolore al ginocchio e ne
percorre lunghi tratti a piedi, poi in prossimità di un tornante usciamo a
destra su una strada bianca particolarmente brecciosa, sottopassiamo la
strada asfaltata e cominciamo ad inerpicarci sul fianco della montagna.
Nel primo tratto il sentiero sale con una pendenza non troppo accentuata e
raggiungiamo in breve un fontanile dove ci rinfreschiamo e prendiamo l'acqua
per le borracce. Poi la pendenza si fa più erta ed il fondo più mosso, solo
in pochi riescono a farla tutta in sella, mentre i più spingono la bici a
mano, quindi il sentiero si infila nel bosco donandoci la frescura nelle ore
più calde.
Il gruppo è parecchio sgranato, ed al bivio in cima ci si ferma sul prato ad
aspettare gli ultimi. Sandro decide che il suo ginocchio non vuole più
saperne e una volta tornati sull'asfalto torna giù a recuperare l'auto.
Noi percorriamo i cento metri fino al valico solo per dover cambiare
programma a causa di cani pastori aggressivi che, a detta di Marco R. andato
in avanscoperta, impediscono di percorrere la strada sterrata che, subito a
destra del valico, scende nella valle.
Deciso a malincuore per l'asfalto planiamo a volo d'uccello sulla piana e
raggiungiamo "Alantino", dove ci lasciamo sedurre dalla prospettiva delle
fettuccine ed abbandoniamo senza rimpianti la pratica frugale del panino.
Nel pomeriggio il gruppo si divide, sette con me ad affrontare la discesa
del bosco del Cérasolo, e due con Marco R. sulla strada del rifugio
Sebastiani (méta rivelatasi poi troppo ambiziosa).
Stavolta optiamo per raggiungere il valico sulla sterrata, dopo aver
verificato, dall'alto, che nel frattempo il gregge si è spostato.
La sterrata è sicuramente più bella della strada principale, e un po' mi
dispiace di non averla potuta percorrere anche all'andata.
La discesa nel bosco è nel primo tratto veloce e su fondo compatto, con
pochi ma piacevoli affacci su punti panoramici. Per qualche centinaio di
metri deviamo in mezzo ai prati, in quel punto comodamente pedalabili (a
parte che per le pendenze). Ci colpisce molto il laghetto del Cérasolo con una
mandria di mucche al bagno e all'abbeverata, qualcuno dice: "sembra il
documentario sui bufali africani a Superquark"! :-)
L'ultimo trato della discesa è ripido e su un fondo di ghiaia e sassi
smossi, e mette a dura prova l'equilibrio ed il controllo delle biciclette.
il gruppo raggiunge il fondo con all'attivo due cadute (praticamente senza
danni) e con un ultimo orrido panorama sullo svincolo dell'autostrada.
Carichiamo le bici in macchina e torniamo da Alantino.
L'alloggio è sobrio e confortevole, c'è il tempo per una doccia e un po' di
riposo, si esce a guardare il tramonto e poi tutti a cena.
Mentre banchettiamo ad amatriciana ed arrosti misti arriva una squadra di
una decina di ciclisti sportivi che sono venuti in bici da Roma... con le
mountain bikes: 130km dalle due del pomeriggio alle nove di sera!
Considerando la difficoltà dei sentieri della zona restiamo decisamente
impressionati.

3) L'astronomia e la montagna
Per gli appassionati di astronomia le condizioni del cielo notturno hanno
subito, negli ultimi vent'anni, un tracollo catastrofico. La proliferazione
incontrollata di lampioni ed insegne luminose, e l'ossessione modernista di
cancellare la notte hanno fatto sì che in prossimità delle città e dei
centri abitati il cielo sia permanentemente "inquinato" da una luminosità
lattiginosa di fondo, che oltre a cancellare dalla vista la via lattea e le
stelle più deboli rende del tutto invisibili anche all'indagine strumentale
le galassie e le piccole nebulosità che costellano il cielo, e sono la gioia
degli astrofili. Per questo l'ultima risorsa sono le montagne: sopraelevate
e lontane dalle grosse città esse offrono l'ultimo rifugio, sebbene ormai
raro ed anch'esso sempre più intaccato dalle luci all'orizzonte, per chi
voglia avvicinarsi alla conoscenza ed alla comprensione dell'universo.

