L'accordo in extremis blocca lo sciopero
Pochi soldi in busta paga e più precarietà
Commercio, contratto-bidone
Nei prossimi quattro anni rincorreranno ancora l'inflazione lavorando in condizioni sempre più precarie. Il futuro del milione e mezzo di lavoratori del commercio è scritto nel contratto siglato nel cuore della notte giusto in tempo per bloccare gli scioperi in programma ieri e oggi. Ed è la seconda dopo la revoca della manifestazione nazionale prevista per il 19 giugno. E dire che solo qualche ora prima era entrato nella polemica con la Confcommercio perfino il leader Cgil Epifani promettendo guerra a chi l'aveva dichiarata ai lavoratori.
A leggere l'accordo si scopre che, nella prossima busta paga magazzinieri, banconisti, vetrinisti, cassiere, commesse e quant'altro, troveranno 35 euro in più, che a dicembre ci sarà un altro aumento di 37 euro seguito da altri 23 tra un anno e di nuovo 30 a settembre del 2006. E' questo l'aumento di 125 euro che sarà a regime solo tra più di due anni cui va sommata anche l'una tantum, dopo un anno e mezzo di vacanza contrattuale, di 250 euro subito più 150 a gennaio. Ma l'intesa prevede pure che i contratti a termine saranno decisi con la massima discrezionalità dalle aziende. Col nuovo contratto il loro tetto schizza dal 10 al 20% del totale della forza lavoro mentre gli interinali potranno ammontare al 15%. Anche la somma delle due tipologie, da un massimo del 23%, potrà toccare il 28% del totale degli occupati. I nuovi esercizi potranno utilizzare, lameno per il primo anno, contratti della famigerata legge 30 senza tetto e, comunque, dal computo di questo sono esclusi i lavoratori che sostituiscono personale in maternità o malattia.
Un risultato sconcertante visto che la piattaforma chiedeva soprattutto norme che bloccassero nel settore lo scempio sociale della legge 30. Venivano richiesti 107 euro di aumento per il biennio di vacanza contrattuale (mentre per gli anni a venire era tutto da decidere) e ci si aspettava che fossero regolamentate finalmente le Rsu.
Ieri mattina nella bacheca Ikea di Corsico sono comparse scritte sui manifesti sindacali: "Venduti", "Vergogna", "Siete sul libro paga dei padroni". «I lavoratori sono shoccati dalla notizia dell'accordo - racconta Luca Marchi, delegato (ci tiene a specificare "per ora") della Filcams Cgil che ha150 iscritti su 450 addetti - pensa che quelli del turno di notte erano già in sciopero spesso dopo una giornata passata a mettere manifesti in città. Mi sembra che si delinei una rottura tra sindacato e base. Si registra il massimo dello sconforto e della delusione. C'è chi sta pensando ad azioni forti». La parola passa alle assemblee ma già dal Veneto giunge un documento di decine di Rsu autoconvocate di Coop, Conad, Carrefour, Marr, Pam, Coin, Oviesse, Cadoro: «La sospensione è incomprensibile - si legge nel loro documento - che scredita il lavoro di migliaia di delegati. Le scelte della Filcams nazionale sembrano appiattite su quelle di Cisl e Uil e si pone un problema di democrazia di mandato visto che si contraddicono gli indirizzi programmatici indicati dall'assemblea nazionale di quadri e delegati».
Nel primo pomeriggio erano già in assemblea all'Esselunga di Milano Certosa. Da lì, Piero Saporito, Rsu Cgil, conferma l'impressione che le cifre vengono giudicate deludenti dai suoi colleghi di lavoro. Racconta ancora Elena Ceschin delegata Filcams nella multinazionale Hp di Cernusco (MIlano) che ieri mattina alle 7 è stata raggiunta dalla notizia mentre era già pronta con i cartelli da portare sotto Confcommercio: «Le prime reazioni sono state pessime già sul metodo di una trattativa condotta a livello dei tre segretari confederali. Non sapevamo cosa s'era firmato, alla faccia della democrazia sindacale. I contenuti, poi, sono inaccetttabili in un settore dove già esistono contratti da otto ore settimanali per studenti e casalinghe. Siamo stanchi, oggi, ma pronti a dare battaglia domani».
Da Roma anche Maurizio Scarpa, segretario nazionale Filcams per conto della minoranza di Lavoro-società ammette «elementi di criticità oltre ai problemi di metodo: l'aumento è inadeguato e sotto l'inflazione programmata e si estende l'utilizzo del precariato». Giovedì potrebbe uscire un documento organico dell'area programmatica della sinistra Cgil che proprio quel giorno terrà il suo coordinamento nazionale.