4) La serata osservativa
Subito dopo cena le condizioni del cielo sembrano promettenti. Nel
pomeriggio densi nuvoloni mi hanno fatto vivamente preoccupare, tanto da
indurmi a telefonare a Franco, un astrofilo di Avezzano conosciuto via
internet, per dissuaderlo dal portare il suo ingombrante telescopio (e per
fortuna che non mi ha dato retta...).
Ci dividiamo quindi su tre auto e percorriamo per poco più di un chilometro
una strada bianca, andando a scegliere come punto "ottimale" una collinetta
riparata dalle luci degli alberghi della piana, e qui comincio a montare il
mio strumento (un Vixen R200SS 8" f:4, newtoniano da 20cm di apertura, che
posso usare solo "in trasferta", date le condizioni disastrose del cielo
visibile da casa mia).
A telescopio ancora semi-montato punto Giove, già basso sull'orizzonte,
purtroppo la turbolenza è elevata e la stabilizzazione termica dello
specchio incompleta, per cui si vede ben poco.
Approfitto del crepuscolo per allineamenti e calibrazioni, mentre tra gli
astanti già infreddoliti c'è chi osserva il cielo con le spartane cartine
stampate in ufficio e chi mi fa domande sul telescopio.
Quando il cielo comincia a scurirsi a sufficienza punto M13, l'ammasso
globulare in Ercole, in quel mentre mi telefona Franco e passo a spiegargli
dove siamo e come raggiungerci, quindi mi piazzo sulla strada col
giacchettino fluorescente e lo guido a parcheggiare il camioncino.
Franco ha portato un dobson da 56cm di apertura che all'istante "annienta"
il mio onesto strumentino, ci diamo da fare un quattro per tirar giù dal
pianale e trasportare per una decina di metri il blocco "basamento-cella del
primario", grande e pesante più o meno quanto una lavatrice...
Una volta "in opera" lo strumento, messo in verticale, è una torre
impressionante che si innalza fino a tre metri da terra (la distanza focale
per un f:5 è 2800mm) e io mi domando perplesso come si faccia ad osservare
con un simile mostro... è di un intero ordine di grandezza superiore al
mio!!! Poi Franco mi spiega che per osservare occorre salire su una
scaletta, la piazza e comincia a puntare oggetti.
Si va subito sul "deep-sky" classico: la nebulosa "anello" della Lyra (M57),
la "laguna" (M8) nel Sagittario, l'ammasso globulare in Ercole (M13), la
nebulosa "Omega" (M17), l' "Aquila" (M16), l'ammasso aperto nello Scudo
(M11), insomma gli oggetti più vistosi del cielo estivo. Per me niente di
speciale, se non che ogni cosa è grande il triplo ed ha il decuplo dei
dettagli di quello che posso vedere nel mio telescopio!!!
Gongolo sommessamente. :-)
Anche i ciclisti mostrano di gradire, almeno quelli sopravvissuti alla
stanchezza e al freddo (in realtà molto moderato, ma per quanto avessi
insistito è dura far capire a chi non è abituato che a Luglio bisogna tirar
fuori i vestiti invernali e i calzini di lana...), gli ultimi ci abbandonano
intorno a mezzanotte dopo aver ammirato la "Dumbbell nebula" (M27) nella
Volpetta. Continuiamo a spazzolare il cielo poi, poco prima di chiudere
tutto, Franco sfodera l'asso nella manica e mi punta la nebulosa "Velo" nel
Cigno. Col filtro OIII ed un oculare Nagler da 22mm è una visione pazzesca,
inimmaginabile. Letteralmente non ci sono fotografie o immagini CCD che
possano reggere il confronto, la nettezza con cui il velo e suoi filamenti
si staccano dallo sfondo è impressionante... mi rendo conto che nei passa
vent'anni che osservo il cielo non mi sono mai nemmeno avvicinato ad
un'esperienza simile. E' semplicemente fantastico!
Purtroppo a quel punto sono del tutto stremato, è l'una e mi rendo conto di
camminare barcollando, temo che se insisto finirei col cadere dalla
scaletta. Franco è costretto a rientrare anche lui perché gli serve l'aiuto
di un'altra persona per rimettere il "mastodonte" sul camioncino, e così
quello che abbiamo tirato giù in quattro dobbiamo rimetterlo su in due... ma
bene o male ce la facciamo.
Poco prima di andare a dormire realizzo che il cielo è molto migliorato tra
mezzanotte e l'una, tanto che adesso è ancora più scuro e bello di prima, mi
riprometto di far partire le future sessioni osservative direttamente dalla
mezzanotte... forse, chissà? :-)

5) I giri della domenica
Chi prima, chi dopo, con la necessaria calma, ci alziamo tutti. Per le nove
e mezza siamo di nuovo pronti a metterci in sella, e qualcuno più mattiniero
degli altri ha perfino trovato il tempo per una passeggiata. La piana al
mattino è stupenda, Nicola mi chiama al telefono da Roma, appena partito, e
gli do un appuntamento di lì ad un'ora mentre ci muoviamo per il primo dei
due giri previsti. In realtà ho solo una vaga idea di quali strade
percorrere, iniziamo con una strada bianca che parte dall'albergo "La
Vecchia Miniera" e sale sul versante sud di monte Orsello, lo conosco per
esserci venuto in passato a fare osservazioni astronomiche, e mi rendo conto
salendo di averlo sempre visto solo di notte(!).
La strada è molto dissestata e taglia a metà una parete ripidissima, ma la
vista "a volo d'uccello" sulla piana è spettacolare. Arrivato in cima la
strada finisce, approfitto dell'essere arrivato per primo per salire a piedi
in cima al crinale e buttare da lì un'occhiata al versante nord. Da quota
quasi 2000m vedo il Gran Sasso e la piana di Fonte Vetica, un falco vola
sotto di me e per un po', con la fantasia e lo sguardo, volo insieme a lui.
Raggiungo gli altri e scendiamo tra panorami di una bellezza
incomparabile... ma non ha molto senso scriverlo, per chi non li ha negli
occhi e nei ricordi. :-)
Torniamo da Alantino a recuperare Nicola e Paola, che ci hanno raggiunto
rispettivamente da Roma e Viterbo, e partiamo per il secondo itinerario,
questo ancor più inesplorato, un anello che partendo dalla piana sale sul
versante sud per arrivare all'altezza degli impianti sciistici.
Seguo le idicazioni di Marco R. e finiamo nel sito di una miniera di bauxite
abbandonata, per fortuna tornando indietro mi cade l'occhio su un paio di
strisciate appena accennate tra l'erba e i sassi e imbocco, abbastanza
casualmente, la strada giusta (se strada si può definire).
Qui il fondo alterna erba e sassi affioranti, ed è particolarmente scomodo
per le bici non ammortizzate. Durante una breve sosta vediamo volteggiare
sopra di noi un grosso rapace, Paolo ci spiega essere un avvoltoio grifone,
specie estinta che è stata ripopolata partendo da esemplari catturati in
Croazia, e la cui apertura alare può raggiungere i quattro metri.
Scendiamo di nuovo fin quasi alla piana, fra un paesaggio di basse
ondulazioni che a me ricorda i documentari sulla pampa argentina, poi
prendiamo a salire in una piccola valletta secondaria e perdiamo di vista il
pianoro.
Dopo una mezz'ora di salita costante sostiamo ancora in un boschetto, e
mentre attendiamo l'arrivo degli altri si filosofeggia un po' sul senso
della vita e dell'esperienza, della fatica e dell'essere.
Paolo ha male al ginocchio e vorrebbe tornare indietro, lo convinciamo a
proseguire e meno di cento metri più avanti viene premiato, la strada prende
a scendere. Tagliamo due o tre piste da sci in rapida successione e dopo una
discesa decisamente ripida e pericolosa, che ci regala un ultimo splendido
panorama sulla piana, raggiungiamo gli impianti.
Non sazio lascio gli altri a scendere a valle per salire da solo sulla sella
che si affaccia sul Piano delle Rocche per ammirare Rocca di Mezzo e Rocca
di Cambio. La discesa sulla pista da sci nuda e sbrecciata è abbastanza
rischiosa, il fondo è infido e sdrucciolevole e una o due volte sono sul
filo di perdere l'equilibrio, ma riesco ad arrivare intero al fondovalle
dove mi riunisco agli altri per un meritato gelato.
Sono ormai le cinque, si torna a piccoli gruppi verso le auto percorrendo
per la prima volta la strada in mezzo alla piana, ma la tentazione è forte,
poco davanti a me, appena vedono una strada sterrata Paolo e Filippo saltano
giù, e noialtri li si segue tutti.
Ancora una volta Campo Felice riesce a stupirci, dalla strada appena
accennata in mezzo alle sterpaglie l'asfalto praticamente non si vede più,
un pastore conduce un gregge di pecore e sembra una scena di un secolo fa, o
di mille anni fa, la strada polverosa nella luce del pomeriggio rievoca
centinaia di film western. Peccato che sia ormai ora di tornare a casa.

Ciao

-- 
Marco Pierfranceschi
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"Il (nostro) scopo è reinventare la vita
in un'era che ce ne sta privando in forme mai viste."
                       (Luigi Pintor)