Nettissima la posizione della Rdb-Cub Servizi (mentre la Flaica-Cub annuncia un sit in sotto Confcommercio per il 16 luglio): «Questo contratto è un bidone, vogliamo salari europei senza contratti capestro».
Checchino Antonini
c. antonini@liberazione 03.07.04
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Ieri sciopero congiunto dei lavoratori che chiedono meno flessibilità, più garanzie e orari vivibili
Vodafone e call center, «è un lavoro impossibile»
Uno spazio pubblicitario comprato su Repubblica (9300 euro sborsati dai lavoratori), 8 ore di sciopero e un presidio davanti alla sede dell'azienda: sono queste le forme con cui ieri i dipendenti di Vodafone e dei call center Cos/Cosmed hanno fatto sentire tutto il loro malumore. Una protesta che ha unito simbolicamente e fisicamente i dipendenti della "casa madre" con quelli di società esternalizzate e che ha come bersaglio ancora una volta le condizioni di lavoro in quella categoria che il ministro delle comunicazioni in persona aveva definito «marginale». Lo sciopero di ieri, diviso fra il turno di inizio lavoro e quello di fine, ha avuto «un esito positivo» secondo Alessio De Luca, delegato della Slc-Cgil per la vertenza dei call center, così come il presidio «al quale hanno partecipato circa 200 persone a rotazione più la delegazione dei lavoratori Vodafone». Un malcontento che prosegue da anni, aggravato dalle ultime scelte dell'azienda. In tutta Italia sono 7100 i lavoratori nei call-center ai quali dal prossimo gennaio se ne aggiungeranno altri 3mila dalla fusione con Atesia; di questi solo 3500 dipendenti hanno un contratto fisso, mentre tutti gli altri non restano che le varie forme previste dalla Legge 30. E quindi «stress, ritmi di lavoro insopportabili, pressione psicologica e impossibilità di organizzarsi liberamente la propria vita». Da qua le richieste dei lavoratori: «Un'apertura alla contrattazione al terzo livello e un contratto di lavoro meno flessibile, nonché la protesta per 2 licenziamenti senza giusta causa. Anche perché - conclude De Luca - l'azienda è consolidata ed in attivo, quindi non ci sono ragioni per non dare garanzie ai dipendenti». Una lotta che ha visto affiancata quella dei dipendenti Vodafone, anch'essi protagonisti ieri di uno sciopero per ottenere «la stabilizzazione dell'orario di lavoro ed una turnistica vivibile». «Alla Vodafone si lavora 5 o 6 ore al giorno e la visibilità dei turni che dà l'azienda è di 3 o 4 settimane - afferma Maurizio Feriò, del Slc-Cgil - così è impossibile vivere, noi vogliamo meno flessibilità». Alla lotta dei dipendenti Vodafone e Cos hanno aderito il Prc, con un manifesto di solidarietà e le Rsu di Cgil, Cisl e Uil della sede milanese di Vodafone.
AM - 03.07.04
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«Una concertazione neocentrista»
Crisi e confronto sindacale, intervista al segretario della Fiom Giorgio Cremaschi
Tutti si industriano per far ripartire la concertazione...
Mentre il governo prepara una stangata che rischia di fare danni sociali enormi e contro la quale bisogna lottare subito si continua a parlare di concertazione. Credo che la concertazione sia la versione sindacale della operazione politica neocentrista con la quale la Confindustria, An e Udc, la Banca d'Italia e la Cisl cercano di uscire dalla crisi dedl governo Berlusconi. Credo che sarebbe sbagliato dare valore compiuto a questa operazione. Ci sono molte velleità e molte difficoltà, ma l'intenzione c'è. E questo è un fatto politico.
Allora dai per liquidata la linea di Berlusconi?
E' chiaro che è in un'enorme difficoltà, sia per ragioni elettorali sia anche per ragioni strutturali. L'asse Berlusconi-Tremonti-Lega, cioè riduzione delle tasse, Legge 30 e uso spregiudicato dello Stato come struemento di competitività economica, cioè quella particolare forma di liberismo populista fa acqua da tutte le parti. Belusconi e le forze neocentriste, se la prima linea è chiaramente priva di consenso e di praticabilità, la seconda è sostanzialmente priva di contenuto. La concertazione viene rilanciata come appello all'unità nazionale, come ideologia del patto sociale, come moderatismo politico e sindacale, ma finora non ha prodotto un'idea. Come in politica, si discute sulla forma degli schieramenti e delle alleanze a prescindere dai loro contenuti. Questa scelta rischia di depotenziare il movimento di lotta.
Quella precedente era meglio di questa?
Il "23 luglio" è stato un accordo che ha prodotto danni per i lavoratori ma aveva un obiettivo concreto: l'euro. Oggi si fanno discorsi fumosi, a partire dal nuovo presidente della Confindustria, in cui si scambiano i successi della Ferrari per le possibilità di tutto il sistema industriale. C'è tanta propaganda di immagine e quasi nessuna sostanza. Non è casuale che Montezemolo ignori il problema della distribuzione salariale, della legge 30, Il problema è che non c'è neppure l'agenda comune. Vedo solo una grande capacità di fare fumo a manovella.
Di che natura è questa crisi e che via d'uscita intravvedi?
La crisi industriale italiana è anche crisi finanziaria rispetto al sistema delle banche, è crisi di prodotti e di investimento. E' crisi di una classe imprenditoriale. La risposta fondamentale è il ritorno alla centralità dl pubblico, della programmazione industriale, dell'intervento nei settori strategici. C'è la crisi Fiat ancora tutta aperta, ci sono tutti i settori ove le privatizzazioni hanno compiuto solo disastri. Insomma, bisogna riprogettare le politiche industriali e metterci dentro i poteri pubblici, andare cioè nella direzione opposta alle politiche di mercato di questi anni. Accanto a questo c'è la grande questionie della distribuzione dei redditi e dei diritti. La crisi italiana si affronta con una crescita verso l'alto dei salari e dei diritti. Ma il punto è se si vuole affrontare la crisi, occorrono politiche alternative al liberismo a tutti i livelli. E quindi la concertazione è una risposta sbagliata alla crisi e alle domande sociali del paese.
Il sindacato no è stato un po' a guardare compreso la Cgil...
In questo periodo Cgil, Cisl e Uil hanno perso colpevolmente una occasione per mettere le questioni del lavoro al centro dell'agenda politica. Cgil, Cisl e Uil potevano e dovevano promuovere un movimento di lotta prima delle ferie per influire sulla legge finanziaria e sulle politiche ecomomiche. Invece, non hanno neppure sostenuto la piattaforma, che pure hanno presentato, e che il governo ha semplicemente ignorato. Cioè, non l'hanno gestita in termini sindacali. Sembra che la concertazione debba avvenire tra Fini e Berlusconi, con il segretario di An che interpreta una funzione sociale. Mi pare un arretramento grave di cui bisogna discutere al prossimo direttivo e che impone che da qui all'autunno si ricostruisca un vero movimento di lotta.
Ma intanto si fanno accordi, ultimo, per esempio, quello del commercio...
Tra le poche eccezioni, i contratti nazionali firmati in questo periodo, peggiorano tutti il "23 luglio", sia sul piano salariale che su quello dei diritti, con le falle che si stanno aprendo sulla resistenza alla legge 30. E' paradossale, il ministro Maroni è andato all'Assolombarda a lamentarsi di accordi come quello Fincantieri, che emarginano la Legge 30. Mi ha colpito che Pezzotta poco tempo fa abbia di nuovo parlato bene del Patto per l'Italia.
Pezzotta ha anche detto che bisogna fare l'accordo sulle regole prima del contratto dei metalmeccanici e Montezemolo parla di incontro a luglio.
Una nuova trattativa centralizzata sulle regole oggi sarebbe una sciagura. Porterebbe o a un accordo separato o a un accordo unitario peggiorativo del "23 luglio". Sarebbe una assurda ripresa di continuità con il patto per l'Italia. Non c'è da fare un nuovo 23 luglio, come abiamo detto al nostro congresso, ma affrontare i problemi concreti. Dopo Melfi e molti accordi aziendali i metalmeccanici hanno il diritto di provare a costruire un contratto nazionale che risponda alle loro esigenze. Il nodo è sempre quello, si tratta di sapere se vogliamo o no raffrozare il contratto nazionale. Il Sole 24 ore ha iniziato una campagna partendo dall'accordo di deroga sugli orari fatto dalla Siemens in Germania. E' un fatto che ci deve far riflettere, sia rispetto a cosa vogliono davvero i padroni, sia rispetto al fatto che se accettiamo il terreno della concorrenza competitiva sui diritti, finiamo in un disastro in Italia e in Europa.
Fabio Sebastiani 03.07.04
www.liberazione.it
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